Caravaggio: La vocazione di Matteo (particolare). «Proprio io?» dice con sorpresa il pubblicano, di fronte alla chiamata di Gesù. Cafarnao, tanto che lo costrinsero ad andarsene dal suo paese: «Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l'unzione e mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio, per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; per rimettere in libertà gli oppressi e predicare un anno di grazia del Signore... Oggi si è adempiuta questa Scrittura che voi avete udita con i vostri orecchi» (Le 4,18-20). Poveri, prigionieri, ciechi, oppressi e ora pubblicani e peccatori. In Mt 21,31-32 addiritt;ura pubblicani eprostitute sono portati a modello di fede e hanno la precedenza nel regno di Dio; in Mc 2,15 pubblicani e peccatori mangiano seduti a mensa con lui e, come al solito, le persone perbene e di buona educazione s'indignano per tale comportamento sconveniente. «È venuto il Figlio dell'uomo che mangia e beve, e voi dite: Ecco un mangione e un beone, amico dei pubblicani e dei peccatori. Ma alla sapienza è stata resa giustizia da tutti i suoi figli» (Le 7,34-35). Il vangelo della misericordia che Le annuncia nel capitolo 15 è tutto qui: nessuno può dire di essere escluso dalla tenerezza di Dio. Nessun peccato è più grande di Dio (lGv 3,20), nessun peccatore può giudicare se stesso più severamente di quanto non faccia Dio, che viene apposta per cercare la pecorella, per trovare la dramma, per salvare i figli perduti. Nessuno. Se qualcuno pensasse ciò, commetterebbe sì l'unico peccato imperdonabile in cielo e in terra: contro lo Spirito Santo (Le 12,10). Il tempo della chiesa, dice Le, è il tempo «dell'anno di grazia del Signore», un prolungamento di tempo per dare a tutti e a ciascuno la possibilità di ritornare, l'occa- 1 sione di farsi trovare. Allora e solo allora ci ritroveremo figli della sapienza (Pr 8,22), che sanno riconoscere la fonte della giustizia che in Dio si chiama misericordia. Dai primi due versetti di Le 15 dovremmo già sapere che l'evangelista ci vuole portare a scoprire la follia di Dio: abbandona, infatti, 99 pecore per andare a cercarne una sola perduta, così come mette sottosopra la casa per trovare una moneta smarrita. Nella seconda parabola abbiamo un padre che si lascia squartare da due figli pur di farli vivere attraverso la sua stessa vita e recuperarli a sé stesso e tra di loro. A bbiamo detto che le parabole non sono «tre», ma «due». La narrazione vera e propria, infatti, inizia con il v. 3: «Ed egli disse loro questa parabola». Si usa il verbo narrativo per eccellenza (il passato remoto «disse») e subito dopo si usa il singolare «questa parabola», a cui seguono di fatto due racconti: il pastore e la pecora (15,4-7), la donna casalinga e la moneta (15,8-10). La parabola è unica, ma è illustrata da due esempi. Dopo avere introdotto, infatti, al v. 4 il primo esempio del pastore che perde e trova la pecora con una domanda interrogativa: «Chi di voi, se ha cento pecore e ne perde una, non lascia...», l'autore prosegue lo stesso ragionamento al v. 8 con un'alternativa: «Oppure quale donna, se ha dieci monete e ne perde una, non accende...». Letterariamente vi è una precisa corrispondenza tra i due esempi: chi di voi ... oppure quale donna? [evangelista descrive una sola parabola a due membri o un doppio esempio, uno maschile e uno femminile, dello stesso insegnamento. Un uomo e una donna, cioè la totalità del genere umano, perché nessuno può essere escluso o può escludersi dalla salvezza che Gesù porta in dono a nome del Padre. Al v. 11 ritroviamo di nuovo per la seconda e ultima volta il verbo narrativo (sempre al passato remoto) «e disse», che introduce la seconda parte del capitolo. Questo duplice uso dello stesso verbo narrativo «disse» è un indizio notevole che per Le le parabole sono due e non tre. I l verbo introduce la seconda parabola: del padre e figlio minore (15,11-24), prolungata nella relazione dello stesso padre con il figlio maggiore (15,25-32). Anche qui abbiamo una parabola a due membri, in cui i protagonisti sono tre uomini: un uomo anonimo e due figli. [insegnamento è lo stesso della prima parabola, ma prospettato da due angolature diverse: la prospettiva del figlio minore e quella del figlio maggiore, ambedue collegati dalla figura del padre. I due figli nella parabola non s'incontrano mai, non si parlano, sono estranei: l'unico collegamento tra loro è il padre: anche quando i fratelli sono distanti tra loro o addirittura nemici e nessun dialogo intercorre tra loro, essi continuano a comunicare attraverso la vita del padre, attraverso cioè un canale che li supera e li contiene. Questo vale in ogni circostanza per ciascuno di noi, nella propria esperienza di vita. Ma vale anche a livello geo- -------------·-·----------------------------------------·-------·---------------- ----------------· MC GIUGNO 2006 ■ 69
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