Missioni Consolata - Aprile 2006

Il ITALIA/l LADINI 11 1111 11 11111111 SARÒ CINESE ANCHE IN PARADISO San Giuseppe Freinademetz (1852-1908) E eco, trovato quel paese che già da anni (( pregavo Iddio di voler mostrarmi; trovato la mia patria nuova, che da tanto tempo sospiravo di vedere, arrivato io sono finalmente nella chiesa». Queste poche righe, scritte il 28 aprile 1879 e ricevute dalla famiglia a Dies, in Val Badia, qualche mese dopo, annunciavano l'arrivo del ventisettenne padre verbita Giuseppe Freinademetz in terra di missione: la Cina. Era una Cina, quella che accolse il sacerdote badiota, umiliata dalle potenze europee, vincitrici delle guerre dell'oppio (184042). l governi occidentali, consci dell'odio creato attorno a loro nell'animo dei cinesi con l'imposizione di trattati iniqui, si fecero precedere nell'espansione nel Paese di Mezzo da avanguardie di evangelizzatori. Armati di crocifisso e vangelo, questi missionari, preparavano il terreno all'arrivo di eserciti ben più cruenti e vio1 lenti, composti non solo da soldati, ma da ammi- : nistratori corrotti e impresari senza scrupoli. : Per i cinesi tutti gli europei sono i : «nasi lunghi». Non sorprende, quin- : di, che i primi passi di Giuseppe in l l 22 • MC APRILE 2006 terra cinese furono ben poco conciliatori: «L'adulto cinese ci deride in pubblico, i bambini ci gridano alle spalle. Sembra che perfino i cani provino un gusto particolare a rincorrerei e abbaiarci contro. Il missionario è odiato da molti, tollerato da pochi, amato da nessuno» scriveva in una delle sue prime lettere. Un atteggiamento di ostilità e incomprensione dapprima contraccambiato da molti sacerdoti, a cui neppure Freinademetz seppe venir meno. Nel- : le sue prime lettere l'é!rdore e il fuoco del giovane : missionario è, a dir poco, militaresco. Giuseppe ar- 1 riva in Cina «per menar guerra contro il diavolo e l'inferno, per gettar a terra i templi dei falsi dèi, per impiantar alloro luogo il legno della croce». Q uesto ostracismo dura però solo una stagione. Nonostante tutto, già nei primi anni, Giuseppe confessa: «Essere missionario in Cina è un onore che non cambierei colla corona d'oVetrata che ricorda il legame tra la Cina e la terra natale di san Giuseppe Freinademetz. ro dell'imperatore d'Austria» (a quell'epoca la sua terra natale apparteneva alla monarchia austroungarica). Ben presto Giuseppe Freinademetz si accorge di quanto male facciano gli europei all'Asia e, in particolare alla sua missione nello Shantung del sud, cui la Santa Sede aveva affidato alla congregazione dei Verbiti l'evangelizzazione. «Beh, non c'è da meravigliarsi sullo scetticismo nei confronti degli europei e sul loro comportamento, in quel tempo. Penso inoltre che lui stesso, conoscendo le per- 1 sane più a fondo, abbia mutato anche il suo giudizio sui cinesi» afferma il vescovo di Bressanone, mons. Wilhelm Egger. Già nel1884 Freinademetz inizia a vestire come i suoi parrocchiani, parla il mandarino, porta la treccia e, soprattutto, adotta un nome cinese: Fu Shen-Fu (padre della fortuna). Scrivendo a un familiare in Sud Tirolo afferma: «Sono ormai più cinese che tirolese. E non ho altro desiderio che morire con loro e essere sepolto tra di loro. Desidero essere cinese anche nel cielo». La politica dei paesi europei incomincia a nausearlo; alla madre scrive: «Il maggior flagello per noi e per i poveri cinesi cominciano a essere tanti europei senza fede e perfettamente corrotti, che adesso cominciano a inondare tutta la Cina. Sono bensì cristiani, ma sono peggiori dei pagani, non si

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