Missioni Consolata - Giugno 2007

vo/escluso• ed è preceduto da un verbo ausiliare «àrch6 - io comincio a-, per cui si può dire che indica un'azione ingressiva, che cioè sta per iniziare e di essa ora si vede solo il principio, ma è destinata a durare nel tempo o nel– lo spazio. Inizia una nuova storia, imprevista e non pro– grammata. Il bisogno come privazione di qualcosa era assoluta– mente impensabile e quindi bandito dai pensieri del gio– vane figlio. Egli aveva un solo ed esclusivo bisogno: la– sciare la casa del padre per affrancarsi da ogni forma di dipendenza e di bisogno; il suo unico bisogno era affran– carsi dall'affetto del padre, che considera opprimente. Questo unico bisogno diventa il motore della sua vita fu– tura che egli immagina roseo, spensierato e senza pro– blemi economici: egli ha «tutto»con sé ed è sufficiente a se stesso. Non ha bisogno della dipendenza nemmeno af– fettiva. Egli deve andare lontano; il suo desiderio di libertà non nasce dal suo cuore, ma si misura solo con il metro della distanza. Più si allontana dalla sorgente della vita, più s'il– lude di trovare la pienezza di vivere. Tutto sacrifica per questo miraggio: padre, fratello, casa, amici, terra. Anche Dio diventa superfluo, mero accessorio. Quando il biso– gno s'ingigantisce, fino a diventare una esigenza irrefre– nabile, anche Dio si trasforma in ostacolo; anzi, in unper– secutore senza cuore, qualcuno da cui allontanarsi. Il giovane somiglia allo stolto del vangelo che avendo avuto uno straord inario raccolto non sa come gestire l'abbondanza e sogna una vita piena di sé e di ricchezze, prevedendo un futuro ancora più ricco: «Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; riposati, man– gia e bevi e divèrtiti! Ma Dio gli disse: Stolto, questa not– te stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato di chi sarà? Cosl è di chi accu- mula tesori per sé e non si arricchisce da– vanti a Dio• (Le 12,16-21, qui 19-21). Co– perti di ricchezze, hanno schiacciato la vita e con essa i bisogni e anche i sogni. Il figlio della parabola sperimenta sulla sua pelle le parole del castigo predette dal libro del Deuteronomio e che egli avrebbe do– vuto bene conoscere: «Non avendo servi– to il Signore tuo Dio con gioia e di buon cuore in mezzo all'abbondanza di ogni cosa, servirai i tuoi nemici, che il Si– gnore manderà contro di te, in mezzo alla fame (gr. limòs], alla sete, alla nudità e alla mancanza di ogni cosa; essi ti metteranno un giogo di ferro sul collo, finché ti abbiano distrutto• (Dt 28,57-48). Nella bibbia la carestia o la fame (con la siccità} è sempre un castigo mandato da Dio, come conseguenza dell'allontanamento da lui o come se– gno del!'assenza della parola di Dio (Am 8,11) e quindi della man– canza di profezia. In una pa- Giacobbe benedice i figli di Giuseppe (Rembrandt). rola, la carestia significa che Dio ha abbandonato a se stesso Israele che ha rotto l'alleanza con il Signore (cf Ez 5,17). Il giovane non ha servito il Signore «in mezzo all'abbon– danza»nella casa del padre, ora sperimenta la logica con– seguenza del suo peccato voluto e con determinazione perseguito: sarà schiavo (come vedremo commentando il v. 15) e sperimenterà ogni sorta di privazione: fame, sete, , nudità e ogni altra sventura che lo soggiogheranno, ridu– cendolo a uno stato animalesco, fino al livello più infimo oltre il quale è impossibile andare per un Ebreo: compa– gno e commensale dei porci. Egli non è andato solo «in un , paese lontano», cioè in terra pagana, si è diretto invece nel regno dell'impurità che lo rende inabile alla preghiera e al sacrificio cultuale. Diventando impuro, egli si allontana dall'intimità e diventa estraneo a Dio e a se stesso. Non è Dio, non è il padre a infierire sul giovane e la ca– restia non è un capriccio di Dio per farlo rinsavire; al contrario la fame, la sete e il bisogno improvvisi so– no il risultato o, se si vuole, il segno esteriore del- , la condizione interiore in cui l'uomo si trova. At– traverso le scelte libere e autonome, il figlio più giovane si esclude da sé dalla paternità, dalla fraternità, dalla comunione (casa) per resta– re solo e privo di tutto. Bisogno e privazio- ne, solitudine e fame sono le cicatrici del– la sua insipienza che non ha saputo pen– sare alla carestia in tempo di ab– bondanza (cfSir 18,25). Dopo avere speso t utto, non gli resta che il nulla totale, perché pur di mangiare qualcosa, egli vende addirittura se stesso, negando la sua stessa natura e apparendo per quello che realmente è: un mor– to che vive in una regione morta, devastata dal– la carestia. (continua - 11) Giobbe (scultura di Francesco Messina). . I I I I I I I MC GIUGNO 2007 ■ 55

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