Missioni Consolata - Febbraio 2007
Il ,, .. CARA, VECCHIA RADIO Nella comunità di Kothmale, un'area di ben 350.000 persone dello Sri Lanka, si è realizzata un'originale fusione del mezzo radiofonico con quello telema– tico. La «Kothmale Community Radio» ( www.kothmale.org ) tra– smette quotidianamente un pro– gramma di un'ora, basato sulle semplici domande degli ascolta– tori, cui si provvede a dare rispo– sta con l'aiuto di internet. A que– sto scopo, è stato anche imple– mentato un database contenente le informazioni più richieste; mentre alcuni punti di accesso in– ternet comunitari vengono utiliz– zati come portali per effettuare trasmissioni dal vivo dall'interno della comunità. La «radio comunitaria» ha una storia molto lunga: essa è stata impiegata per raggiungere fasce -----------– ' di popolazione ampie, soprat– tutto quelle non alfabetizzate o quelle che vivono in aree con scarse infrastrutture. Il vantaggio delle radio è quello di avere un costo alquanto basso e di essere disponibili anche quando manca l'energia elettrica, per esempio alimentate da batterie solari. È un peccato che esperienze si– mili a quella di Kothmale non si siano replicate in gran numero nel continente africano, dove la radio è lo strumento di gran lunga più utilizzato e la telefonia mobile è ben più che una pro– messa, grazie a una configura– zione geografica favorevole (i cel- 1ulari privilegiano i territori pia– neggianti) e al carattere di oralità della cultura africana. Questi esempi gettano una luce nuova sul rapporto controverso tra nuove tecnologie e paesi in via di sviluppo. Troppo spesso il nostro immaginario si è nutrito di immagini deformate: pensiamo alle raffigurazioni di villaggi in cui un personal computer, che spunta nel mezzo delle capanne, viene venerato da un gruppo di indigeni straniti, che non ne capi– sce la funzione. Si potrebbero ag– giungere molti altri stereotipi si· mili a questo: essi hanno pur– troppo grande peso nella pubbli– cistica, ma scarso riscontro nella realtà. «VENDO CAPRE»: SU INTERNET Qualche anno fa, un esperto della Banca mondiale si è re– cato in Etiopia per parlare di e-business e ha esordito di– cendo: «Immagino che nes– suno di voi sappia che cosa sia un sito internet». Un tale ha alzato la mano e a sorpresa ha replicato: «lo lo so. Vendo capre su in– ternet... Ci sono molti tassisti etiopi a Chicago, New York e Washington. La tradizione vuole che regalino delle capre alle loro famiglie rimaste in Etiopia e così io gliele vendo da un cyber– caffè... ». Questo aneddoto, tratto da un gustoso libro di Sergio Carbone e Maurizio Guancialini (intitolato appunto Vendo capre - su Internet) serve a smentire un luogo comune tra i più radicati: che le comunità povere delle aree rurali abbiano bisogni «primitivi» e che le loro società siano auto– sufficienti e chiuse. Al contrario, nella maggioranza dei casi, sono popolate di piccoli imprenditori e di cooperative locali, che hanno bisogno di informazioni sullo stato del mercato, sui prezzi cor– renti e sulla previsione di do– manda per i loro prodotti e ser– vizi: dai prodotti agricoli all'arti· gianato, dalle risorse naturali al turismo. C'è bisogno di frequen· tare i mercati per accaparrarsi po– tenziali clienti, di comunicare con altri partner per concludere ac– cordi, organizzare i trasporti, ecc. .. Senza dimenticare che, af– finché delle imprese concorren– ziali si possano sviluppare nelle zone rurali, è necessario accedere ai servizi governativi e disporre di informazioni in merito alle im– poste e alle sovvenzioni. Privi di conoscenze rilevanti e della capa– cità di comunicazione necessaria per analizzarle e condividerle, i piccoli produttori rischiano di ri– manere alla mercé del mercato mondiale. Se volessimo ricavare una le– zione, potremmo sintetizzarla così: i poveri non hanno stretta– mente bisogno di computer, ma di informazione. Un'informazione che abbia senso per la loro vita quotidiana e che, grazie anche a tecnologie semplici e accessi·
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