Missioni Consolata - Giugno 2007

dere in cambio una reciproca aper– tura di mercato. La svolta awenne quando si pas– sò dal riconoscimento del diritto che i paesi in via di sviluppo ave– vano di proteggere le proprie gio– vani economie a un approccio di classico stampo liberista il cui cre– do postulava che l'apertura dei mercati avrebbe prodotto di per sé quello sviluppo a cui anelavano i paesi più poveri. Fu l'epoca dei grandi Piani di ag– giustamento strutturale (Pas) vo– luti da Fmi e Banca mondiale, che imposero l'abbandono dei mecca– nismi di sostegno e di protezione sia doganali che sociali, a favore delle privatizzazioni di settori sem– pre più ampi dell'economia nazio– nale che, quasi ovunque, era an– cora prevalentemente statale. Fu– rono anche i tempi della cosiddetta «rivoluzione verde» che coltivava l'idea di un'agricoltura sempre più industrializzata e tecnologica per sfamare il mondo. In cambio dei soldi ricevuti per la loro «modernizzazione» i paesi del Sud furono costretti a privatizzare o svendere risorse e servizi pub– blici. A seguito della crisi del debi– to generato da quei prestiti, l'Afri– ca fu costretta a rinunciare alla pro– pria sovranità alimentare, cedendo terre su terre agli investimenti stra– nieri, in cambio di grandi coltiva– zioni di prodotti il cui prezzo è sce– so di anno in anno. Una situazione che si è protratta fino ai nostri giorni e della quale hanno approfittato le grandi im– prese dell' agrobusiness presenti in Africa. Attraverso la concessione di terreni e agevolazioni e creando delle zone franche per l'esporta– zione, nel corso di pochi anni que– ste imprese hanno incentivato la produzione per l'esportazione e abbassato notevolmente il prezzo dei prodotti agricoli, costringendo numerosi piccoli produttori a ven– dere la loro merce a un prezzo in– feriore al costo di produzione. LE CONSEGUENZE SOCIALI Il risultato delle liberalizzazioni previste dai Piani di aggiusta– mento strutturale è stato spesso rovinoso per il settore agricolo, e catastrofico sul piano sociale. Per riprendere una dichiarazione del Commissario allo sviluppo della Commissione europea, Louis Michel: «Nella prima fase delle li- Pubblicità di una grande compagnia di telefonia cellulare: mercato africano, capitale del Kuwait. beralizzazioni - come si è visto nei paesi dell'Est europeo - ci sono spesso catastrofi sociali». Gli esempi sono molteplici: in Costa d'Avorio, dopo la riduzione del 40% delle tariffe decise nel 1986, i settori tessile, chimico, dell'abbigliamento e dell'assem– blaggio automobilistico collassa– rono, producendo un'emorragia di posti di lavoro. In Senegal, fra il 1985 e il 1990, dopo l'applicazione di un pro– gramma di liberalizzazioni che aveva ridotto le tariffe doganali dal 165 al 90%, un terzo dei posti di lavoro andarono perduti. Nel Ghana, 50 mila posti di la– voro nel settore manifatturiero sparirono fra il 1987 e il 1993, dopo la liberalizzazione delle im– portazioni di beni di consumo. In Kenya, i settori del tessile, dello zucchero, del cemento, del– l'imbottigliamento del vetro e del pollame dovettero lottare dura– mente per reggere la competi– zione delle importazioni da quando, nel 1993, venne lanciato un radicale piano di liberalizza– zioni degli scambi in linea con un programma di aggiustamento strutturale targato Fmi/Banca mondiale. Fra il 1993 e il 1997 la crescita industriale nel paese è scesa del 2,6%, tra il 1991 ed il 2000 il paese ha raddoppiato le sue esportazioni agricole e quadru– plicato le sue importazioni ali– mentari. ■ MISSIONI POLITICHE ECONOMICHE Alla fine degli anni '90, le riforme del commercio interna– zionale hanno ricevuto un im– pulso straordinario grazie alla na– scita dell'Organizzazione mon– diale del commercio (Wto) in so– stituzione dell'Accordo sul com– mercio e sulle tariffe (Gatt). Lo scopo di questa organizzazione è quello di redigere e far rispettare delle regole uniformi per il mer– cato mondiale. Come condizione per entrare nel Wto viene richiesto ai singoli paesi di eliminare ogni ostacolo al «libero scambio delle merci», principalmente gli strumenti tra– dizionali con i quali gli stati so– stengono le proprie economie: le tariffe doganali, la scelta di soste– nere alcuni settori produttivi fino al controllo dei prezzi dei generi di prima necessità. Ogni trattamento preferenziale non è più possibile in quanto con– siderato «concorrenza sleale» nei confronti dei prodotti di altre na– zioni. Questo livellamento del ter– reno di gioco, auspicabile ideal– mente, in pratica ha finito per fa– vorire soltanto gli attori più forti a livello economico e le grandi in– dustrie multinazionali che pos– sono vendere i loro prodotti al– l'interno di un paese in via di svi– luppo a un prezzo nettamente in– feriore a quello del mercato in– terno. Il risultato di questa poli– tica di dumping è che l'economia ristagna e la gente, non trovando opportunità di lavoro e profitto in casa propria, si dirige verso le grandi città ingrossando la massa delle baraccopoli oppure fugge all'estero. Mentre le multinazio– nali comperano a prezzi stracciati le terre abbandonate. Tra le condizioni previste dai programmi di aggiustamento strutturale imposti dal Fmi e dalla Banca mondiale per accedere a nuova liquidità presso i creditori internazionali e alla dilazione del pagamento dei servizi del debito estero, c'era l'apertura dei paesi africani agli «Investimenti diretti esteri» (lde). Anche in questo caso, i costi ambientali e sociali sostenuti sono stati enormi. Non potendo offrire condizioni econo– miche ottimali (mercati, infra– strutture, stabilità), alcune na– zioni africane - per attirare tali in– vestimenti, in sintonia con la lo- ------------------------------------------------------------~--------- MC GIUGNO 2007 ■ 39

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