Missioni Consolata - Settembre 2006

I I ' UN UOMO EUNA DONNA PER LA STESSA IMITAZIONE Appare subito evidente che il secondo esempio è un doppione del primo, che non ha senso nella logica della parabola, ma trova un motivo nel fatto che Le ricostruisce in forma letteraria un parallelismo, tanto caro alla cultura ebraica: si afferma lo stesso concetto, ripetendolo due volte, in positivo e in negativo o mettendo in evidenza gli opposti, come in questo caso: maschile e femmi1 nil ' e. : I.:introduzione narrativa del v. 3 è illuminante, come • abbiamo già sottolineato, perché parla al singolare di «questa parabola» e poi passa a illustrare due esempi. In questo contesto si evidenzia l'intenzione dell 'autore di rimarcare l'insegnamento del primo racconto, ma sotto la prospettiva femminile. Mettendo come protagonisti dell 'unica parabola, un uomo e una donna, l'autore espone la sua intenzione di : dire che nessuno, uomo o donna, possa e debba dirsi : esentato dall'imitare il comportamento di Dio. La prova : che questa sia la volontà dell'evangelista, si trova al v. 4 dove non si parla di «pastore», ma alla lettera (dal greco): «Quale uomo tra di voi...», che trova il suo corrispettivo al v. 8 nella specularità opposta: «Oppure quale donna...». Le non è nuovo a questo procedimento, perché, pur non essendo ebreo, è l'evangelista che più di tutti imita lo stile ebraico, in modo particolare quello della bibbia greca dell 'AT, detta la Lxx. Gli studiosi hanno contato circa 83 septuagentismi (frasi e modi di dire cioè costruiti sullo stile della Lxx). Secondo la tradizione ebraica, ogni Israelita per adem- ' piere la toràh doveva osservare 613 precetti: 365 negativi : (uno per ogni giorno dell 'anno) e 248 positivi (uno per : ogni articolazione, nervo e osso che compongono il cor- : po umano). Le donne erano dispensate dall'osservare i : 248 precetti positivi, mentre erano obbligate a rispetta- ! re quelli negativi. In questo contesto, narrare una parabola mettendo sullo stesso piano sia un uomo che una donna, significa riconoscere anche alla donna il diritto di imitare Dio né più né meno come l'uomo: è la dichiarazione dell'uguaglianza dei figli di Dio. Le è veramente il discepolo di Paolo che aveva spezza- ' to ogni catena di discriminazione in nome della fede: : «Tutti voi infatti siete figli di Dio per la fede in Cristo Ge- l sù, poiché quanti siete stati battezzati in Cristo, vi siete : rivestiti di Cristo. Non c'è più giudeo né greco; non c'è : più schiavo né libero; non c'è più uomo né donna, poi- : ché tutti voi siete uno in Cristo Gesù»(Gal 3,26-28). f I I ' : LA COMUNITA LUOGO DELLA GIOIA • : Un altro elemento di corrispondenza è l'opposizione : che intravediamo nei due ambienti diversi dove agiscono : l'uomo e la donna: il primo si trova «nel deserto» (v. 4), la ! seconda invece in «casa» (v. 8), che in qualche modo ci : prefigurano quanto succederà nella seconda parte dove si descriverà un allontanamento dalla casa paterna verso : «un paese lontano» (v. 13), che non è solo il deserto, ma 1 qualcosa di peggio: è la negazione della santità della ca- ' sa, perché il figlio minore andrà in una regione impura, ! popolata da porci (v. 15). I ,_ 58 ■ MC SETTEMBRE 2006 Sia l'uomo/ pastore che la donna/ casalinga della prima parabola hanno la stessa reazione e provano gli stessi sentimenti di fronte al ritrovamento, forse insperato, della pecora e della moneta: ambedue chiamano amici e vicini per condividere la gioia che li pervade. Quando l'arcangelo Gabriele visita Maria di Nazareth, entrando da lei la saluta dicendo: «Chàire-Gioisci» (Le 1,28), che è lo stesso verbo che usano il pastore e la donna quando convocano gli amici, ma rafforzato dalla preposizion_e di compagnia: «Synchàrete-con-gioit~» (Le 15,6.9). E il bisogno della condivisione del cuore. E la logica della comunità, come luogo naturale della gioia e dell'amore, mentre la tristezza spinge alla chiusura e all'isolamento. Quando si scoppia di gioia, si è naturalmente contagiosi e si cerca una comunità dove potere partecipare i sentimenti di vita. Forse qui c'è un discreto accenno alla comunità/ chiesa, che è tale solo se condivide e partecipa la vocazione alla imitazione del Padre che sbocca nella gioia. Non basta andare in chiesa, bisogna essere chiesa. Va in chiesa chi deve adempiere un obbligo, chi deve pagare un pedaggio. È chiesa chi invece risponde a una vocazione con il desiderio di incontrare uomini e donne con cui partecipare la gioia di essere ritrovati, con cui condividere il vangelo della gioia, espresso dall'uomo e dalla donna della prima parabola e dal padre della seconda parabola che ora ci accingiamo a studiare insieme. UN UOMO AVEVA DUE FIGLI, ED ERA SOLO La 2a parabola, rigorosamente parlando, è limitata ai vv. 11-24: la parte relativa al padre e al figlio minore. La seconda parte (vv. 25-32), che riguarda il padre e il figlio maggiore, è un prolungamento della prima, osservata da una prospettiva opposta. In essa si ripete lo stesso insegnamento della prima, ma da un angolo di visuale diversa. Che sia la seconda parabola lo rileviamo dal v. 11, dove ritroviamo per la seconda volta il verbo narrativo «e disse» che fa coppia con «egli disse» del v. 3. Se la prima parabola è illustrata dall'esempio di un uomo e una donna, la seconda è dominata da due figure: un uomo e due figli (v. 11) che l'autore divide in due parti: a) il padre e il figlio più giovane (vv. 12-24), b) il padre e il figlio maggiore (v. 25). Il padre fa da perno ai due figli, che sono speculari e l'uno non può esistere senza l'altro, perché ciascuno è sfondo e premessa per l'altro. Sia nella parabola essenziale (figlio minore) che nel suo prolungamento (figlio maggiore) la figura centrale è il padre: tutto ruota attorno a lui; e mentre i figli fanno i propri interessi, ciascuno dal proprio punto di vista, il padre è in continuo movimento: corre (v. 20), si getta addosso al figlio (v. 20), esce incontro al maggiore (v. 28), mentre i figli e i servi, che pure hanno ricevuto l'ordine di fare in fretta (v. 22), sembrano immobilizzati e incapaci di essere protagonisti e di affrancarsi dalla paternità che li sostiene. DALCESPERIENZA ALLA STORIA DELLA SALVEZZA La parabola in sé riguarda le scelte e il comportamento del «più giovane» (v. 12), mentre il comportamento del

RkJQdWJsaXNoZXIy NTc1MjU=