Missioni Consolata - Giugno 2007

Q uando il giovanottoGiulio Cesare manifestò al suodato– re di lavoro la nuova vocazio– nea cui si sentiva chiamato,l'orefice torineseesclamò sconsolato:«Chiu– do bottega.Mi mancherà la mia ma– nodestra!».Sì, perché il nostro nuovo acquisto alla causa missionaria ave– va... l'oro nellemani.Anche una co– munissima scritta sulla copertina di un quaderno diventava un piccolo capolavoro. Entrato nel seminario per vocazio– ni adulte aRosignanoMonferrato (AL), lo studente GiulioCesare im– paròafaticare sui libri,destreggian– dosi con latinoe greco, inveceche fondendo oro emodellandolo in spillee anelli.Ma il gusto artistico ri– masee si perfezionò. Ancora prima di diventare sacer– dote (1962), durante gli studi di teo– logia, i pennelli si abbinarono alla penna etante cupe emonotone stanze del seminariomaggiore di To– rino acquistarono lucee gioia con i colori alla «GiulioCesare»,così li ri– battezzammo. V ari anni dopo ci ritrovammo in– sieme in Kenya nella diocesi di Meru.11 vescovo mons. Lorenzo Bessone aveva un gran bisogno di un segretario tuttofare. In quel concetto di «tuttofare»era compresoanche il compitodi preparare nuovi progetti di chiese,asili,scuole,centri sociali, mostre...,che la diocesi,in fase di grande sviluppo,necessitava. li no– stro «artista»era dawero un mago nei suoi disegni e novità. Mago loera pure nel mododi ese– guirecerti progetti. Forse, la sua «ma– gia di esecuzione»era dovuta auna caratteristica del maestro artista: la sua generosità nel dire sempredi sl a tutti e le sue grandi distrazioni. Tante volte abbiamo visto padre Giulio fare il saltimbanco per com– pletare un'opera,o addirittura inco– minciarne l'esecuzione,il giorno pri– ma dell'inaugurazione.Una di tali «awenture»mi è rimasta stampata nella mente con inchiostro indelebi– le: si trattava di allestire uno stand nella fiera agricola locale,allaquale la diocesi di Meru era stata invitata per far conoscereal pubblico le varie o– pere realizzate o in fase di progetta– zione in diverse parti del territorio.In modo particolare bisognava illustra- re i progetti che riguardavano il pro– blema dell'acqua! Mancava un giorno all'apertura della fiera. Lo stand offriva in quel momento ai curiosi (i soliti scugnizzi) una lunga tela di sacco enulla più. Quel mattino, padre Giulio arrivò con un camioncino zeppodi barattoli, scopee pennelli.Scaricò tuttodavan– ti a sé e poi si mise pensierosoad am– mirare il panorama di sacco,grattan– dosi la barbetta.Poi intinse un pen– nellone dentro un bidone di colore, loassicurò aun manicodi scopa e via... partl in quarta «sporcando» Padre Giulio Cesare nella sua funzione di parroco di Regina delle Missioni. quella tela lunga più di 30metri.Die– ci minuti di sosta,tanto per dar mo– do al colore di asciugarsi un poco e... via un'altra cavalcata. «Cosa sta facendo questo muchen– ge?» (bianco) si domandavano i cu– riosi. Il muchenge si allontanòdi una quindicina di metri ameditare la prossima manovra.Poi partì deciso senza ripensamenti, dal bel mezzo della lunga tela.Qui un'ombra nera, là un tocco di verde,macchiette spar– pagliatedi ocra. Qualcosa di familiare cominciava ad apparire...ma non troppo.Ultimo spazzolone:sì, perché dawero que– stoera uno spazzolone tantoera grande.Un cielo azzurro prese aco– prire quel lungoaccavallarsi di colori sottostanti e l'inconfondibile si/ouet– te della grande montagna sacra del Kenya prese afar capolinea come da una massa di nubi.Zak ezak! Ed ec– coti servito. Fu uno scroscio di mani e un boato di approvazione: la giogaia del mon– te Kenya era ora tuttadavanti agli spettatori increduli.Ec'era ancor tempo per il sole pomeridiano per a– sciugare quella distesa di colori. Inutiledire che il giorno seguente la giuria assegnò il primo premio allo stand diocesano. T ra padre Giulio e il sottoscritto c'è stato un piccolo segreto, che oggi posso rivelare,dato che il missionarioci ha lasciati. È un segretoche inizia con una storia tri– ste. Era il 7 gennaio 1965,festa di san Luciano. Appena tornato dalla cava di sab– bia, dove ero andatoafar rifornimen– to per i lavori della missione, la suora del dispensariomi chiama emi fa ve– dere, in braccio aun uomo, un fagot– to di stracci con un bimbo di età in– definita, moribondo. Si decidedi fare almeno un tentati– vo: portarlo all'ospedale. Vestito come sono damanovale muratore,carico l'uomo e il bimbo e cercodi accelerare i tempi.Ci son cin– que chilometri per giungere all'ospe– dale, ma su una strada da specialisti in autocross. Tengo d'occhio il bimbo.Lo vedo aprire gli occhi alla ricerca di un ulti– mo filo di vita.Non sono neppurea un terzo del tragitto emanca proprio il più difficile.In prima ridotta il Land Rover si arrampica come può. Decido di fermarmi.Mettiamo il bimbo sull'erba perché possa respi– rare meglio.Mi faccio coraggio e ini– zio un dialogo con l'uomoche sostie– ne il moribondo. - Nimekriste? (è cristiano)? -Are (no). - Vuoi che lo battezzi? - È affare tuo! (come per dirmi:fai quello che credi bene). Afferro la bottiglia dell'acqua che per prudenza ho sempre nella cabi– na del camioncino.Ohimé! è vuota. MC GIUGNO 2007 ■ 67

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