Missioni Consolata - Giugno 2007

I DOSSIER prive di pianificazione e servizi adeguati. In Cina (paese ufficialmente ur– banizzato per il 43% nel 1997), il numero ufficiale delle città è pas– sato da centonovantasei a seicen– toquaranta dal 1978 ad oggi. Tuttavia, la quota relativa delle grandi metropoli, nonostante la lo– ro straordinaria crescita, è in realtà diminuita rispetto all'insieme del– la popolazione urbana, e sono so– prattutto le «piccole» città e i bor– ghi recentemente diventati città ad aver assorbito la maggioranza del– la manodopera rurale costretta ad abbandonare le campagne dalle riforme successive al 1979. Anche in Africa, alla crescita esplosiva di alcune megalopoli co– me Lagos (passata dai 300 mila abitanti del 1950 ai 1 O milioni di oggi) si accompagna la trasforma– zione di decine di «piccole» città come Ouagadougou, Nouakchott, Douala, Antananarivo e Bamako, città ormai più popolose di San Francisco o Manchester. In America Latina, mentre in pre– cedenza la crescita era stata mo– nopolizzata a lungo dalle principali metropoli, oggi l'esplosione de– mografica awiene a Tijuana, Cur– tiba, Temuco, Salvador, Belem e al– tre città secondarie che contano tra 100 mila e 500 mila abitanti. Urbanizzazione non significa so– lo crescita delle città, ma anche tra– sformazione strutturale e crescen– te interazione di un vasto conti– nuum urbano-rurale. Al contrario, il nuovo ordine urbano potrebbe tradursi in una crescente disugua– glianza all'interno delle città e tra città con dimensioni e funzioni di– verse. La dinamica dell'urbanizzazione del terzo mondo sintetizza e nel contempo contraddice le prece– denti urbanizzazioni in Europa e Nord America nel xix e xx secolo. In Cina, paese essenzialmente rurale per millenni, la più importante ri– voluzione industriale della storia si realizza con lo spostamento, di una popolazione pari a quella eu– ropea, dalle profonde campagne verso un habitat di grattacieli e smog. Tuttavia, nella maggior parte dei paesi in via di sviluppo, la crescita urbana non è alimentata dall'ener– gia della potente macchina cinese dell'industria e dell'esportazione, né dal flusso costante di capitali stranieri. In questi paesi, il processo di ur– banizzazione è completamente svincolato dall'industrializzazione eda ogni forma di promozione so– ciale. L'URBANIZZAZIONE DELLA POVERTÀ L'esplosione delle bidonville è stata analizzata dal rapporto delle Nazioni Unite, «La sfida degli slums». Il testo, primo vero studio su scala mondiale sulla povertà ur– bana, comprende diverse inchieste locali, da Abidjan a Sydney, e sta– tistiche globali che includono per la prima volta la Cina e i paesi del– l'ex blocco sovietico. Il rapporto lancia un awertimen– to sulla minaccia planetaria della povertà urbana. Gli autori defini– scono le bidonville come spazi ca– ratterizzati da sovrappopolamen– to, abitato precario o informale, ri– dotto accesso all'acqua corrente e ai servizi igienici e vaga definizio– ne dei diritti di proprietà. Si tratta di una definizione pluri– dimensionale e in parte restrittiva, sulla base della quale si stima co– munque che la popolazione delle bidonville ammontava nel 2001 ad almeno 921 milioni di persone. Gli abitanti delle bidonville rappre– sentano il 78,2% della popolazio– ne urbana dei paesi meno svilup– pati e un sesto dei cittadini del pia– neta. Se si considera la struttura de– mografica della maggior parte del– le città del terzo mondo, almeno metà di questa popolazione ha un'età inferiore ai vent'anni. La quota più importante di abi– tanti di bidonville è in Etiopia (99,4% della popolazione urbana) e in Ciad (99,4%), seguono Afgha– nistan (98,5%) e Nepal (92%). Tuttavia, le popolazioni urbane più nella miseria sono certamente quelle di Maputo e Kinshasa, dove il reddito di due terzi degli abitan– ti è inferiore al minimo vitale gior– naliero. A Delhi, gli urbanisti deplorano l'esistenza di «bidonville all'inter– no di bidonville»: negli spazi peri– ferici, alla storica classe povera della città brutalmente espulsa al– la metà degli anni Settanta, si ag– giungono nuovi arrivi che coloniz– zano gli ultimi interstizi liberi. Al Cairo e a Phnom Penh, i nuovi arrivati occupano e affittano parti di abitazioni sui tetti, generando nuove bidonville sospese in aria. La popolazione delle bidonville è spesso deliberatamente sottosti– mata, talvolta in grandi proporzio– ni. Alla fine degli anni Ottanta, per esempio, Bangkok aveva un tasso di povertà «ufficiale» solo del 5%, mentre alcuni studi dimostravano che un quarto della popolazione (1, 16 milioni di persone) viveva nelle bidonville e in abitazioni di fortuna. Esistono oltre 250 mila bidonvil– le nel mondo. Le cinque grandi me– tropoli dell'Asia del Sud (Karachi, Bombay, Delhi, Calcutta e Dacca) ospitano quasi 15 mila zone urba– ne tipo bidonville, per una popola– zione totale di oltre 20 milioni di persone. Gli abitanti delle bidonville sono ancora più numerosi nella costa dell'AfricaOccidentale, mentre im– mense conurbazioni di povertà si estendono verso l'Anatolia e gli al– topiani dell'Etiopia, coinvolgono le zone ai piedi delle Ande e dell'Hi– malaya, proliferano all'ombra dei grattacieli di Città del Messico, Johannesburg, Manila, San Paolo e colonizzano le rive del Rio delle Amazzoni, del Congo e del Niger, del Nilo, del Tigri, del Gange, del– l'lrrawaddy e del Mekong. I nomi del «pianeta bidonville» sono tutti intercambiabili e allo stesso tempo unici nel loro gene– re: bustees a Calcutta, chawl e zo– padpatti a Bombay, katchi abadi a Karachi, kampung a Giacarta, iskwater a Manila, shammasa a Karthoum, umjondo/o a Durban, intra-muros a Rabat, bidonvilles a Abidjan, ba/adi al Cairo, gecekon– dou ad Ankara, conventillos a Qui– to, favelas in Brasile, villas miseria a Buenos Aires e colonias popu/a– res a Città del Messico. Un recente studio pubblicato dal– la «Harvard Law Review» stima che 1'85% degli abitanti delle città del terzo mondo non possie~e alcun titolo di proprietà legale. Eall'ope– ra una contraddizione stridente, perché il terreno dove crescono gli slums è di proprietà dei governi, mentre le case costruite sono in possesso degli structures owners, che impongono affitti salati ai po– veri urbani e che non hanno la pro– prietà nemmeno della baracca in cui vivono. I modi di insediamento delle bi– donville sono molto variabili, dalle invasioni collettive estremamente 1-------~-;-;;;~;~~;~;------------------------------------------------

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