Missioni Consolata - Maggio 2007

- ■ BENIN ■■ ■■ ■■■ ---------------------------------------------------------------------------------------------------------- trasudano daOuidah,cittadina pia– cevole e tranquilla,ma che nei secoli xv11-x1x fu uno dei porti principali del commercio degli schiavi. Con un misto di emozione e tri– stezza percorriamo la «Route des e– sclaves» (strada degli schiavi), 4 km di strada sabbiosa di colore rosso, che collega la città alla Costa degli schiavi,sull'OceanoAtlantico. Per questa strada sono passati milioni di uomini e donne,strappati alla loro terra d'origine,con la connivenza degli stessi sovrani del Dahomey in cambiodi mercanzievarie,caricati sulle navi negrieree deportati nelle Americhe. La Route desesclaves sfocia nella «Porta del non ritorno»,monumen– to alla memoria, inaugurato nel 1995 dall'Unesco, per non dimenti– care i drammatici eventi dello schia– vismo che ha dissanguato il conti– nente africano. Nellevicinanze è statoeretto un altromonumento per ricordare l'ar– rivo dei primi missionari nel Benin, allora conosciuto come regno del Dahomey:l'italiano padre Borghero e lo spagnolo Fernandezapproda– rono aOuidah nel 1861. La gente del posto,con cui abbia– mo parlato,tuttavia, sembra ignora– re o quasi il dramma che ha colpito i propri antenati;forse perché essa è assillata da problemi più immediati, legati alla soprawivenza o ad altri motivi inconfessati. L'espressione popolare più vivacedi tale memoria è costituita al momentoquasi esclu- Ouidah: a sinistra la «porta del non ritorno»; sotto il monumento che ricorda l'arrivo dei primi missionari. sivamente dalle piccole statuette in bronzo, raffiguranti schiavi in cate– ne,vendute nei pressi della Porta del non-ritorno,il cui valore non va oltre il puro richiamo turistico: un mini– mercatino degli schiavi. ILSOGNODI AGOSTINO AOuidah conosciamoAgostino, un ragazzo di circa 18anni,gentile e premuroso, che per tre giorni ci gui– da alla scoperta della città. La comu– nicazione non è facile:egli parla be– ne il francese e conosce pochissimo l'inglese; noi un po'di inglese e po- che parole di francese. Con un mistodi francese e inglese Agostino fa di tutto per farsi capire. Ci dice che ha un grande sogno:ve– nire in ltalia,o in un altro paeseeu– ropeo, ed entrare nel mondo del cal– cio.Ma sa bene che, almeno per ora, il suo sogno rimane nel cassetto. Si vede chiaramente che la sua terra comincia a stargli stretta e non vede l'ora di fare nuove esperienze fuori del continente. Vestito tipicamenteall'occidenta– le, con un basco piegato sul davanti a coprire i suoi capelli ricci,camicia di lino bianca ejeans all'ultima mo– da,mostra una evidente volontà di distinguersi dal resto dei suoi com– paesani.Quando camminaal nostro fianco ostenta fierezza,accentuata ulteriormentedi fronte ai suoi coe- tanei;spessoci prende per mano, un gesto che ci fa piacere, perché nella cultura locale è segno di fraterna a– micizia.Di fatto, per tutto il resto del viaggioavremomodo di constatare come taleatteggiamento sia tipico del beninese medio,giovane o an- 1 ziano,verso l'uomo bianco o yo-vo, come sonochiamati gli europei. Agostino sembra affezionarsi sempre più di giorno in giorno e ci tiene ad essere apprezzato.Grazie a lui riusciamo asuperare tanti impre– visti e visitare gli angoli più nascosti e tipici di Ouidah,fino ad assisterea una «rappresentazione»vodù.Ci porta perfino a casa sua e ci mostra dove dorme: un sottoscala con un letto e una zanzariera.Non riuscia– mo a credere che in una situazione ------------------------------------------------------------------·-------------------------- 18 ■ MC MAGGIO 2007

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