Missioni Consolata - Aprile 2007
Rupert Murdoch, che spazia dall'Australia agli Stati Uniti, dalla Gran Bretagna all'Italia (dove possiede la televisione satellitare Sky). Ora, la prima conseguenza della concentrazione è la riduzione del pluralismo (esempio: se tutti i principali telegiornali dicono che i cattivi sono quello stato o quel gruppo, è evi– dente che con più difficoltà il pubblico potrà elaborare un'idea diversa; è accaduto per tutte le ultime guerre dall'Afghanistan all'Iraq, dal Libano alla Somalia fino al possibile, prossimo attacco all'Iran). D'altra parte, la crescita di potere delle multinazionali produce altre gravi conseguenze:la sottomissionedell'informazione al potere economico (esempio: «se parlate male di quell'industria, di quella banca, di quel farmaco, di quella grande opera,di quel fondo d'investimento o di quella privatizzazione, i vostri posti di lavoro saranno a rischio»; «se scrivete che i Suv sono una mostruosità ambientale, il nostro ufficio marketing si rivolgerà ai vostri concorrenti») (3) da cui - nessun dubbio al ri– guardo - dipende il potere politico (esempio: «se tu po– litico ti schieri diversamente, io ordino ai miei giornali e alle mie televisioni di fare una campagna controdi te e il tuo partito»). Ancora più complesso è il caso italiano. In Italia, infatti, forse non sarà mai possibile una riforma del sistema della comunicazionee in particolare del sistema televi– sivo. Eil motivo è presto detto: chi è da tempo sul mer– cato (la Rai, ma soprattutto Mediaset), non vuole per– dere neppure una fettina della torta pubblicitaria di cui si è impossessato. Con una duplice conseguenza: i pro– grammi (in primis, quelli di Mediaset) trasudano pub– blicità e gli altri media (in particolare, la stampa) non raccolgono pubblicità sufficiente a far quadrare i bi– lanci,mettendoquindi a rischio la loro indipendenza o, per i più piccoli tra essi, la loro stessa sopravvivenza. LEGGERE OVEDERE? VEDERE,VEDERE,VEDERE Torniamo alla tv e cerchiamo di capire perché ha sur– classatogli altri media.La prima risposta è (apparente– mente) facile facile: leggere costa più fatica che guar– dare. Come ha splendidamente spiegato Giovanni Sartori: «La televisione - lodice il nome - è "vedere da lontano" (tele), e cioè portare al cospetto di un pubblicodi spet– tatori cose da vedere da dovunque, da qualsiasi luogo e distanza. Enella televisione il vedere prevale sul par– lare, nel senso che la voce in campo, o di un parlante, è secondaria, sta in funzione dell'immagine, commenta l'immagine. Ne consegue che il telespettatore è più un animale vedente che non un animale simbolico. Per lui le cose raffigurate in immagini contano e pesano più delle cose dette in parole. Equesto è un radicale rove– sciamentodi direzione, perché mentre la capacità sim– bolica distanzia l'homo sapiens dall'animale, il vedere lo riavvicina alle sue capacità ancestrali, al genere di cui l'homo sapiens è specie» (4). Insomma, «l'homo sa- ■ MISSIONI piens viene soppiantato dall'homo videns». In Italia, il Censis distingue S categorie di utenti dei me– dia: i pionieri (con 8 o più di– versi media), gli onnivori (con 6-7 media), i consuma– tori medi (con 4-S media), i poveri di media (con 2-3 me– dia) e i marginali (con un solo mezzo). Tra i marginali, la categoria meno evoluta di utenti dei media, la tele– visione è il mezzo nettamente prevalente. Nel 2006, la popolazione italiana ha usato la televisione (94,4%), i quotidiani (S9,1%), i libri (SS,3%), internet (37,6%). La televisione, dunque, vince alla grande,ma - dicono le indagini - il grado di soddisfazione degli utenti è modesto (5). Lo strapotere della televisione è chiarito dai numeri. Nel 2006 il quotidiano più letto d'Italia è stato La Repubblica, con una media giornaliera di 3.01S.000 lettori (6). Confrontiamo questo dato con alcuni dati televisivi relativi al 21 e 22 febbraio: il Tg2 delle 20.30 ha avuto un'audience di 3.131.000 spettatori; il pro– gramma di intrattenimento Cultura moderna slurp ha avuto S.S19.000 e il reality show GrandeFratello è arri– vato a S.693.000 spettatori (7). L'OBIETTIVITÀ? NON ESISTE Altra risposta per spiegare la vittoria della televisione sugli altri media, potrebbe essere quella di una mag– giore credibilità della tv. Sfortunatamente, l'obiettività non esiste. Non puòesi– stere. Tanto meno in televisione. Scrive Claudio Fracassi: «La distinzione, necessaria ma non ovvia, tra fatti e notizie, tra realtà e racconto, si confonde quando - attraverso la tv - siamo messi apparente– mente in grado di vedere i fatti, e quindi di viverli di– rettamente. L'immagine - essa stessa frutto di una scelta (quella certa fetta di realtà, quella certa inqua– dratura) - ha assunto la forza propria della concre– tezza e della verità. (...) Eppure dovrebbe essere evi– dente che l'immagine della cosa non è la cosa, né può sostituirsi ad essa» (8). «La televisione - scrive la psicologa Anna Oliverio Ferraris - ha l'ambizione di mostrare la realtà.Ma men– tre la mostra la filtra, la trasforma. E lo fa secondo le proprie regole. Secondo la propria ottica. (...) Purtroppo però la gente, molta gente, crede cieca– mente a ciò che vede in tv, soprattutto nei Tg grazie al clima di autorevolezza che li circonda. (...) Prendiamo il caso dell'uomo politico che, nel corso di una manife– stazione, si trovi al centro delle proteste di un gruppo di cittadini: il giornalista, insieme all'operatore, può decidere di mostrare, attraverso le immagini e il più fedelmente possibile, ciò che sta avvenendo indipen– dentemente dalle proprie simpatie politiche; oppure può accentuare la protesta inquadrando soltanto il gruppo dei contestatori e non il resto dei partecipanti; può anche, al contrario, ridurre le immagini della pro– testa confinandola a un impercettibile sottofondo ---------------------------------------------------------------------- MC APRILE 2007 ■ 31
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