Missioni Consolata - Luglio/Agosto 2007

DOSSIER Donne trasportanopietreperla costruzionedell'ospedale aGidel. Fra i Nuba si distinguono oltre 50 gruppi etnici, ognuno con un nome specifico, lingua, cultura e tradizioni diverse. Anche le abita– zioni presentano architetture dif– ferenti: alcune ricordano l'Africa australe, altre le regioni del Sahel. Nonostante la varietà di etnie que– sta gente ama definirsi con un no– me solo, unico e orgoglioso: Nuba. Fino a poco tempo fa i Nuba era– no bersaglio del governo di Khar– toum. Gli arabi erano decisi a eli– minare la loro identitàculturale per farne docili lavoratori al servizio dei ricchi sudanesi. Ma questo po– polo di «roccia e miele» non si è mai arreso; ha lottato in una guer– ra senza fine e ha stretto i denti per non rischiare di scomparire. Ora che laguerra è finita, sui Monti Nu– ba, è tutto da ricostruire, bisogna rimboccarsi le maniche e partire dall'inizio, dalle cose primarie, dal quotidiano. «PENNELLATE»DI SPERANZA Sui Monti Nuba non è facile ac– corgersi quando si arriva effettiva– mente in un luogo: non esistono indicazioni. Spesso le capanne so– no state disseminate sulle colline per evitare che, durante la guerra, i bombardamenti colpissero interi nuclei abitativi, magari formati dal– la stessa famiglia. Ma a Gidel non ci si può sbaglia– re: arrivando dall'aeroporto di Kau– da, prima di attraversare il wadi, c'è un enorme edificio in costru– zione, una «pennellata» di speran– za nella savana, è il nuovo ospe– dale che «Sorriso per il Sudan on- lus», in collaborazione con altre as– sociazioni, sta costruendo. li lavo– ro da fare è ancora molto, ma quando la struttura sarà ultimata e diventerà operativa, per l'intera co– munità dei monti sarà un punto di riferimento importante, un luogo dove potersi sottoporre a cure me– diche senza andare fino a Kadugli o, peggio ancora, fino a El Obeid. «Sorriso per il Sudan» non è l'u– nica associazione che opera sui Monti Nuba; ce ne sono molte, o– gnuna con il proprio compito: c'è chi si occupa dello sminamento delle piste, chi segue le donne di– sagiate, chi si prende cura dei bambini. Un esercito di persone tutte con lo stesso obiettivo: por– tare il popolo Nuba alla normalità. A Gidel vengo ospitato nella mis– sione gestita dalla diocesi di El 0- beid. Nella parte riservata alle suo– re stanno costruendo un edificio, mi dicono, che è la nuova casa che dovrà ospitare l'eventuale arrivo di personale missionario. Le «sisters», come le chiamano i ragazzini, hanno un ruolo impor– tante nella comunità di Gidel: al– cune insegnano alla scuola mater– na, altre si occupano del coordina– mento educativo dei bambini delle scuole elementari, altre ancora se– guono gli adulti nell'integrazione sociale. La missione è un punto di riferimento per tutta la gente del– la zona: per qualunque problema basta bussare alla porticina in fer– ro, qualcuno apre sempre. Oltre il muro di cinta, dove abi– tano le suore, c'è la missione ope– rativa di mons. Macram Max Gas– sis. La struttura è costituita da un grande cortile con edifici in mura– tura, nella parte centrale ci sono al– cune capanne in stile africano: so– no gli alloggi dei fratelli che vivo– no qui e svolgono il loro lavoro ecclesiastico. CURIOSANDO NELLE ABITAZIONI A Gidel si respira un' atmosfera particolare. È bello svegliarsi la mattina e fare due passi per vede– re i bambini con i libri sottobraccio che vanno a scuola: alcuni arrivano dalle abitazioni vicine, altri invece, si fanno anche un'ora di cammino per raggiungere le aule dove i mae– stri li aspettano per la lezione. A pochi passi dal fiume in secca ci sono i campi dove le donne la– vorano nella raccolta delle arachi– di. Ore e ore piegate su se stesse, stringendo tra le mani un piccolo arnese in ferro dalla forma di una falce. È raro vedere una donna nu– ba sola, di solito sono in compa– gnia di altre donne. Insieme lavo– rano, passano il tempo libero e vi– vono i loro momenti di complicità. Gli occhi delle donne più anziane sono profondi e pieni di mistero. A volte si muovono silenziosamente, facendo strisciare le infradito; a vol– te le vedi accelerare l'andatura, ve– stite dei loro abiti colorati mossi dal vento. Anche da queste parti, come in tutta l'Africa, alla donna spetta il lavoro più oneroso della famiglia: accudire i figli, lavorare nei campi, attingere l'acqua dai pozzi e por– tarla fino alla propria casa. Seguendo una di queste donne, quelle che camminano verso la col– lina col carico di acqua sulla testa, sono riuscito a entrare in contatto con alcune famiglie e a curiosare nelle loro abitazioni. Da quando è finita la guerra, i nu– ba stanno cercando di riunirsi in piccoli villaggi. Nei dintorni di Gidel non si trovano più capanne com– pletamente isolate; si sono forma– ti piccoli nuclei familiari composti da due o tre abitazioni. Ognuna di queste case ha il proprio cortiletto, dove vivono gli animali e vengono costruiti piccoli silos per la conser– vazione dei raccolti. L'interno del– le case è ridotto all'essenziale. Di solito vi è un atrio abbastanza am– pio nella parte centrale, dove la fa– miglia si raduna per discutere o più semplicemente per la cena. Ai lati di questa stanza, la prin– cipale dell'abitazione, ci sono le «camere da letto». La «stanza del- -~------------------------------------------------------------------- 30 ■ MC LUGLIO-AGOSTO 2007

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