Missioni Consolata - Febbraio 2007

DAL « COMPUTER A MANOVELLA» AL « SIMPUTER», DA BOSTON A BANGALORE D urante il «Verticemondiale sulla Società dell'informa– zione», svoltosi aGinevra nel dicembre 2003, una no– vità del tutto particolare catturò l'attenzione degli ad– detti ai lavori,facendo non poco sogghignare i giornalisti presenti. Era quello che venne prontamente battezzato «computer amanovella», in realtà un ambizioso progetto di computer a basso costo. Completamente rivestito da gomma a prova di urto (per resistere a condizioni am– bientali awerse) includeva anche una manovella per for– nire energia in quegli angoli del globo dove la corrente elettrica è ancora un'utopia. Ogni minuto di manovella equivale a dieci minuti di funzionamento.Tale computer, secondo i suoi ideatori, avrebbe dovuto costituire una speranza di inclusione tecnologica per molte persone povere del Sud. Molto più significativo, in quanto maggiormente attento alla dimensione culturale, si era rivelato il progetto «Simputer», un piccolo portatile a basso consumo in grado di «leggere» il testo trovato sulle pagine web in un certo numero di lingue native indiane e dunque partico– larmente adatto al gran numero di utenti analfabeti pre– senti in quell'area geografica. li segreto risiede in un ap– posito software, che consente al Simputer di riprodurre ben 1200 suoni elementari, adeguati alla maggior parte delle lingue indiane. La differenza qualitativa tra il «computer amanovella» e il «Simputer» risulta lampante se si pensa che il primo è stato concepito nei laboratori del Media Lab di Boston, mentre il secondo è stato creato da un nutrito gruppo di scienziati e ingegneri indiani di Bangalore. La dimen– sione culturale appare imprescindibile in ogni creazione proveniente dall'India, crogiolo di lingue e di culture. Ed è ancora più rilevante nel caso del software che, ben lungi dall'essere un prodotto tecnologico, è soprattutto il frutto di un lavoro culturale, di un lungo processo artigia– nale messo in moto dall'ingegno dei programmatori. IL SOFTWARE: UNGU~ ICON~ COLORI Chi non fosse convintodell'importanza della dimensione culturale del software, può provare il seguente esperi– mento. Apra il proprio browser (un software), si colleghi a internete utilizzi un motorediricerca (un altro software),magari Google, di gran lunga il più comune. Sarà sorpreso nel notare che è possibile effettuare ricerche in una lingua come l'estone, parlata da nemmeno un milione di individui, mentre non è possi– bile ottenere risultati nella lingua hindi, che conta circa 400 milioni di parlanti. Come è possibile? La causa è da ri– cercarsi nella mancanza di uno standard univoco nella codi– fica della lingua hindi, a sua volta frutto di una disatten– zione tecnolo– gica nei con– fronti di quest'a– rea culturale. 36 ■ MC FEBBRAIO 2007 Pressoché tutti i linguaggi di programmazione, i sistemi operativi e le applicazioni maggiormente diffusi a livello mondiale sono scritti, almeno in origine, nella Ungua in– glese. L'uso di tali programmi da parte di persone che non parlano la lingua inglese richiede un processo di adattamento del tutto particolare, chiamato «localizza– zione,>. La localizzazione è ben più che una semplice traduzione dalla lingua di origine a quella di destinazione. Essa ri– chiede una profonda capacità, da parte dei programma– tori, di adattare le proprie creazioni alla cultura dell'uti– lizzatore, di cui la lingua non è che una delle espressioni. Pensiamo, per fare qualche esempio,a quanta attenzione debba essere prestata alle icone grafiche, ormai compo– nente irrinunciabile dei moderni sistemi operativi. Uno stesso simbolo può assumere significati completamente diversi in un'altra cultura. Oppure si pensi al linguaggio dei colori: mentre il rosso indica «stop» o «pericolo» nei paesi occidentali, esso può significare «vita» o «speranza» in altre culture. Gu ERRORI DI MICROSOFT Un altro esempio è dato dalla tipologia di scrittura di una lingua: i caratteri utilizzati dall'alfabeto, la particolare mo– dalità di scorrimento del testo. Ugualmente importanti sono il modo in cui vengono scritte le date, il calendario adottato, le modalità di ricerca utilizzate dai dizionari in– corporati nei programmi di videoscrittura. Questi aspetti sfociano facilmente nella dimensione poli– tica: i bambini delle regioni andine del Perù dovrebbero usare programmi localizzati in quechua o in spagnolo? Le scuole e gli uffici di Calcutta dovrebbero adottare software in bengali, in hindi o in inglese? Nel 1992 Microsoft introdusse in Cina programmi software localizzati in lingua cinese. Questi però, piut– tosto maldestramente, erano stati impostati con un in– sieme di caratteri utilizzato nella Cina pre-rivoluziona– ria, oggi non più in vigore se non aTaiwan. I rappresen– tanti della Cina Popolare si ritennero offesi dal fatto che una decisione cosl importante fosse stata presa negli Stati Uniti, senza il coinvolgimento di agenti locali. I rapporti tra l'azienda informatica e le autorità cinesi diventarono cosl problematici e si deteriora– rono rapidamente negli anni successivi. Questo esempio dimostra come una decisione tecnica in apparenza banale abbia assunto un significato poli– tico e culturale che non si era saputo prevedere e che ha condotto in se– guito a pesanti ripercus– sioni di carattere econo– mico: l'azienda leader mondiale nel campo del software è stata di fatto esclusa dal più grande mercato del mondo.

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