■ ITALIA Per poter raccontare la mia vita ho dovuto fare ricorso alla cassetta dei ricordi (una vecchia scatola da scarpe in cui conservo amori, defunti, amici e sogni) dove ho dunque trovato lo spunto per scrivere: una di quelle foto che si conservano con diffidenza nei sacri album della famiglia; una di quelle foto perfette in cui tutti sono belli ed ordinati, pronti per la messa; una di quelle foto che,quando arriva il momento di partire, ti prende il desiderio di rubarla, di prenderla dal reliquiario del passato senza chiedere il permesso ad alcuno. lo lo feci, poco prima di prendere la mia valigia per partire in direzione dell'Italia. «La foto in blu» è stata per me per molti anni l'amuleto, la connessione con la mia verità, il mio conforto e la mia tristezza. In essa sta tutta la mia famiglia vestita di blu. Colore che non ha niente di che spartire con il colore del partito conservatore colombiano. Non siamo una prole «de godos» (nomignolo dato ai conservatori, ndr). Fu soltanto una casualità. La nonna Emelina sta nell'angolo sinistro, appare in piedi e dà la sensazione di sostenere gli altri,di tenerli, quasi che fossimo sul punto di cadere da qualche parte.Cercando come sempre di raddrizzare il quadro storto della mia famiglia,compito a cui si dedicò fino alla sua morte.A lato di Emelina,seduto in poltrona, sta il nonno Pedro Nel, un vecchio rigido ed impenetrabile; un uomo di verità, grande, brutto e formale, direbbero a casa mia. In ordine decrescente di grandezza stiamo noi, i bambini:mio fratello Juan Carlos, tanto magro da sembrare morto di , fame; il cugino Wardo, piccolino, carino fin dalla sua venuta al mondo; per ultima, ci sono io, progredendo pian piano nell 'arte sottile degli sguardi civettuoli. La foto non è completa, mancando Beatriz, mia madre, che stava facendo la foto con la vecchia macchina fotografica ereditata da mio padre Silvio, unico avere che ci lasciò prima di andarsene. ■ ■■ ■ ■■■■ I o sono Maria Helena, nata 36 anni fa a Cali, Colombia, la città che molti di noi chiamiamo «la succursale del cielo». Per quanto mi riguarda, debbo confessare che del cielo ha ben poco,anzi ha più dell'inferno con l'umidità, le zanzare e i mafiosi di turno. Sono cresciuta in un quartiere popolare, con il nome di un eroe della patria,Atanasio Girardot. Un luogo povero, di strade sterrate,di bambini e cani randagi. Ricordo che trascorrevo molte ore a giocare per la strada, dopo i compiti • della scuola. Credo che giocai finché arrivò la modernità anche là, attorno agli anni Ottanta: strade asfaltate, bordelli agli angoli, la prima televisione, la scuola superiore in un collegio di monache. Con il passare degli anni, vidi come i miei amici d'infanzia, con sogni differenti dai miei, si trasformarono in ladroni, sicari, trafficanti, e addirittura mafiosi di grido. Hoy todos estan bajo tierra: oggi tutti stanno sotto terra. Di quella generazione siamo rimasti in pochi,quelli di noi che si sono salvati dalla polveriera nella quale si era convertito il barrio Atanasio Girardot. A 16 anni avevo terminato la scuola superiore e a 17 stavo seguendo il mio primo anno nella facoltà di sociologia dell'Università pubblica della mia città. Partecipai a tutte le assemblee studentesche che ci furono, a tutte le rivolte, fino alla protesta per la sparizione del mio compagno di banco.Tuttavia, Marco non ricomparve più ed io scoprii, con dolore, che la soluzione non stava nel lanciare pietre o nell'insultare la polizia o di trasformare in carne da cannone i miei compagni di lotta. Mi dedicai quindi a studiare,a lavorare con la gente del mio quartiere, a viaggiare in autostop per il mio paese.Così scoprii un'altra Colombia:quella dei neri del Pacifico con la loro musica, la magia e il «biche» (una specie di grappa locale fatta dalla canna da zucchero, ndr); quella degli indios con il loro odore, il silenzio e lo sguardo perso;quella dei contadini con la loro generosità; quella della selva e delle grandi città. Distinguere tra i miei doveri professionali e il mio impegno politico è il tallone d'Achille della mia esistenza. Al 'epoca, mi ritrovai così compromessa in situazioni che posero in pericolo la mia tranquillità. Questo perché la Colombia è un paese dove regna l'impunità, dove è meglio tacere che denunciare.A causa dei miei problemi e alcuni momenti di orrore e morte che non potevo cancellare dalla mia mente, decisi di andarmene da lì, di lasciarmi tutto alle spalle e ricominciare in una nuova terra.Così,grazie all'aiuto di amici di Florencia che facevano ricerche per la tesi in scienze politiche in collaborazione con l'Università del Valle dove io lavoravo, iniziai la mia awentura in senso opposto a quella di Cristoforo Colombo. ~-------------------------------------------------------------------------------------------· 46 ■ MC SETTEMBRE 2006
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