Missioni Consolata - Marzo 2006

-■ KENYA raiaI da padreTablino e padreTallone, riguardo al lavoro per la riconciliazione tra samburu, turkana epokot; tre gruppi etnici tradizionalmente ostili gli uni agli altri per questioni legate ai pascoli, ai pozzi d'acqua e alla proprietà del bestiame e,tuttavia,capaci di appianare i loro conflitti in nome non solo di evidenti affinità, ma del valore più alto della pace. Penso anche aquella grandiosa opera,ormai nota a livello internazionale,che è l'acquedotto ideato da fratel Argese,missionario aMukululu, e realizzato sotto la sua direzione recuperando l'acqua proveniente dalla condensa notturna che si forma sugli alberi della foresta del Nyambene. L'acquedotto, la cui storia è stata ri - costruita nel marzo 2005 dalla rivista Missioni Consolata e al quale sono stati dedicati anche servizi televisivi nell'ambito dei programmi «Geo & Geo»e <<Alle falde del Kilimangiaro», fornisce attualmente acqua a250 mi - la persone. VOLTI SENZA MASCHERE Infine, per concludere, vorrei concentrarmi più a lungo su un incontro, per me di forte impatto emotivo, avvenuto aSagana, nella «Casa di Betania»,con le «vecchiette»di cui si prende cura padre Gerardo Martinelli. Forse perché sono una donna anch'io,o forse perché la curva della mia vita ha 14 ■ MC MARZO 2006 ■■ ■■■ ■■■ raggiunto ormai la sua fase discendente, ho awertito un'immediata simpatia per queste anziane. Di molte di loro non si conosce nulla: non l'età, non la storia, non la provenienza originaria;talora neppure il nome.Alla «Casa di Betania»le porta generalmente la polizia;vengono dalla strada dove finiscono per motivi non sempre ricostruibili.Si può pensare che non abbiano più nessuno e restino prive di sostegno e di risorse o che vengano cacciate da casa perché inutili, pesi morti in situazioni già difficili. Il dato certo è che diventano nude vite esposte alla brutalità del mondo. La «Casa di Betania»non solo le sottrae alla violenza e ai pericoli della strada, ma offre loro un luogo dignitoso e sereno in cui vivere.Se restano loro delle energie, possono svolgere ,_ qualche lavoretto, come coltivare l'orto, lavare, pulire le stanze, badare agli animali; dispongono di momenti di solitudine,ma possono godere della compagnia reciproca. Non tutto è idilliaco,owiamente,e non sempre i risultati del loro trasferimento sono quelli sperati.Accade, infatti,che qualcuna scappi, ritornando alla strada. Difficile dire cosa le spinga afuggire da un luogo protetto eaccogliente, senza aver in mano alcuna alternativa.Ma in gran parte restano e, forse, riescono aguarire almeno un poco dalle ferite che sono state loro inferte, provando a rinascere come persone, nonostante i mille ostacoli, un lungo tratto di vita già percorso. Quando facciamo loro visita, le donne non sembrano nutrire alcuna diffidenza nei nostri confronti, come ci si potrebbe aspettare, forse perché il tramite tra noi e loro è padre Martinelli. Proprio questa mediazione rompe, o almeno fluidifica, i confini che ci separano e consente l'inizio di una relazione, sia pure fatta di gesti e di sguardi più che di parole. Ci accolgono, infatti, con espressioni di benvenuto, scambi di jambo, strette di mano,sorrisi. t come se,attraverso i corpi, si attuasse un travaso A sinistra, Sagana: alcune donne anziane accolte nella St. Mary's House. Sotto, frate/ Giuseppe Argese con un gruppo di africani in visita all'acquedotto di Muku/u/u.

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