Missioni Consolata - Luglio/Agosto 2006

MISSIONI CONSOLATA Tale apprensione può essere vista da due angolazioni differenti: in segno positivo potrebbe rappresentare un particolare modo d'insegnamento del codice stradale; nell'accezione negativa potrebbe essere vista come una sorta di ossessivo controllo sul popolo. Ma il vero obiettivo a cui mirano le Canzoni Nazionali rimane il senso della nazionalità. Nella canzone più nota e più trasmessa da radio e televisione, We are Singapore, la strofa più dirompente esclama: «Noi, cittadini di Singapore ci consideriamo come un popolo unito a prescindere dalla razza, lingua o religione per costruire una società democratica basata sulla giustizia e l'eguaglianza.. . Noi siamo Singapore, Singaporeani.. . Singapore, per sempre una nazione forte e libera». Durante la festa del Giorno dell'Indipendenza di quest'anno, migliaia di persone intonavano questa canzone, tenendosi per mano e sventolando bandierine bianche e rosse con la mezzaluna e cinque stelle. Uno spettacolo nello spettacolo, se non altro perché è una delle poche volte in cui ho visto cinesi, indiani, europei, malay mischiarsi, bere e mangiare assieme al di fuori dei luoghi di lavoro. Un ennesimo esempio, se ve n'era bisogno, di quanto sia difficile dimenticare le proprie origini e rivestirsi di nuovi abiti. E nell'occasione del National Day ogni finestra degli appartamenti costruite dall'Housing Development Board, in cui abita 1'80% della popolazione, ha esposta una bandiera singaporeana: «C'è una nuova luna che sorge dal mare in burrasca... Ci sono cinque stelle che sorgono dal mare in burrasca. Ognuna è una fiaccola che guida la nostra via... C'è una nuova bandiera che sta sorgendo dal mare in burrasca. Rossa come il sangue di tutto il genere umano, ma anche bianca, pura e libera» (Five Stars Arising). Rossa, come il sangue di tutto il genere umano per accomunare tutte le razze in un'unica nazione. ' E però anche vero che, contrariamente alle prospettive poco rosee lanciate dagli economisti all'indomani della separazione di Singapore dalla Federazione Malese, lo sviluppo che Lee Kuan Yew è riuscito a imprimere alla nazione, ha qualcosa di eclatante, di cui gli stessi abitanti possono andar fieri. E non esitano a rinfacciare a questi Soloni dell'epoca che predicevano un futuro di miserie, la loro prosperità attuale: «C'era un tempo in cui la gente diceva che Singapore non sarebbe mai potuto essere una nazione, ma noi l'abbiamo resa una nazione. C'era un tempo in cui i problemi sembravano troppo grandi per essere affrontati, ■ ■ ■ · ■ ■ ■ ■ ma noi li abbiamo affrontati. Abbiamo costruito una nazione forte e libera raggiungendo insieme la pace e l'armonia. Questo è il mio paese, questa è la mia bandiera, questo è il mio futuro, questa è la mia Inta, questa è la mia famiglia, questi sono i miei amici» (We Are Singapore). Il paragone alla famiglia implica anche un impegno di ogni suo singolo componente, per far sì che la sua conduzione sia coronata da successo: «Riconosci che devi giocare il tuo ruolo... Sii preparato a dare qualcosa in più... Per Singapore» (Stand up far Singapore). Un passo in perfetto stile confuciano, dove ogni cittadino, o meglio, ogni componente della «famiglia Singapore» deve svolgere un compito ben preciso occupando un ruolo ben preciso nella ferrea gerarchia comunitaria, «per mostrare al mondo cosa Singapore può essere... Conta su di me, Singapore, conta su di me per dare il mio meglio e ancora di più» (Count On Me Singapore). n uesta filosofia, tipica delle società asiatiche, ha tra- I \»vate piena attuazione nella minuscola nazione, favorendo la trentennale permanenza al potere di un governante dispotico, ma che sa anche essere benevolo, come Lee Kuan Yew. Grazie alla sua guida «illuminata», «in Singapore puoi trovare felicità per tutti» (Singapore Town). Ma questo benessere deve essere difeso sia dagli attacchi speculativi di operatori finanziari che tentano di assaltare l'economia di Singapore dall'esterno, sia da improbabili, ma non impossibili, attacchi militari dalle nazioni vicine. La «sindrome Kuwait» è assai viva tra il governo, che destina il 5% della finanziaria alle proprie forze armate, ~a le meglio addestrate nella regione. Ma i leaders sanno bene che il minuscolo territorio non potrà essere difeso a lungo in una guerra convenzionale; quindi, anche in caso di invasione dall'esterno, «C'è una parte per ognuno in questa terra a cui apparteniamo. C'è una parte per ognuno e per tutto per mantenere la pace che vogliamo. Anche se non tutti con le armi, per aiutare a difendere la nostra terra dobbiamo far tutto quello che possiamo insieme, mano nella mano... Abbiamo marinai, aviatori,abbiamo soldati, impavidi uomini addestrati e pronti... Aiutali ad aiutare tutti noi» ( There's a Part for Everyone). Parole dure, sferzanti, che si spera non dovranno mai trovare impiego nella realtà. Già, perché alla fin fine la multietnicità che caratterizza Singapore può essere di esempio anche per gli stati europei che si trovano a fronteggiare, spesso con intolleranza e xenofobia, l'arrivo di rappresentanti di altre culture. E si potrebbe terminare questa cartolina di Singapore in musica, con le strofe forse più significative di One People, One Nation, One Singapore. «Abbiamo costruito una nazione con le nostre mani, con la fatica di gente da una dozzina di terre. Stranieri quando arrivammo, ora noi siamo Singaporeani... Un popolo, una nazione, un Singapore». La luna, le 5 stelle e i colori della bandiera, cantati dalle «Canzoni nazionali». MC LUGLI.O-AGOSTO 2006 ■ 59

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