Missioni Consolata - Giugno 2007

dono dei risultati e quando si in– contrano delle persone che desi– derano aiutarci. Vogliamo che Soweto diventi un posto differen– te, che non venga più equiparato ad altri slum. Anzi, cerchiamo di usare la parola «slum» il meno possibile. Quelli di fuori defini– scono Soweto in questo modo, ma noi preferiamo chiamarla «vil– laggio» e fare di tutto per cam– biare la percezione che anche gli altri hanno di noi». O ggi, Marna Esther è la store-keeper della comu– nità, ovvero la persona che si incarica di ricevere il ma– teriale che serve per i lavori di costruzione e ristrutturazione; lo immagazzina, ne tiene un regi– stro e si incarica di farlo traspor– tare lì dove c'è bisogno. Anche lei pensa che Soweto possa diventare un posto diverso, dove far crescere i bambini che adesso frequentano un affollatis– simo asilo pieno di allegria e di colori e sognare p~r loro un altro mondo possibile. E stato il lavoro di tanti a dare a questo posto un aspetto diverso. Lo stesso padre Franco si dice stupito della sua gente. Due anni fa aveva incontrato una comunità che iniziava a darsi un'organizzazione e, soprattutto, era desiderosa di crescere. Oggi, ha davanti una realtà in cammino. li lavoro da fare rimane molto; il progetto Soweto prevede una se– conda fase nella quale si ultimerà la costruzione di altre cinque unità di servizi igienici, altrettan– ti raccoglitori di immondizia e, so– prattutto, si darà il via al la co– struzione di 80 nuove case in mu– ratura, piccole abitazioni a due piani che daranno al luogo un aspetto finalmente dignitoso. Marna Esther ci crede e lavora per questo. Vede, attraverso i suoi profondi occhi neri, le nuo– ve possibilità che il processo di riabilitazione potrà offrire in fu– turo. li suo pensiero corre so– prattutto alle donne, le persone più legate al «villaggio» a causa della loro condizione di madri. Mary, la segretaria della par– rocchia che dall'inizio accompa– gna il processo di riabilitazione chiarisce bene il concetto: «Gli uomini, vanno e vengono, sono più liberi. La maggior parte delle ■ MISSIONI donne, invece, sono sole, con più figli a carico e quindi rimangono bloccate in questo posto. Alcune di loro riescono a coltivare qual– cosa da andare a vendere al mer– cato di Kahawa, altre raccolgono un po' di stracci o vestiti usati, ma a volte le bocche da sfamare sono tante e le entrate molto po– che. Pensare - dice con rammari– co - che alcune di noi sarebbero anche preparate professional– mente, avrebbero la capacità di iniziare una propria attività se non avessero problemi di finan– ziamento. Invece, alcune devono vivere con il piccolo aiuto che al– tre donne della comunità riesco– no a fornire; si mette insieme qualche scellino, un po' di farina e in un mese si aiutano tre madri, il mese successivo altre tre. Sa– rebbe tutt'altra cosa se si potes– sero creare delle piccole imprese all'interno di Soweto». Non lo dice con il tono di chi sta sognando ad occhi aperti, ma di chi vede il futuro partendo da un progetto concreto, una prospetti– va completamente diversa, che apre lo spazio alla speranza. Do– mani, a Soweto, sarà davvero un altro giorno. • Soweto: bambini dell'asilo. ---------------------------------------------------------------------J MC GIUGNO 2007 ■ 45

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