Missioni Consolata - Gennaio 2007

fendere l'identità collettiva di un popolo. In quanto (letteralmente) «custodi della vera fede» sono an– che tradizionaliste e critiche nei confronti di una netta separazione fra chiesa e stato. In definitiva, dunque, l'intreccio fra religione e fede è inestricabile. Nelle attuali condizioni storiche non si può mirare a una fede pura che faccia a meno della religione. Ma è sempre possibile attuare una forte critica delle religioni a partire dalla fede. Non si può pretendere di essere gli unici custodi dell'uni– ca fede vera, relegando tutti gli al– tri nell'errore. L'unica via che le re– ligioni possono percorrere verso la pace è quella di un dialogo ecume– nico e interreligioso, condividendo la consapevolezza che l'eccesso di religione è fonte di conflitti. Giampiero Comolli LA FEDE..• NON È MAl TROPPA I l cristianesimo deve mantenere distinte fede e religione. In tutti i vangeli Gesù polemizza dura– mente con coloro che ne mescola– no i piani. Con Karl Barth, andrei ol– tre la distinzione arrivando a con– trapporle. Nella visione, assai «protestante», di questo importan– te teologo del xx secolo, «l'uomo re– ligioso» diventa il peccatore per an– tonomasia. «Peccato» è proprio il «tentativo religioso» di raggiunge– re Dio: che Gesù denunzia come il– lusione e «giogo», al quale la reli– gione (di scribi e farisei) vuole sot– toporre la gente del suo tempo. Una denunzia radicale da com– prendere con intelligenza. Anche nella bibbia è sempre estrema– mente difficile, direi impossibile, distinguere fra la rivelazione di Dio e il modo in cui gli esseri umani l'hanno ricevuta. Come cristiani dobbiamo vigila– re sulle possibili confusioni tra fe– de e religione, pericolosissime e foriere di tragedie: le crociate, il co– lonialismo perpetrato nel nome di Dio, il «Dio è con noi» riportato sul– le fibbie dei cinturoni dei soldati nazisti... Bisogna mantenere una netta discontinuità fra Dio e l'uo– mo, affinché neppure l'autorità del– la chiesa si sostituisca a quella del vangelo. La fede, invece, non è mai «trop– pa», poiché è la condizione di chi è afferrato da Dio; non è mai una yirtù, né un privilegio di qualcuno. Epiuttosto una vocazione. O ggi si assiste a una sindro– me da ripiegamento identi– taria pericolosissima, in gran parte veicolata dalle religioni. In nome della distinzione fra reli– gione e fede non dobbiamo !a– sciarci strumentalizzare da chi vuo– le terrorizzare gli altri evocando lo scontro fra cristianesimo ed islam. lo non credo sia in atto uno scon– tro fra civiltà. A scontrarsi sono teocrazia e fondamentalismo da una parte; tolleranza e dialogo dal– l'altra. La posizione integralista e quella del dialogo sono presenti in tutte le religioni, bisogna lavorare perché si diffonda e affermi la se– conda. Mi pare inaccettabile, per esem– pio, la convinzione di chi, in Italia, pone il discorso dei diritti e della li– bertà (di coscienza, di fede, di espressione) sul piano della reci– procità. Concedere questi diritti so– lo nella misura in cui anche gli altri stati (Arabia Saudita, Sudan ...) li concederanno, significa declassare il vangelo, che è gratuito, a merce di scambio. Dobbiamo invece fa– vorire la convivenza pacifica di cul– ture e religioni diverse, iniziando dal nostro paese e seguendo l'e– sempio di Gesù nel suo incontro con la samaritana (Giovanni 4). Un incontro vietato: giudei e sa– maritani non si parlavano da ge– nerazioni; il disprezzo dei giudei per i samaritani era assoluto; e la donna, avendo avuto molti mariti e compagni, aveva una pessima re– putazione. Ma Gesù parla e fa par– lare. Questo dovrebbero essere le chiese «cristiane»: luoghi di un dia– logo possibile con chi è diverso. Chiedendole poi da bere Gesù si pone in una condizione di dipen– denza dalla donna. Ci dice che ognuno di noi ha bisogno degli al– tri. Viviamo tutti in una situazione di interdipendenza reciproca, che troppo spesso dimentichiamo. Il dialogo, la mutua comprensione e la convivenza sono possibili solo su queste basi. Infine, Gesù pronunzia le famo– se parole: «L'ora viene che né su questo monte, né a Gerusalemme, adorerete il Padre. l veri adoratori adoreranno il Padre in Spirito e ve– rità». Non vi sono più luoghi sacri o templi, semplicemente una rela– zione diretta con Dio, che prescin– de dalle istituzioni, dalle tradizio– ni, dalle norme religiose. È il supe- Quella che avete presentato non è un'eccessiva demonizzazione della religione? Ho enfatizzato la distinzione fra religione e fede, perché oggi la re– ligione è troppo forte e la fede troppo debole; è necessario un mag~ riequilibrio ma religione e identità non sono valori da abolire. Camalli L'appartenenza alla chiesa aiu– ta; la chiesa è necessariamente comunitaria. Ho bisogno di co.r frontarmi con gli altri, di pregare assieme. Non può esistere un mondo a-religioso. D'altra parte è vero che in occasione dei conflitti le religioni sono strumentalizzate, ma sono anche convinto che le chiese hanno un po' lasciato fare e non hanno denunciato a suffi– cienza i genocidi. Genre ramento della religione, che porta con sé l'espressione di una fede li– bera e liberante. Giovanni Genre GIAMPIERO (OMOLLI, studioso dei mutamenti religiosi nel mondo contemporaneo, giornalista, saggista e scrittore, collabora con diverse testate per le quali scrive resoconti di viaggio e ha pubblicato diversi saggi, tra iquali: Buddisti d'Italia viaggio tra i nuovi movimentispirituali, lpellegrini le/l'Assoluto, storie di fede espiritualità raccolte tra Oriente eOcciaente. GIOVANNI GENRE, originario del Piemonte, laureato presso la Facoltà valdese di Roma, con studi in Scozia e Germania, nel 1984 è stato consacrato pastore della chiesa valdese eha esercitato il suo ministero a Torino, in Calabria, Ivrea, Biella, Val Pellice. Eletto mode~alore della Tav~la nel 2000 1• d~l settembre 2005 epastore della ch1esa valdese a1 M1lano. MC GENNAIO 2007 • 39

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