Missioni Consolata - Settembre 2006

MISSIONI CONSOLATA ......_, ... Colombia Quando mi sonochiestoche cosa avrei potuto scrivere in poche righe su un·esperienza di migrazione come la mia, forse poco significativa e, ad ogni modo,atiplca,mi è venuto in mente il fatto che in questo processo di viaggi e scoperte che è in definitiva la migrazione,ho infranto,non sempre con successo, alcuni degli stereotipi che si hanno in mente come conseguenza dell'habitat In cui uno si è formato e come risultato dell'informazione che ognuno di noi, volontariamente o senza volerlo, ha acquisito. La prima cosa quindi che potrei raccontare o, per meglio dire, confessare è chequando mi capitò r occasionedi venire in Italia (in quell'epoca stavoconoscendo quella che è ora mia moglie, un 'italiana del Piemonte), lo preferii viaggiare in Francia. AParigi, precisamente, dove mi fermai un paio di mesi. Nella mia testa si annidava l'idea semplice e banale di un'Italia piena di «bulletti spocchiosi», di persone interessate esclusivamente al calcio o alle auto di ultima generazione, di gente poco affidabile e con modi di fare in stile mafioso. Insomma, uno stereotipo, una caricatura. lnfondo,lostessoche causò in me disllluslonenella «ville lumlère»: il mondo pieno di pensatori con la pipa che io avevo Immaginato riempire le strade del quartiere latino, in realtà era costituito In maggioranza da tronfi iquali, anziché Intonare Ibei testi della Chanson,cantavano rape altri ritmi in inglese. Oh, /a/àl Quando arrivai In ltalia,alcunl anni più tardi, finalmente scoprii,diciamo, un·altra Italia.Anzi,peressere più precisi,altre ltalie: l'Italia della solidarietà, l'Italia che si preoccupa per quanto succede In Africa o in America Latina (a proposito, quante cose ho Imparato della parte del mondo da dove provengo, a partire dalle varie visioni italiane sul temal). Quando ml trasferii definitivamente In Italia, quattro anni fa, lo feci dopo aver deciso di vivere con Franca. Ed ecco qui un altro stereotipo infranto: si emigra fondamentalmente per ragioni economiche o politiche e le altre migrazioni si dice che siano meno dolorose. In realtà sono semplicemente diverse, però non ■ ■■ ■■■■ I I per questo meno traumatiche. La migrazione comporta sempre un abbandono e soprattutto un confronto permanente con l'altro e pertanto un processo di apprendimento per cercare di convivere con la ' diversità.Uno scenario nel quale, per vivere e non solo sopravvivere, è necessario lottare contro queste sempllficazlonl mentali che frequentemente ci creiamo noi esseri umani per (mal) intendere certe situazioni. In questo gioco di Incasellare tutto In comode etichette deformanti e di andare per le strade della vita con una specie di spada con la quale si tagliano strettedefinizioni (che non tengono in considerazionealtri aspetti, che si dovrebbero invece considerare), ci troviamo imprigionati quasi tutti noi emigrati. Eche dire di chi, senza neanche essere stato costrettoa sperimentare la vita In un altro posto,considera il suo piccolo mondo come l'unico territorio possibile dell'universo? Ecosì, come una goccia In quell'oceano che è l'abbattere stereotipi, nasce Tr6pico Ut6pico. Poiché l'America Latina è sì musica,balll efesta,peròè anche una realtà straziante che vogliamo mostrare. Per parte sua,l'Europa non è sempre l'Eden e non per tutti la vita qui è facile. I latinoamericani (e altri stranieri venuti dalle periferie del mondo) devono abbandonare i propri figli e I propri compagni di vita per lavorare spesso in casedi anziani che,a loro volta,vivono In solitudine a causa del frequente abbandonoaffettivoda parte delle proprie famiglie.L'America Latina non è una sola,bensì sono tante e spesso sconosciute. Eforse solo all'estero iniziamo a conoscere le sue molteplici facce. Concludendo, Tr6pico Ut6pico vuole dare visibilità a questa e ad altre Americhe, che trascendono lo stereotipo dei bel fianchi In movimento, dei «caudillos» redentori, tanto Idolatrati qui, ma che secondo me a volteci fanno più maleche bene.li nostro programma vuole combattere questa battaglia contro gli stereotlpi,polché credoche, se la storia deve servirci per apprendere, non per questodeve segnarci In modo tanto definitivo. AlvaroDuque Arrivai in Ital ia nel 1998. Nei miei primi anni da emigrata provai quella sensazione leggera e strana che ti offre l'essere niente e nessuno. È come essere morto pur essendo in vita. Per sopravvivere, a Firenze ho pulito case, servito ai tavoli, venduto articoli di cuoio e souvenir al mercato di San Lorenzo a nordamericani e giapponesi. Fino a quando l'anonimato e la voglia di tornare a «giocare alla sociologa» mi fecero impazzire, come - è così che si dice in Colombia - «si la tierra bajo los pies me picarà», se la terra sotto i piedi mi pungesse. Nel 2001 ripresi dunque in mano la val igia per andare nel nord Italia per seMC SETTEMBRE 2006 ■ 41

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