Missioni Consolata - Febbraio 2007

vicini (almeno per professione), sono molto lontani e mormorano contro di lui, perché agisce fuori dai loro schemi: non sanno superare il loro limite; 3) i pubblica– ni-peccatori si dispongono ad ascoltare, cioè a entrare in sintonia di cuore e di anima; al contrario dei farisei-scri– bi, che parlano per condannare e disprezzare, «dicendo: Costui riceve i peccatori e mangia con loro» (v. 2). : È il capovolgimento radicale delle situazioni: chi crede : di credere è ateo, chi è stato giudicato ateo e gettato fuo- 1 ri invece è credente, è parte della chiesa. Lo stesso atteg- 1 giamento troviamo in Mc 3,31-35, quando Gesù accredi– : ta come «sua famiglia» non quella di sangue, ma quella di : «elezione»: «Giunsero sua madre e i suoi fratelli, e stando : fuori, lo mandarono a chiamare... Girando lo sguardo su l quelli che gli stavano seduti attorno [cioè dentro], disse: l Ecco mia madre e i miei fratelli! Chi compie la volontà di : Dio, costui è mio fratello, sorella e madre». Anche qui la ! contrapposizione è tra «fuori»e «seduti (dentro)». : Lo stesso clima si respira alla fine della sezione dove la : contrapposizione è tra chi ascolta e chi deve ricevere il l perdono: «Anche se [tuo fratello] peccasse sette volte al : giorno contro di te e per sette volte ti dicesse: Mi pento. : Tu perdonalo/gli perdonerai• (17.4). Gesù usa l'imperati– ' vo alla 2' persona singolare, allo stesso modo di Yhwh : quando trasmette i comandamenti a Mosè sul Sinai (Es : 20,2-17; Dt 5,6-21). : Il perdono non è una pia pratica di pietà né un atteg– : giamento ascetico di purificazione in vista di una ricom– : pensa futura, ma assume la veste solenne di un coman– ' <lamento. Il perdono, infatti, non è facoltativo, ma è un : imperativo che adempie l'Alleanza nuova. Il perdono è la : rivelazione della vera natura di Dio, che chi crede deve 1 rendere visibile e sperimentabile. Perdonare significa ' aiutare gli altri a «toccare il Verbo della vita» (cf 1 Gv 1,1) 1 perché è la vera novità dell'evento Gesù Cristo. Solo all'interno di questo clima possiamo accostarci al– la rilettura della parabola prendendo coscienza che essa ' è stata scritta apposta per ciascuno di noi e ora la ri-leg– giamo come se fosse la prima volta. Non ci limitiamo so– lo a una esegesi fredda e scientifica, ma cercheremo di danzare insieme alla Parola, evocando tutto ciò che essa 1 suscita in noi, per la nostra vita spirituale e di preghiera. I ' : V. 11 a: «E DISSE» ' 1 I:espressione solenne e maestosa, propria del verbo : principe della narrativa, «e disse» apre la parabola come I al v. 3 apriva quella del pastore e della donna. li sogget– to sottinteso di tale verbo è Gesù, che è nominato in 14,16 e poi si passa direttamente a 17,11: in tutto il capi– tolo 15 Gesù non è mai nominato nemmeno come «nar– ratore». Questa assenza letteraria mette maggiormente in evi– denza la sua Presenza come «Parola» che annuncia il «van– gelo della misericordia giusta» di Dio, quasi a volerci in– segnare che non dobbiamo fermarci mai alle apparenze, se vogliamo cogliere il cuore dell'altro. Dio è «Assente– Presente», discreto e silenzioso, che solo nel più intimo del più profondo di noi stessi e degli altri possiamo in– contrare e «vedere». Anche sulla barca in mezzo alla tem– pesta sembrava dormire, ma al momento opportuno, la sua «Parola• domina le acque e i venti tempestosi (cfMc 4,35-41). Nel segno della coerenza. I..:espressione «e disse», sia nella linea narrativa principale (come è qui in Le) sia nella linea secondaria di commento aggiuntivo, nella bibbia ebraica ricorre 2.084 volte, nella bibbia greca della Lxx 2.337 volte, nel NT 125 volte. Una cifra impres– sionante che mette in evidenza la centralità della «Paro– la» in tutta la storia della salvezza. Le due parabole di Le 15 sono «Parola di Dio», procla– mata dal Lògos stesso per dare compimento alla profezia di Isaia, che Gesù fa sua nella sinagoga di Cafarnao, quan– do si appropria della sua personalità di messia della nuo– va Alleanza: «Mi ha consacrato con l'unzione (= sono il messia) per annunziare ai poveri il vangelo e proclamare un anno di grazia del Signore» (Le 4,18-19; cfls 61,1-2). l poveri a cui va annunciato il vangelo sono i peccatori, re– probi, assassini, ladri, immorali, impuri, gli esclusi, le pro– stitute e tutte le categorie di persone che il perbenismo di ogni tempo condanna come fecero gli scribi e farisei. Dabar. parola e fatto. È Dio che parla e annuncia la salvezza del perdono, ma non come propositood obiet– tivo, ma come evento che si compie nel momento stesso in cui Lui «dice». Dio, quando parla, crea e realizza quello che dice, come evidenzia il 1· capitolo della Genesi, dove per 10 volte Dio parla «facendo» la creazione: «Edisse Dio: "Sia la luce''. E la luce fu» (Gen 1,3; cf vv. 6.9.11.14.20. 24.26.28.29). Dio parla agendo e agisce parlando, perché in lui la parola è fatto, fino all'incarnazione inaspettata de! Figlio: «Il Lògos (Parola) carne fu fatto• (Gv 1,14). E ciò che sperimentiamo nell'eucaristia, dove la Paro– la che ascoltiamo diventa il pane del nutrimento e il san– gue della vita. In ebraico c'è un termine «dabar» che è verbo e sostantivo: significa contemporaneamente sia «parlare/parola» che «fatto/avvenimento». Parola effica– ce: «Cosl sarà della parola uscita dalla mia bocca: non ri– tornerà a me senza effetto, senza avere operato ciò che desidero e senza avere compiuto ciò per cui l'ho manda– ta» (ls 55,11; cfDt 32,2; Zc 1,6). Per gli uomini spesso le parole sono suoni vacui e an– che muti: si pronunciano quantità enormi di parole sen– za dire nulla. Si parla e si resta muti. Si parla, si parla e crolla la comunicazione: «La polvere delle morte parole ti copre, lavati l'anima nel silenzio» (Tagore). La chiac– chiera ha preso il sopravvento. Tutti parlano al telefoni– no, sempre, e ognuno è sempre più solo e isolato. ·------------ ----·-·-------·----------~ -------------- ----J••------ - -- 66 ■ MC FEBBRAIO 2007

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