Missioni Consolata - Marzo 2006

I I DOSSIER - -- ~- - - - - con noi viaggiava anche un uomo con il permesso di soggiorno italiano, che, una volta sbarcati, ci ha condotti, a piedi, in un villaggio lì vicino. Ma poi qualcosa dev'essere andato storto perché è arrivata la polizia, che ci ha caricati su un autobus e portati a Bari in una struttura per clandestini. Poi siamo stati tutti imbarcati su un traghetto che ci ha riportati a Valona, dove ci attendeva la polizia». Mandi è stato in Albania per circa un anno, poi ha provato ad andare in Grecia pagando 100.000 lek (800 euro), ma la Grecia non gli piaceva. Così ha provato ad andare in Inghilterra, pagando circa 2.000 euro per un visto Shenghen. «Non so se il visto che mi fecero sul passaporto fosse vero o falso, ma non mi importava, volevo solo partire». Non ce la fece ad entrare in Inghilterra, così dovette tornare. Volle ritentare un'altra volta, pagando 4.000 euro, ma i suoi genitori lo convinsero a restare. «Oggi andare in Gran Bretagna costa 8.000 euro, perché è molto difficile entrare». Mandi, oggi, lavora come tuttofare presso una missione cattolica da circa 4 anni. «Essendo entrato come clandestino, non ho il permesso per tornare in Europa fino al 2007. Mi piace il mio lavoro, ma io voglio fare i soldi, la vita qui costa cara ed i soldi non bastano mai. E quando incontro dei miei amici che invece sono riusciti ad andare all'estero, hanno lavorato e sono tornati, sono invidioso perché loro sono riusciti ed io no. Ma il prossimo anno potrò tentare di nuovo». Ognuno con la propria storia, con il desiderio di raccontarsi, di condividere con me un pezzo del31 ■ MC MARZO 2006 la loro vita spesso sofferente. I ragazzi mi raccontavano della vita di Tirana, delle ragazze più libere di quelle di campagna, dell'opportunità di studiare, dell'ossessione di diventare qualcuno. Ma non tutti desiderano partire per sempre. Durante la sessione di esami per la certificazione della lingua italiana, il primo passo verso il sogno italiano, molti dei ragazzi e delle ragazze mi dissero di volersi iscrivere alle facoltà di giurisprudenza, oppure a quella di scienze politiche, «così poi torno e faccio qualcosa per cambiare il mio paese». çhissà se poi torneranno dawero? E stato bello, però, sentire con quanto entusiasmo pronunciavano queste parole, con quanta voglia di combattere una corruzione che va avanti da anni, un sistema che invece di avanzare arretra, che lascia senza luce interi villaggi anche per l 2 ore al giorno. Erano quasi tutti diciassettenni, dunque carichi di desiderio di cambiamento, sicuramente meno stanchi dei genitori, che ancora risentono dell'appiattimento perpetrato dal regime comunista e dei periodi che sono seguiti. In Italia bisognerebbe cercare di distruggere il pregiudizio dell'albanese dunque delinquente, oppure ballerino (sulla scia di una nota trasmissione televisiva). In realtà, ho incontrato molte persone, con cultura, conoscenze, educazione e desiderio di fare qualcosa per la loro patria. Non a caso, le canzoni dei giovani rapper albanesi cantano di amor patrio, bandiera, orgoglio di essere nato albanese. O di aprire le braccia, mettere le ali e volare via. I giovani vogliono agire con i fatti, non solamente a parole. La loro carica interiore, i loro ideali sono solo un inizio, ma da qualche parte bisognerà pur cominciare per cambiare un paese. E chi meglio dei giovani lo può fare? Sicuramente il supporto dei «grandi» non deve mancare, solo loro possono aiutare i giovani a risollevare un paese. CHE FARANNO I GIOVANI? Nel 2004 ebbi occasione di partecipare, aTirana, ad una tavola rotonda dal titolo «Giovani: problema o risorsa?». Mi rimase impresso l'intervento del rappresentante del parlamento dei Giovani, Endri Shabani. Dapprima affermò con rabbia che quando i giovani vengono maltrattati nelle ambasciate, o affogano nei mari tentando una traversata col gommone perché non c'è possibilità di ottenere un visto, essi non avranno mai la possibilità di fare confronti tra la loro società e quella europea, impedendo così alla loro di progredire. Infine concluse raccontando una storiella tipica albanese. Due giovani, giocando con una fionda nel bosco, colpirono un uccellino. Quando lo presero in mano, videro che questo era in agonia, ossia non era né vivo né morto. In quel momento giunse nel bosco un vecchio, che era considerato il saggio del villaggio. Uno dei ragazzi, per infastidirlo, nascose l'uccellino dietro la schiena e gli chiese: «Dicci, o vecchio saggio, questo uccellino è vivo o morto?». Se il vecchio avesse detto che era morto, il ragazzo gli avrebbe dimostrato che era ancora vivo. Ma se il vecchio glì avesse detto che era ancora vivo, al ragazzo sarebbe bastato stringere un po' le mani perché l'uccellino morisse. In entrambi i casi, il vecchio non sarebbe più stato considerato il più saggio del villaggio. Il vecchio, però, nella sua saggezza rispose loro: «Il suo destino è nelle vostre mani». Endri Shabani terminò così il suo intervento: «Insegnanti, direttori, politici e chiunque abbia a che fare con i giovani, considerate il futuro dei giovani come un uccello in agonia, il suo destino si trova nelle vostre mani». A lato: il grande mosaico «Albania• sulla facciata del Museo storico nazionale, in piazza Skanderbeg, a Tirana Pagina accanto: la nuova moschea di Scutari.

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