LA NUTRIZIONE E L'IDRATAZIONE La questione nodale consiste in questo: è sempre necessario nutrire ed idratare il paziente terminale? Da un lato l'alimentazione fa parte dell'assistenza cosiddetta ordinaria, però in un morente la necessità e il desiderio di alimentarsi diminuisce gradualmente fino ad annullarsi. Il problema è perciò quello della nutrizione e dell'idratazione artificiale, che di per sé è una terapia e richiederebbe pertanto il consenso informato. A tal proposito la «Carta degli operatori sanitari» afferma: «l'.alimentazione e l'idratazione, anche artificialmente amministrate, rientrano tra le cure normali dovute sempre all'ammalato quando non risultino gravose per lui: la loro indebita sospensione può avere il significato di vera e propria eutanasia». La questione oggi è più che mai dibattuta e rimane aperta, prestandosi a diverse interpretazioni, come ha dimostrato il caso di Terry Schiavo negli Stati Uniti. l'.Organizzazione mondiale della sanità, in un documento-manuale del 1998 ha ribadito: «La nutrizione intravenosa è controindicata nei pazienti terminali. Non migliora l'aumento ponderale e non prolunga la vita. La nutrizione enterale ha un ruolo molto limitato nella malattia terminale. Dovrebbe essere usata solo nei pazienti che ne hanno un chiaro beneficio. La nutrizione artificiale non dovrebbe essere usata nei pazienti moribondi». In tali casi si può parlare, non impropriamente, di accanimento terapeutico. IL DIRIITO ALL'INFORMAZIONE Una problematica specifica è rappresentata dalla questione se, e in che modo, si deve dire al paziente la verità riguardo alla diagnosi e alla prognosi. «C'è un diritto della persona ad essere informata sul proprio stato di vita. Questo diritto non viene meno in presenza di diagnosi e prognosi di malattia che porta alla morte; ma trova ulteriori motivazioni» (Carta degli operatori sanitari n.125). In passato, soprattutto nei paesi latini, si era portati a non dire la verità o a dirla non completamente, per non privare il malato della speranza di guarigione. Oggi invece, mutando il contesto 12 ■ MC LUGLIO-AGOSTO 2006 IN VIAGGIO TRA MALATTIE E socio-culturale, si è maggiormente propensi a comunicarla, pur valutando attentamente ogni singolo caso. La sensibilità dell'operatore sanitario e la sua capacità di comunicare e di relazionarsi con il malato ed i suoi cari rappresenta forse la risposta più convincente per risolvere questo eterno dilemma. Le cure palliative costituiscono un'espressione profonda nel percorso di umanizzazione della medicina, come una risposta alla richiesta drammatica e sempre crescente di eutanasia, che non è altro che sintomo di una società in cui si rimane soli davanti alle domande angoscianti sulla morte e di una scienza non solo troppo tecnologica e avulsa dai veri problemi del malato, ma anche assolutamente priva di autentica relazionalità umana. l'.eutanasia legalizzata è un sistema per sfuggire all'approccio delle cure palliative, che richiedono mezzi economici, personale specializzato, tempo e formazione adeguata. t un modo per non riconoscere che la vita del malato ha un valore fino all'ultimo istante, se sorretta da una presenza umana, motivata, preparata e solidale. In netta contrapposizione con ogni atto deliberato del medico volto a porre immediatamente fine a una vita, le cure palliative possono aiutare realmente a migliorare le condizioni dei morenti e, alleviando le loro sofferenze, portare ad una drastica riduzione delle richieste di eutanasia. A tal proposito, !'«Istituto dei tumori» di Milano ha condotto recentemente un'indagine sui malati terminali, che ha evidenziato come dopo un'adeguata terapia antalgica, dalle iniziali 996 richieste di eutanasia, si è passati a cinque sole richieste. Di fronte al dolore, alla sofferenza e alla morte gli operatori devono essere tutti maggiormente impegnati non solo a garantire «fredde» soluzioni tecniche, ma anche ad instaurare un approfondito rapporto con il malato e con chi lo circonda. È un compito sicuramente gravoso, emotivamente stressante, ma che ripresenta tutto il fascino dell'originario modo di far medicina, che è saper di nuovo stare vicino a chi soffre per lenire il dolore, con tutto il bagaglio tecnico del)e più aggiornate conoscenze, ma anche e soprattutto con una piena, ampia e cristiana partecipazione umana. «Molto spesso - ha scritto Cecily Saunders - si può tradurre la domanda "fatemi morire" con "alleviate il mio dolore e ascoltatemi". Se soddisfate questi due bisogni, la domanda in genere non sarà ripetuta». • BIBLIOGRAFIA • Aa.Vv. ,Manuale di oncologia medica, Masson,Milano 2000 • G. Frova, Teoria del dolore da cancro, Parte II, Lombardo Editore, Roma 2000 • Organizzazione mondiale della sanità, Dolore da cancro e cure palliative, Fondazione Lariani e Lega italiana per la lotta contro i tumori, Milano 2002 • E. Lecaldano, Dizionario di bioetica, Edizioni Laterza, Roma 2002 • E. Sgreccia, Manuale di bioetica, Voi. I, Edizioni Vita e pensiero, Milano 2000 • D. Tettamanzi, Nuova bioetica cristiana, Piemme 2000 «LA VITA CHE VOLGE AL TERMINE» Nella prima puntata di questa serie si è parlato di «accanimento terapeutico» (aprile 2006). Nella seconda (maggio 20_06) di «eutanasia». SE VOLETE INTERVENIRE... La redazione è disponibile ad aprire un dibattito su queste tematiche, ospitando sulle pagine della rivista gli interventi più significativi. Scrivere a: rivista@missioniconsolataonlus.it Enrico Larghero (a cura di) GUARIRE. SFIDA TECNICA OATTO DI FEDE? Edizioni Camilliane, Torino 2006 Pagine 128, € 13,00
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