Missioni Consolata - Ottobre/Novembre 2007

Ragazza afghana. comunità islamica:Khadija,l'amata prima (e finché fu in vita, unica) moglie;UmmSalma, consapevole dell'impor– tanza del ruolo femminile;Zaynab; Aisha,la sua prediletta e sposa-bambina,che grande pesoebbe nella storia del– l'islamdegli inizi - fu una delle cause che portarono alla guerra interna tra i successori del profeta e i seguaci di Ali (dacuinascerà ilmovimentosciita,ndr). Anche la figlia Fatima,moglie del cugino Ali,ebbecon il padre un intenso rapporto affettivo. La «rivoluzione culturale e sociale»di Muhammad si spinse fino a un certo punto. La Mernissi lo spiega chiara– mente: egli non poté e non volle inimicarsi i seguaci,ma– schi, della nuova fede,enfatizzando e trasformando la condizione e il ruolo della donna araba.Aveva bisogno della fedeltà dei maschi per contrastare gli attacchi dei meccani (gli abitantidellaMecca cheosteggiaronolapre- ' dicazionedi Maometto, ndr) e dei nemici dell'islam. Nonvolevadunqueminare dalle fondamenta la so– cietà tribale basata sulla guerra,sul bottino,di cui ledon– ne erano parte.Dare più importanza ad esse, liberarle completamentedalla schiavitù acui erano soggette,vo– leva diresconvolgere l'economia stessa delle tribù, l'im– palcatura sociale e il concetto di guerra e razzia. Dunque,non gli fu concesso,dalla dura realtà dell'am– biente in cui visse,di portare a termine,di realizzare ap– pieno il suo grande sogno rivoluzionariodi parità fra tutti gli individui,donne e uomini,liberi e schiavi. Non riuscl,infatti,a estirpare il maschilismoe lamiso– ginia dalla testa dei maschi del suo tempo.Questo «con– flitto» morale, interno,emerge dalle surecoraniche. Tuttavia,qualchemiglioramento,rispetto ai tempi della jahiliyah,com'è chiamata l'epoca preislamica,ci fu:alla donna fu garantito il controllo e l'amministrazione dei propri beni al di fuori dell'autorità paterna o maritale. Certamente un fatto rivoluzionario. Lebasi del femminismo arabo-islamico La lotta di liberazione della donna prese l'awioai primi del Novecento,in concomitanza con i nazionalismi arabi: certi intellettuali pensavano che la condizione di suddi– tanza rispetto all'uomo, in cui essa era da secoli e secoli costretta avivere,fosse una sorta di effetto della «deca- 14 ■ MC OTTOBRE-NOVEMBRE 2007 Il Corano e l'«hijab» LA «DISCESA» DELVELO S econdo Fatima Mernissi, lo hijab, letteralmente «cor– tina», è «disceso» per «porre una barriera non tra un uomo e una donna, ma tra due uomini». La sociologa marocchina, nel suo libro Donne del Pro– feta (1997), sostiene che è impossibile comprendere un versetto del Corano «senza conoscere la storia e le cau– se che hanno portato alla sua rivelazione». Ella dunque esamina il contesto storico e i fattori che hanno portato, nell'anno S dell'egira (627 d.C.), alla rive– lazione del versetto 53 della sura XXXIII del Corano: «O voi che credete. Non entrate negli appartamenti del Pro– feta a meno che non siate stati autorizzati in occasione di un invito a pranzo. Ein questo caso, entrate solo quando il pasto è pronto per essere servito. Se dunque siete sta– ti invitati (a pranzare),entrate,ma ritiratevi non appena a– vete finito di mangiare, senza abbandonarvi a conversa– zioni familiari.Una simile negligenza dispiace (yu~ij al Pro– feta che ha ritegno a dirvelo. Dio, però, non ha ritegno a dire la verità. Quando andate a domandare qualcosa (alle spose del Profeta) fatelo dietro un hijob. Ciò è puro per i vostri cuori e per i loro». Questo versetto, spiega la Mernissi facendo riferimen- , to all'interpretazione diTabari (un commentatore di let– teratura religiosa morto nel 922),è «disceso» il giorno in cui Muhammad aveva preso una nuova moglie, la cugina Zaynab. Egli, dunque, desiderava appartarsi con lei.Tutta– via, un gruppetto di invitati piuttosto fastidiosi non si de– cideva a lasciare la sua dimora. «Il velo - scrive la sociolo- ga - sarebbe una risposta di Dio a una comunità dagli usi grossolani che, con la sua indelicatezza, feriva un Profeta cosi cortese da apparire timido». N ell'articolo «La donna musulmana tra l'emancipa– zione del Corano e la limitazione degli studiosi isla– mici», pubblicato sul quotidiano AJ.Ahram il Sgiugno 2002, Gamal al-Banna,intellettuale islamico, ricorda che hijob, nel senso cranico, «non vuol dire niqob (il velo che copre an– che il viso) o il velo per i capelli,ma una porta o una ten– da che copre e nasconde chi è all'interno rispetto a chi si trova all'esterno,e impone a colui che entra di chiedere il permesso prima di farlo». Va ricordato, infatti, che agli i– nizi del periodo islamico, la maggioranza della popolazio– ne viveva in tende e non in case. Dal racconto di 'Omar lbn al-Khattab (compagno del– l'inviato di Dio), spiega al-Banna, «i devoti entravano dal Profeta senza chiedere il permesso, anche quando egli si trovava con le sue spose». Al-Banna aggiunge anche che a Medina «si era diffusa la praticadel ta' orrud sulle donne di ogni classe sociale. Que– sta pratica consisteva nell'appostarsi sul cammino di una donna per incitarla a fornicare. Per questo motivo alcuni uomini, fra cui 'Ornar SinAI-Khattab, capo militare senza pari e compagno dell'inviato di Dio, fecero pressione sul Profeta al fine di ordinare alle donne di indossare lo hijob per essere distinte dalle schiave, ed essere cosi protette dal to' orrud». In sostanza, secondo i due studiosi sopracitati, il Cora– no ordinerebbe soltantodi coprire con un velo il clécol/e~ e di evitare abbigliamenti volgari o provocanti. AngelaLano

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