Missioni Consolata - Dicembre 2007

MISSIONI COi�SOIATA : dotto in «Capanna della... kaita». ' : Forse bisognava riscrivere la parola : nel più moderno kagita? l tamburi : dovevano essere dawero i vecchi : tamburi costruiti con un tronco d'al: bero ed una pelle di vacca,visto che l il padre aveva ricevuto il permesso : di tenersi qualche esemplare.E la ra: manz.ina agli awelenatori? : Michael arrivò in quel momento con : il suo portavivande e la zuppiera fu- mante. «Michael cos'è la nyumbaya kagita?>>- chiesi quasi innocente­ mente al giovanotto. Ci mancò poco che zuppiera e tutto l'armamentario del vassoio se ne an­ dassero per aria. Michael si era fer­ mato di botto facendo un grosso sussulto,una specie di singulto alla maniera africana per dimostrare sor­ presa e spavento. «�solo perché volevo capire cosa c'è scritto in questo vecchioquader­ no!»-lo rassicurai. Michael tirò un sospiro di sollievo. «Credevo che ci fosse di nuovo in ballo qualche faccenda da parte de­ gli anziani.Sai...queste cose del tem­ poantico sono poco conosciute da noi.Equando si sente parlare della kagita non si può fare a meno di guardarsi intorno per scoprire chi potrebbe essere il capro espiatorio a farne le spese.Solo gli anziani pos­ sono oggi conoscere la verità com­ pleta.Forse il maestro Battista ti po­ trebbe aiutare. . . ». E cosl Michael se la cavò,stuzzican­ do peròmaggiormente la mia curio­ sità. La capanna del maestro Battista era situata a non più di dieci minuti dal­ lamissione.Battista era unmaestro di scuola elementare,pochi anni più vecchio di me. La sua scheda ana­ grafica rivelava però un «pedigree» molto importante: era uno dei figli di un grande anziano,di quegli an­ ziani che nella regione del Meru det­ ta Egembe costituivano l'ultimo sca­ lino della nobiltà,aventi potere sia nelle cose buone...come inquelle assai meno nobili,nellequali ogni tanto si trovavano implicati. «AIIora,bwana Battista,mi dici qual­ cosa della nyumbayakagita ?»-gli domandai dopo aver sorbito un tè con lui e lamoglie. La chiesa dellamissione di Amung ' enti. B attista, per tutta risposta,mi preseper unbraccioemi in­ vitò fuori,perfarmi vedere qualcosadiimportante e, forse,per distrarre l'attenzionedellamoglie suinostri discorsi. «Vedi,padre,lassù suquella collina di fronte a noi? Bene,quella capan­ na diroccata è l'ultimacapannadel­ la kagita del nostro Egembe.Bada bene di non andare a toccarla.� tabù,tutti lo sanno e se ne stanno al­ la larga.Le prossime piogge,forse, laveranno tuttoquanto e non ci sarà più alcun ricordo. li tempo e le ter­ miti avranno compiuto il loro lavo­ ro». Quello che segue ora è il resoconto di quanto il maestro Battista mi rac­ contò e che io mi son permesso di mescolare con quanto un nostro fa­ moso missionario scrittore,il padre OttavioSestero,mi narrò nel1964 nella missione diTigania.Padre Se­ stero era conosciuto prevalente­ mente per i suoi scritti «awenturosi» e a volte burloni,ma quanto aveva scritto su usi e costumi della gente che ormai conosceva da anni,solle­ ticava la mia curiosità. Avevofra le mani,fresco fresco di stampa,uno dei suoi ultimiromanzi missionari,«Il sacrificio del settimo anno».Anche in quel racconto veni­ va descritta la nyumbayakagita. Alla mia domanda un po'insolente circa la veridicità di quello che lui a­ veva descritto,p.Sestero,dopo una lunga boccata dalla sua inseparabile pipa,mi disse:«Vede! Certe cose non si possono inventare. Ci vorrebbe troppa fantasia.Basta aver occhi per vedere e orecchie per sentire.Gli in­ gredienti ci son già tutti,basta cuci­ narli e farne una buona zuppa! Se lo desidera,posso anche accompa­ gnarla a vedere i luoghi descritti in quel romanzetto.Non dobbiamo farci vedere poiché queste cose con­ tinuano a turbare la fantasia di que­ ste nuove generazioni e con i nostri giovani èmeglio chiudere il capito­ lo... o,al massimo,servircene per riempire le pagine delle nostre"av­ venture missionarie"». Andammo un po'di nascosto a visi­ tare quei luoghi ed oggi,mentre scrivo,ritorno con la mia fantasia a rivederli:torno a rivedere la capanna della kagita, gli antri della montagna in cui i futuri candidati alla circonci­ sione dovevano nascondersi,gli an­ ziani njori vestiti nei loro caratteristi­ ci paludamenti,con la ncea (la coro­ na dell'anziano),il meu (lo scopino scacciamosche),il bastone,lo sga­ bello a tre gambe significato della loro autorità,ilmanto di pelle di bue, il copricapo solenne fatto con la pel­ le della scimmia guereza,dalla coda bianco nera.E poi le zucche,le gran­ di e piccole zucche contenenti il vi­ no di canna da zucchero e le zuc­ chette del tabacco. Quanti grandi «ah h!» di soddisfazione si potevano ascoltare dopo le solenni bevute e i poderosi starnuti che seguivano le abbondanti prese di tabacco... ! Battista prese a raccontare. «La kagita era una grande capanna che fungeva da tribunale.Doveva essere costruita isolata,in una verde radura.Nessun boschetto,cespuglio e coltivazione poteva trovarsi nelle MC DICEMBRE 2007 • n

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