Missioni Consolata - Gennaio 2008
da molti anni impegnata nel volon- tariato: ha trascorso alcuni anni nell’ospedale di Fogo in Capoverde. Da tempo in pensione, l’anno scorso accettò volentieri l’invito del dottor Veronese a seguirlo nella regione del Kelmend. «Fui molto colpita dalle donne al- banesi, che rappresentano la mag- gioranza dei pazienti. Sono donne che soffrono, abbandonate da uo- mini partiti per cercar lavoro o per delinquere, umiliate da una menta- lità ferocemente maschilista che le ha sempre private di unminimo di cultura» racconta la volontaria. Pare che la depressione sia la pa- tologia ricorrente in queste creature, che dimostrano forte imbarazzo du- rante le visite, anche se al medico si affianca sempre suor Anna e un'altra donna. Iolanda mi spiega che le donne arrivano spesso accompa- gnate dalla suocera. La tradizione vuole infatti che le giovani, quando si uniscono a un uomo (e non sem- pre questa unione viene regolariz- zata dal matrimonio), lascino per sempre la propria famiglia e vadano a servire quella del marito. P roseguiamo risalendo la valle con difficoltà: il mezzo è vec- chio, le gomme lisce e perdia- mo pure la marmitta. Prima di arriva- re a Tamare, dove padre Sergio ha avviato un allevamento di trote con buon successo, prendiamo una stretta deviazione che ci condurrà a Vukli, dove ci aspetta per la messa. Dopo altre due ore di viaggio e strapiombi da brivido, la strada ter- mina in un’ampia vallata.Una specie di paradiso perduto, con greggi di pecore,muli che trasportano il fieno e case dai tetti alti e spioventi. Arriviamo quando la messa è già i- niziata. Sotto il portico sostano i gio- vani maschi, la sigaretta tra le dita e l’aria sfrontata da guappi.Conosco- no poco l’italiano,ma riescono a farsi capire: sognano di emigrare,per far soldi e non lavorare nei campi.Den- tro la chiesa, le nonne hanno il velo nero da vedove, le rughe e il viso ras- segnato. Lemadri mi guardano e il viso si allarga in un sorriso. I lunghi capelli neri sono fermati da forcine in onde piatte sulla fronte, incorni- ciata dal foulard.Tra le ragazze ce ne sono di molto belle, sono vestite per la festa e si lasciano ammirare. S ono arrivata in Albania al se- guito di Anemon (acronimo di «aiutare nel mondo»), un’asso- ciazione di medici e volontari che si propone di sostenere il lavoro delle suore francescane di Susa e di padre Sergio, frate minore cui è stata affi- data la regione montuosa del Kel- mend, dove da molti secoli vivono i- solate alcune tribù cattoliche. Tirana ci sorprende, con il suo ae- roportomoderno e luminoso, per l’ampia arteria che porta in città, fiancheggiata da nuove costruzioni commerciali e industriali.Chi tra noi ha già visitato questo paese si rende conto di un grande cambiamento. I nuovi edifici del centro si distinguo- no per la sobrietà e il colore. La gen- te pare molto cordiale;molti cono- scono l’italiano.Come Migena, che significa «fior di melo», una giovane albanese cui mi rivolgo per un’infor- mazione. «Ho imparato l’italiano da mio nonno, che aveva fatto il milita- re in Italia.Quando ancora non an- davo a scuola,mi raccontava le fiabe in italiano». Resta grave il problema dei conta- dini inurbati di recente, sistemati in case fatiscenti che non ricevono re- golarmente né acqua né luce. Piazze e viali del centro di Tirana ricordano le altre capitali dei paesi comunisti,ma i numerosi caffè all’a- perto sono affollati e ci sono anche giovani donne,mentre in quelli dei villaggi che visiteremo gli avventori saranno solo uomini. S cutari è una città molto antica. Un’antica fortezza domina la città e il lago, che in parte ap- partiene al vicino Montenegro. La sua storia testimonia la serena con- vivenza, da sempre, di cristiani e mu- sulmani: dopo gli anni bui di atei- smo e chiusura al mondo, hanno ri- costruito la grande chiesa ortodossa e restaurato la moschea. Scutari è la prima tappa del nostro viaggio umanitario: abbiamo pro- messo di ingrandire la casa che le suore hanno aperto per accogliere le studentesse provenienti dai re- moti villaggi del Kelmend per prose- guire gli studi nella città, rompendo così una tradizione che negava l’i- struzione superiore alla donna. Lasciamo le rive del grande lago e risaliamo la montagna punteggiata da ginepri e folti cespugli di melo- grano. La strada sale attraverso strette gole, supera pietraie e ripide scarpate sul fiume, sulle cui rive al- cuni terrazzamenti alluvionali per- mettono le colture e l’allevamento. Le case di pietra hanno il tetto fatto di lamelle di legno, con i pagliai a forma di cono. Nel villaggio di Stare le suore han- no la base per il loro lavoro nelle val- li, evangelizzazione e assistenza sa- nitaria. Il dottor Veronese, unmedi- co torinese in pensione, dopo una sua prima visita due anni fa, ha deci- so di ritornare ogni due o tre mesi e collaborare con suor Anna, infermie- ra. Il piccolo ambulatorio richiama gente dalle valli più remote,ma so- vente il medico si sposta nei villaggi di montagna, dove opera nelle sale di riunione o nelle cappelle. Leggendo le sue relazioni ero ri- masta colpita dal fatto che, dopo tanti anni in cui la gente di Albania pensava solo ad emigrare, pare sia nato tra i giovani un nuovo senti- mento di orgoglio.Oggi chiedono di poter ricostruire il paese, evitando la fuga di massa,ma chiedono anche una vita più dignitosa. A Fare incontriamo anche Iolanda MISSIONI CONSOLATA MC GENNAIO 2008 11 Crocifisso scolpito sul tronco di un gelso rinverdito: eloquente simbolo della chiesamartire in Albania.
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