Missioni Consolata - Gennaio 2007
HAITI 1111 11 1111 1111 Il volontario racconta •• ~ Ritorno ad Haiti D ajabon, frontiera nord tra la Repubblica Do– minicana e Haiti. Un placido rivolo separa i due paesi, qualche bambino sgambetta nel– l'acqua per riempire le taniche, alcune donne si ba– gnano, altre fanno il bucato, e non diresti mai che quel rigagnolo si chiama «Rivière du Massacre». Il ricordo delle aspre battaglie con cui nel XVII seco– lo spagnoli e francesi si contendevano la colonia, è stato sostituito dalle più recenti centinaia di mor– ti ammazzati o annegati, nella triste guerra tra po– veri tra dominicani e haitiani, in cerca di un posto migliore in cui vivere. Carichiamo le valigie su un carretto, unico mezzo per attraversare il piccolo ponte presidiato dai mi– litari dominicani. Il colore della mia.pelle e il mio passaporto ci salvano da strattoni, schiaffi e pugni che poliziotti in borghese dispensano a chiunque sia in transito, perché oltre che pagare il visto bi– sogna pagare il pizzo o comunque lasciare qual– cosa. È questa la nostra porta d'ingresso in Haiti, essen– do chiuso l'altro principale passo frontaliero del sud, Malpasse. Ostaggio di una gang armata che vuole controllare i traffici di chi, doganiere, contrabban– diere, piccolo commerciante, camionista o condu– cente di autobus, con la frontiera soprawive. R ieccoci in Haiti, dove le poche ore previste per il viaggio si sono già trasformate in una setti– mana di vana attesa alla frontiera chiusa, e poi in tre giorni di autobus e jeep per percorrere tre– cento chilometri. Questo peregrinare è reso meno faticoso dall'ospitalità straordinaria di chi si fida di te, non perché ti conosce, ma perché gli fai il no– me di un amico comune. Allora ti dà da mangiare, ti mette una camera a disposizione o ti procura un . passaggio in auto. Dopo colline a perdita d'occhio, finalmente il ma– re, con la sagoma sorniona della leggendaria isola della Tortuga: è l'inconfondibile baia di Port-de– Paix. La lontananza anche fisica dalla capitale ha permesso a questa città di essere un vero «porto di pace», senza i disordini e le violenze dovuti alle varie crisi politiche. Tranquillità pagata tuttavia con una totale dimenticanza e abbandono da parte del– le istituzioni centrali e dai vari programmi di svi– luppo. Fondata dai bucanieri, la città non ha perso la tra– dizionale vocazione «piratesca» ed è soprawissu– ta grazie al contrabbando, alla tratta dei disperati in partenza verso le Bahamas come boat-people, e ora al traffico della droga. Capita così che dove c'erano soltanto vecchie case o baracche troviamo ora villette. Un po' ovunque: per costruire hanno mangiato la spiaggia, scavato le colline. Hanno edificato perfino su uno stretto istmo di sabbia che divide il mare da una palude, bonificata con approssimazione. Ogni volta che piove un po' di più, si intuisce quella che sarà una strage annunciata. La popolazione è cresciuta. Molti sono quelli che hanno preferito ritornare a casa, abbandonando il lavoro o gli studi che avevano trovato nella capita– le Port-au-Prince, divenuta invivibile a causa delle violenze. Altri ancora arrivano da Gonaives, altra città del paese politicamente molto calda e funestata due anni fa da un'inondazione che causò più di 4 mila vittime. I l quartiere di Myriam sembra essere sempre lo stesso. Soffocata dalle case, la stessa strada im– possibile da percorrere si abbarbica su per la col– lina. Dalla terra affiorano i tubi dell'acqua, vecchie scarpe, rifiuti, copertoni. Sembrano gli stessi di due, quattro, quindici anni fa. Le traballanti bancarelle del mercatino, i banchetti per giocare al lotto, le casette di legno dei piccoli spacci alimentari. La vecchia carcassa del pullman di Sonson, ancora lì, parcheggiata sul ciglio nel pun– to di pendenza massima, sempre ciondolante di bambini giocosi. l cortili delle case, gli stessi consunti tavoli da do– mino all'ombra delle piante, i galli da combatti– mento legati, i panni stesi sulle aiuole di piante spi– nose. La stessa risata fragorosa di Emilién è il ben– venuto del quartiere, e anticipa l'abbraccio di parenti e amici. Anche i nipotini mi sembrano sempre gli stessi, mi chiedo per un attimo: non crescono mai? Poi mi ren– do conto che non sono più venti, ma ventiquattro, e quella che pensavo fosse Charlanda in realtà è la sorellina più piccola... mi ci vuole qualche giorno, e recupero la dignità di un buon zio che sa ricono– scere tutti. G li stessi aquiloni ingarbugliati ai fiacchi fili della luce, spesso inutili. Le serate a raccon– tarsela tra vicini, dopo l'eterno miracolo di ar– rivare alla fine della giornata con poco. Perché se molto è rimasto uguale, quello che continua a cam– biare sono i prezzi, soprattutto degli alimenti di ba– se: riso e prodotti orticoli stanno diventando un lusso senza alternativa, e il commercio è limitato dai costi enormi e dalle difficoltà degli spostamenti. Passa un funerale: la sfilata di ottoni della banda, uniformi pesanti sotto il sole, ombrelli, vestiti a bal– ze di organza. Anche questo non è cambiato. Si muore, tanto, per nulla. O, meglio, non esistono diagnosi e chi di «guaritore» ha solo il nome è an– cora considerato meglio che un medico. Per questo molti non ci sono più. Rimane il corag– gio e la forza di chi resiste in un paese dove nulla al momento può far presagire un domani migliore, se non il fatto di esserci, comunque. Alessandro Demarchi* *Volontario ad Haiti dal'93 al'96 dopo un primo viaggio nel 1991, non ha mai cessato di seguirne le vicende, anche con frequenti visite. Vive con la moglie, originaria di Port-de-Paix, e due figli a Torino, dove lavora per una Ong piemontese co– me esperto di fund raising. ------------------------------------------------------------------------------------~------- 22 • MC GENNAIO 2007
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