Missioni Consolata - Febbraio 2007

sviluppo, più precisamente: l O quotidiani, S radio, 2 televisioni e 2 posti cinema ogni l 00 persone. Negli anni '60 e '70 l'enfasi po– sta sulle capacità, da parte dei singoli individui, di rinunciare alla tradizione venne sostituita da una sottolineatura marcata delle barriere sociali, economiche e culturali. Cominciò a diffondersi la coscienza di quanto fossero ineguali i meccanismi di scambio, anche relativamente alla risorsa informazione. Si prese coscienza del controllo pressoché totale del mondo dell'informazione da parte dell'Occidente. Nell'ottobre 1970, alla conferenza Unesco di Parigi, per la prima volta si parlò di «squilibrio dell'informazione», evidenziando la necessità di un «nuovo Ordine mondiale della co– municazione». Nel 1973, alla con– ferenza di Algeri, venne avanzata la proposta di dare vita a un'a– genzia stampa dei paesi non alli– neati. LE SCOMODE VERITÀ DEL «RAPPORTO MACBRIDE» Nel 1980 il processo raggiunse il suo culmine con il Rapporto MacBride (presentato all'assem– blea Unesco di Belgrado), ancora oggi un punto di riferimento indi– spensabile per tutti coloro che si occupano di informazione nei paesi poveri. Esso indicava come obiettivo primario !'«eliminazione di squilibri e disparità negli stru– menti della comunicazione» e de– finiva il nuovo Ordine mondiale della comunicazione come «lo stabilirsi di nuove relazioni deri– vanti dai progressi annunziati dalle nuove tecnologie e di cui dovrebbero beneficiare tutti i po– pqli». E importante la caratterizza- 42 ■ MC FEBBRAIO 2007 zione dell'informazione che il rapporto offriva: «strumento di potere», «arma rivoluzionaria», «mezzo educativo», «strumento di liberazione o di oppres– sione»... Dai termini usati è evi– dente la sottolineatura del pro– blema del controllo dell'informa– zione e dell'influenza da questa esercitata sull'azione sociale, e sulle diseguaglianze che essa fi– nisce per alimentare e ratificare, confermando il predominio di chi è più potente e meglio attrezzato. Un nuovo Ordine mondiale può fondarsi soltanto sull'uguaglianza dei diritti, sull'indipendenza, sullo sviluppo libero e autonomo di paesi e popoli. Il documento suscitò, com'è fa– cile immaginare, polemiche e proteste. Lo scontro si protrasse per tutti gli anni Ottanta, soprat– tutto in sede Unesco, fino a met– tere seriamente in crisi l'organiz– zazione: dapprima gli Stati Uniti e in seguito la Gran Bretagna deci– sero di abbandonarla, con l'ac– cusa di aver trasformato i propri programmi sociali in veicoli di azione politica, sotto lo sguardo complice dell'Unione Sovietica e dei suoi satelliti. «NUOVO» ORDINE O «VECCHIO» DIRITTO? A partire dagli anni '90, il dibat– tito comincia a perdere le conno– tazioni più ideologiche e ad ac– quistare un certo pragmatismo. La richiesta di un «nuovo Ordine mondiale della comunicazione» viene progressivamente accanto– nata, così come l'obiettivo di giungere a una completa emanci– pazione dei media esistenti nei paesi più poveri. La causa è da ri– cercarsi nella progressiva dege– nerazione delle nuove democra– zie, nate con la decolonizzazione, verso sistemi di governo autocra- tici e illiberali. Diventa evi– dente che, all'interno di molti paesi del Sud, i me– dia rimangono monopo- lio di regimi autoritari e l'informazione viene manipolata a scopo di potere. A conti fatti, si sono rivelate effimere en– trambe le illusioni: quella della modernizza– zione (diffusa nel dopo– guerra) e quella di un'au– tomatica funzione di eman- cipazione, in senso democratico, dei media (diffusa negli anni '70): si sono dimostrati decisivi fattori fino a quel momento trascurati, perché relativi alla sfera micro an– ziché quella macro: chi produce l'informazione, chi sono i forma– tori del consenso, quali strumenti di valutazione critica sono dispo– nibili ai cittadini; e soprattutto, quanti sono i cittadini in grado di acquistare un apparecchio televi– sivo, o saper leggere un giornale. Quando, alla fine degli anni '90, comincia a porsi con forza il pro– blema della democratizzazione della comunicazione e del con– trollo dell'informazione, è ormai troppo tardi. Il processo di globa– lizzazione e le forze del mercato concorrono a sganciare i media dai singoli governi nazionali e a consegnarli nelle mani dei grandi gruppi di potere. La possibilità, da parte di go– verni e istituzioni, di elaborare politiche adeguate e di indiriz– zare i processi in corso si fa sem– pre più esigua, anche perché l'informazione perde gradual– mente il suo ruolo di «bene pub– blico» e viene progressivamente privatizzata. Domina una sola legge, quella del rendimento, e i media sono ormai diretti da ma– nager spesso interessati solo ai profitti e alle quotazioni in borsa dei titoli. Esiste poi una preoccupante tendenza verso la concentrazione dei media, legata alla diffusione di economie neo-liberiste e allo sviluppo tecnologico. L'enfasi su un contenuto orientato al pro– fitto, e alimentato dalla pubbli– cità, ha già portato a una diminu– zione del ventaglio delle possibi– lità di scelta e a una perdita di spazio per il dibattito informa– tivo. Anche lo spettro audiovi– sivo, che è di dominio pubblico, è sotto l'assedio degli interessi commerciali. Alle persone co– muni è reso sempre più difficile l'accesso a canali mediatici indi– pendenti e a visioni alternative del futuro. Per i paesi del Sud si apre una nuova sfida: non più soltanto l'o– biettivo di un'informazione più equilibrata e più rispondente ai loro bisogni, ma la difesa del «diritto all'informazione», ov– vero la possibilità di accedere li– beramente a questa preziosa ri– sorsa. •

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