Missioni Consolata - Dicembre 2007
sta scri tto lA PARABOLA DEL «FIGLIOL PRODIGO» (14) LE PORTE DEL PERDONO SONO SEMPRE APERTE (TALMUD) <<Dio è più grande del nostro cuore, qualunque cosa esso ci rimproveri,, 0Gv3,20.19l 11 Allora rientrò in se stesso e disse: Quanti salariati in casa di mio padre hanno pane in abbon danza e io qui muoio di fame! 18Mi leverò e andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te; 1.9non sono più degno di esser chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi garzoni. 208Partì e si incamminò verso suo padre» (Le 15,18-20). NULlA PUÒANDARE PERDUTO Nella puntata precedente (MC 9/2007, pp. 57-59) ab biamo lasciato il figlio giovane in preda di una solitudine esistenziale che aveva visto naufragare tutti i suoi sogni dì autonomia. Solo, in terra straniera, sprofondato nella più abissale impurità (i porci con i quali avrebbe condi visole carrube,«ma nessuno gliene dava•:v. 16). Abbiamo anche messo in evidenza che la motivazione del ritorno del figlio non può essere chiamata «conversione», perché le ragioni che lo induconoa ritornare non sono né il pen timento né l'amore per il padre, ma il suo tornaconto. E gli non soffreper il male fatto operché il padre soffre, ma è terrorizzato di morire di fame. n figlio giovane della pa rabola è un egoista cronico. È tutto centrato su se stesso e sui suoi bisogni immediati, per cui non può essere pro posto come modello di conversione. Eppure dentro di lui caccade» qualcosa di cui egli stes so è ignaro in unprimomomento. n testogrecodice che «-dopo essere tornato in/dentro di sé, disse». Allontanato si dal padre, non era finito solo «in un paese lontano» (v. 13), ma si era allontanato anche da se stesso: si era per dutogeograficamente e spiritualmente.Avevasmarritola dimensione di sé perché aveva perduto la sua identità di figlio. «Rientrare in se stesso», se in un primo momento non è sinonimo di «conversione» sincera, è l'inizio della consapevolezza del fallimento del suo progettodi vitaau tonoma. PADRE E FIGLIO PER SEMPRE Nessuno può abdicare dal proprio essere figlio e dal l'essere padre/madre. Si è figli per sempre; si è pa dri/madri pertutta l'eternità.Nessunoè figlio del«nulla»; nessuno si fa da sé, ma ognuno di noi è sempre figlio di qualcuno e a suavolta è «genitore» di qualcun altro. cesso evolutivo che si perfezionerà solo alla conclusione del cammino, cioè al punto di approdo. In questo contesto sì modifica la nozione stessa di «conversione» che di norma è intesa come un «atto unico» e irrepetibile, travolgente e traumatico, che cambia lavi ta, mentre alla luce dellaparabola lucana, essa èmo'atti tudine al cambiamento», cioè un processo che inizia an che in modo imperfetto e s'illumina e si definisce lungo il processo di formazione. Abituarsi al cambiamento, ec co il vero senso della conversione, che in ebraico si chia ma «teshuvàh». Il terminederiva dal verbo «shub che ha in sé l'idea del ritorno suipropripassi e si riferisce al ri torno a Dio da cui si era allontanati (cf Dt 4,30). PENTIMENTO IMPERFETTO La tradizione giudaica insegna che la «peniten za/teshuvàh» fu creata da Dio prima ancora della crea zione del mondo (Talmud, Pesachim-Pasque 54a) per concedere a Israele una possibilità supplementare di sal vezza Perquestola «penitenza/ teshuvàh» s'innalza finoal trono di Dio, allunga la vita dell'uomo e guida aUa re denzione del Messia (Talmud, Yoma-Giomo 86a-86b). U Midrash DeuteronomioRabbàh-Grande (2,24) inse gna che Dio impone a Israele il pentimento, ma non l'u miliazione, perché un figlio non può vergognarsi di ri tornare a suo padre. Nel raccontodi Luca, infatti, è il pa dre che è presente nella dissoluzione del figlio e lo spin ge a compiere la sua «teshuvàh/ritorno• ecomevedremo, lo accoglierà. ma non lo umilierà. MOTIVAZIONENASCOSIADEL FIGLIO La «ragione/motivazione nascosta» che spinge il figlio al passo più difficile della sua vita, quella cioè di ritorna re da suo padre, ma rinunciando alla sua condizione di figlio, rivela ancora una volta la superficialità dì questo fi glio che, nonostante tutto quello che ha passato, si osti na ad averepaura del padre: egli è terrorizzato di perde re la faccia, la dignità, l'onore. È Jarelazioneche stabiliscel'identitàpersonale: èquel lo che avviene all'interno della Trinità santa e accade dentro il mistero di vita di ciascuno di noi. Nemmeno il «figlio prodigo» può sfuggire a questa legge. Ciò significa una cosa sola: anche se la motivazione iniziale è imper fetta, può però costituire il primo passo verso un cam biamento che via via diventa consapevolezza, coscienza di vita. La motivazione egoista iniziale muterà in un pro- Qui sta la prova finale che egli non ha mai conosciuto suo padre: nelmomentoin cui eglirinuncia aessere figlio, 1 impone al padre di rinunciare alla sua paternità. Ciò sa rebbe l'equivalente dì un'altramorte. Ha preteso lamorte 64 • MC DICEMBRE 2007 • --T' - l l
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