Missioni Consolata - Maggio 2007

I I DOSSIER INTERVISTA A GIANFRANCO (ATTAI RILANCIARE LO «SVILUPPO» G ianfranco Cattai è un pezzo da novanta per quanto ri– guarda la cooperazione decentrata in Italia. Si può dire sia la memoria storica di questo processo. lavora da anni per l'Ong lvia di Cuneo per la quale è responsabile di comunicazione e territorio. Ci racconta l'originedella cooperazionedecentrata? Nasce agli inizi degli anni '90 a Bruxelles, quando alcune persone della Commissione europea e del sistema non governativo,teorizzano la necessità di promuovere un fe– nomeno di ampia diffusione. Nasce da una riflessione condivisa tra parlamentari europei, funzionari della com– missione e rappresentanti del sistema non governativo europeo che all'epoca si aggirava su circa 700 associa– zioni. La prima esperienza strutturale in Italia è stata alla fine degli anni '90 quella della Regione Piemonte, con quattro paesi del Sahel. Della cooperazione decentrata si possono dare tante definizioni, ad esempio in Francia è nata come cooperazione condivisa tra governo centrale e realtà locali, che collaborano con il Sud del mondo. L'innovazione dell'esperienza piemontese fu forte: un ap– proccio tra soggetti similari del Nord e del Sud, armoniz– zato dall'ente locale, dove questo non solo si metteva in gioco con l'ente omologo del Sud, ad esempio con il rafforzamento di capacità, ma era contemporaneamente in grado di valorizzare il territorio, le sue eccellenze a fa– vore di una realtà nel Sud. l'ente locale dunque capace di rinunciare alla tentazione di "progettare" in modo auto– nomo per poi affidare l'esecuzione ad operatori del pro– prio territorio. Èunodei pericoli che vedo, e limiterebbe la creatività e la libera iniziativa degli attori, profit e non pro– fit,dei singoli contesti. Quali sono gli altri rischi di questo metodo di fare coo– perazione? Spesso c'è tendenza diffusa che l'ente locale assuma o immagini di assumere il ruolo di una piccola o grande Ong: è un errore fondamentale. L'Ong è cittadinanza at– tiva che si è strutturata e si è data una missione specifica. Il ruolo degli eletti degli enti locali decentrati è innanzi– tutto quello di fare politica di cooperazione e di assu– mere le scelte amministrative congruenti e conseguenti. Non è unicamente attenzione all'azione ma anche al senso e cioè alla politica. C'è spazio per tutti rispettando le specificità, senza dimenticare che gli eletti hanno un mandato, anche nell'ambito della cooperazione interna– zionale. le Ong non pos– sono avere questa peculia– rità. La politica opera scelte che devono confrontarsi con il consenso e quindi hanno un forte valore.Gli or– ganismi spontanei non hanno questo confronto. Gli enti lo– cali possono attuare anche iniziative concrete in modo diretto ma non possono di– menticare che l'impegno as– sunto, a volte anche molto limi– tato, deve avere anche la capa– cità di legittimare e valoriz- ------------------------------- 40 ■ MC MAGGIO 2007 zare quanto soggetti profit e non profit del territorio fanno in modo autonomo o condiviso. Ha osservato un'evoluzione della cooperazione decen– trata in questidiecianni? Una grande evoluzione.Oggi è più chiaro che c'è volontà da parte degli enti locali e si possono esprimere in moda– lità diverse. Primo: mettere a disposizione dei fondi su proposta di terzi. Secondo fare, in proprio progetti in mododiretto.Terzo:mantenere la responsabilità culturale dell'azione ma farsi accompagnare da chi ha competenze specifiche (come per esempio le Ong che dovrebbero avere radici sia al Sud che al Nord).Quarto: rafforzamento istituzionale di soggetti similari al Sud. Si moltiplicano le esperienze in tutta Italia da questo punto di vista. Oggi assistiamo alla realizzazione di questi quattro livelli, che possono coesistere. In passato la situazione era più con– fusa. Che peculiarità ha questo metodo rispetto alla coope– razione governativa centrale? Nel tempo, a livello centrale, è aumentata la consapevo– lezza delle scelte che si dovrebbero operare, ma è dimi– nuita la tendenza a fare cooperazione allo sviluppo.Ci si è spostati verso temi come l'emergenza e la sicurezza in– ternazionale (vedi Afghanistan, Iraq). C'è sempre meno tensione e attenzione verso quella foresta da far crescere rispetto al concentrarsi sull'albero che cade. Spesso i fondi della cooperazione sono dirottati rispetto a queste questioni certamente urgenti ed anche più comprensi– bili a livello mediatico. Il problema è tornare a una coo– perazione capace di lavorare sugli obiettivi del millennio. Rispetto alle dichiarazioni dei nostri governi italiano ed europei, crediamo necessaria una lobby popolare che spinga per rilanciare questo tipo di cooperazione. La cooperazione decentrata ha quindi, tra l'altro, l'impor– tante ruolo di rilanciare la cooperazione allo sviluppo, e questo è un'opportunità affidata a ciascuno di noi. Evidentemente la cooperazione non si riduce alla dispo– nibilità di denaro, pur necessario. la mia preoccupazione maggiore è il fatto che non ci siano oggi in Italia luoghi dove riflettere sulla politica della cooperazione. Anche nel caso della nuova proposta di legge, si dibatte più de– gli aspetti strutturali (e sono quasi 20 anni!) e meno, per esempio su come dare risposte agli obiettivi del millen- nio. Non è solo un problema di investimenti economici ed organizzativi: anche se li moltiplichiamo i fondi non baste– ranno. Occorre un rilancio di «inte– ressi» per lo sviluppo. Il vero pro– blema è portare l'attenzione su per– corsi di cooperazione che coinvol- gano associazioni di giovani e di cate– goria, piccole imprese, ordini professio– n nali, università, scuole. Una coscienza · '4 collettiva che permetta di muovere ~ competenze, disponibilità, creando così un effetto moltiplicatore degli impegni pubblici e governativi. a cura di Ma.B. Perscambi d'opinione :italia@lvia.it ------------------------

RkJQdWJsaXNoZXIy NTc1MjU=