Missioni Consolata - Marzo 2006

rumore infernale, mi ricorda che la luce non è ancora tornata, e che probabilmente staremo al buio ancora per molte ore, come ormai sta accadendo da circa un mese. Fortunatamente sono riuscita a trovare il lato positivo dello stare senza luce. Il bagliore dolce e tiepido della candela mi porta sempre a riflettere su alcune cose di me e della mia vita che, in condizioni normali, non trovo il tempo (o la voglia) di fare. Mi piace il silenzio ovattato creato dalla mancanza di musica, televisione ed altri rumori, e la penombra che si crea in casa mi ha aiutata in più di un'occasione a capire cose che, presa dalla frenesia di tutti i giorni, non avrei compreso altrimenti. Epoi, i sette piani di scale a piedi che faccio ogni giorno quando manca la luce, è un'ottima ginnastica rassodante! Dopo i giardinetti, decido di fare una passeggiata sul lungo Lana, ed è tutto un incontro di persone intente a svolgere le loro attività quotidiane: uomini che giocano a scacchi, con l'immancabile sigaretta accesa, donne che arrostiscono le caldarroste o le pannocchie sui carboni ardenti, uomini che vendono i pop-corn o lo zucchero filato rosa, negozietti piccoli, ricavati nel muro, che vendono scarpe da ginnastica di tutte le marche - simili alle originali nell'aspetto, ma molto meno nella qualità dei materiali -, anziani che mi chiedono di pesarmi, e si stupiscono perché scatto loro una fotografia (spiegando ogni volta che, in Italia, noi ci pesiamo solo dentro le mura di casa), infiniti negozi di cellulari, ragazzini che vendono semi di girasole - le scale del mio palazzo sono ricoperte da mesi da un tappeto di semi sputati, immondizia che straripa dai bidoni, e cani randagi che vagano per le strade in branco o solitari. Passo il ponte per entrare al block, le vie della capitale straripanti di giovani e di locali alla moda, di profumerie, negozi di abbigliamento e di cd musicali rigorosamente copiati. Rimango, come sempre, senza parole di fronte alle richieste insistenti di quei bambini sporchi, coi capelli arruffati, che vagano per le vie e si attaccano alle mani dei passanti, chiedendo soldi o qualcosa da mangiare. L'istinto è sempre quello di prenderli e portarli via con me. Semplicemente, vorrei stringerli, baciarli, accarezzarli. Vorrei che andassero a scuola; il diritto all'istruzione, al gioco, alla spensieratezza dell'infanzia, troppo spesso non è riconosciuto a tutti i bambini, specie se appartenenti all'etnia rom. I bar; come sempre, sono pieni di giovani seduti che fumano e bevono un caffè (un albanese potrebbe anche metterci un'ora a sorseggiare un caffè). Sono le 13 e comincio ad essere stanca, così mi incammino verso la fermata dell'autobus per tornare a casa. Mi piace che i giovani, sugli autobus, si alzino per lasciare ìl posto ai più anziani. Salgo sul «Tirana e Re» e mi seggo su un sedile vuoto. Subito la mia attenzione è catturata da una donna sulla sessantina seduta di fronte a me, tutta vestita di nero, con un foulard in testa, che ml guarda e sorride. Accanto a me, una giovane ragazza vestita all'ultima moda, con i capelli raccolti, gli occhiali da sole Un incredibile groviglio di fili elettrici: in Albania, la corrente elettrica manca per molte ore al giorno, anche nella capitale. Altra pagina: donne su una panchina dei giardini. firmati e il trucco perfetto, fa scoppiettare un chewing-gum sotto i denti. Due immagini di donna all'apparenza contrastanti, la vecchia e la nuova Albania, chi ha vissuto i tempi del regime e chi li ha solo sentiti raccontare, chi ha la sopportazione scritta negli occhi scuri e chi il desiderio di cambiare tutto. LA LUCE MANCA DA ORE Nel momento in cui giro nella via che porta al mio palazzo, lo sguardo mi cade sul fondo dei miei jeans: sono sporchi di fango fino ai polpacci, per non dire delle scarpe, tutte imbrattate anche loro come i miei pantaloni. Mentre mi chiedo come sia possibile, invece, che gli albanesi non siano mai sporchi di fango quanto me praticamente tutti i giorni, mi dirigo con disinvoltura verso la grossa pozzanghera che sta di fianco al mio palazzo e, senza pensarci, vi immergo le scarpe finché il fango non si scioglie, poi mi infilo nel portone e raggiungo l'ascensore. Sorrido alla vista di un cucciolo di cane, biondo e col muso lungo, rannicchiato all'interno dell'ascensore, in un angolo, tutto tremante e di una tenerezza disarmante. Non mi chiedo come sia finito lì. In Albania, in fondo, possono succedere cose sulle quali ho rinunciato da tem~o a chiedermi il perché. Epoi, che fastidio mi dà? l'ascensore è inutilizzabile: la luce, dopo 7 ore, non è ancora tornata. ELISABETTA BORDA --------------------------------------------------------------------- MC MARZO 2006 ■ 41 • & • • • r'·:·

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