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~l LETTORI URGENZA DI AGIRE l nostri missionari e missionarie che operano nei paesi dell'Africa subsahariana con ospedali, dispensari, orfanotrofi e altre iniziative di sviluppo, continuano a lanciare drammatici appelli per . salvare il continente dalla pandemia dell'Hiv/Aids. Parlano di moribondi al ciglio delle strade, di orfani in aumento, di scomparsa di un'intera generazione, soprattutto la classe dirigente e produttiva, di fantasmi ancestrali alla ricerca del colpevole. Siamo di fronte a un dramma che distrugge il tessuto sociale, economico e culturale di interi paesi, già minati da povertà, carestie, malattie, annullando ogni possibilità di costruire un futuro e coinvolgendo nella tragedia l'intera umanità. Senza contare che l'Aids sta mettendo a rischio il loro lavoro di evangelizzazione e di formazione di comunità cristiane. «Siamo stanchi di procurare bare e impartire benedizioni funebri- dicono-. Ci stiamo impegnando in iniziative di educazione alla prevenzione, di attenzione e cura delle gestanti, perché nascano bambini senza il virus, di lotta contro i pregiudizi, la paura e l'emarginazione>>. Tale appello è stato raccolto e concretizzato nel giugno 2004, con la costituzione del comitato «SALUTE AFRICA», per volontà degli Istituti dei missionari e missionarie della Consolata, l'ospedale Koelliker, le associazioni Amici Missioni Consolata e Impegnarsi Serve Onlus. Scopo del comitato è lanciare programmi finalizzati alla lotta contro l'Aids, nell'ambito di una Campagna la cui chiusura è prevista per la fine del2006, ma che potrà essere prolungata, se le condizioni lo richiederanno. 112004doveva servire a preparare le basi e gli strumenti di tale Campagna; invece si sono già concretizzati alcuni risultati, sia in termini di diffusione, sensibilizzazione e apertura di segreterie in varie regioni d'Italia, sia sotto l'aspetto economico, con la raccolta di fondi che hanno già finanziato diversi progetti. U na delle più importanti iniziative della Campagna è stato il convegno «PANDEMIAAios: AFRICA CHIAMA ITALIA», organizzato a Torino il lo dicembre scorso, giornata mondiale deii:Aids, per far conoscere la malattia dell'Hiv nella sua complessità e gravità, affrontando ed esaminando le variabili di ordin.e economico, etico, giuridico, sanitario e politico che influiscono sul suo dilagare, e trovare contemporaneamente risposte concrete anche dall'incontro tra esperti africani e italiani, che dedicano la loro professionalità alla lotta contro la diffusione. In questo numero monografico della rivista Missioni Consolata troverete gli estratti del convegno uniti ad altri documenti, testimonianze, riflessioni e previsioni sull'argomento. Potrete inoltre documentarvi sulle attività già svolte e sulle iniziative in programma della Campagna e su tutti gli strumenti a disposizione per prenderne parte in prima persona, ciascuno secondo le proprie possibilità. Abbiamo parlato delle sciagure che affliggono l'umanità, come le guerre e le nuove schiavitù: di fronte a questo genocidio strisciante, che minaccia l'umanità e, soprattutto, il continente africano, non possiamo tacere, sia come missionari che come cristiani. Anche in coloro che sono colpiti dalla sindrome di immunodeficienza Cristo continua la sua passione, morte e risurrezione: «Ero malato e...». Dipende da noi la capacità di riconoscerlo e servi rio nei nostri fratelli e sorelle colpiti dalla pandemia. SILVIA PEROTII Vicepresidente Comitato «Salute Africa»
Ai lettori Urgenza eH agire di Silvia Perotti CON I MISSIOIIAIII EMISSIOIIAIIIE DELLA CONsolATA Aids e cultura Attenti al cuore di Simona Brambilla Chiesa in Africa e Aids Semfnatori eH speranza di Anna Pozzi La forza della speranza di Marina Barcella Franceschi La luce dopo il buio di Marina Barcella Franceschi Missionari laici Un volto, un nome, un fratello di Marina Barcella Franceschi Dolore tangibile.•• di Paola Viotto Non nasconcHamod! di Gianni Treglia Africa 2025: tre scenari Non c'è tempo da perdere a cura di Unaids (E.Zanchi e F.Mazzarella) Aids in Italia Qui e altrvve di Laura Rancilio www.missioniconsolataonlus.it Apertura «We care oppure••• » di Giordano Rigamonti Dal Rettore magnifico di Ezio Pelizzetti La Pandemfa in dfre Sindrome globale Genoddio strisdante di Sandro Calvani e Serena Buccini Aids ed antropologia L'equilibrio infranto di Jean Leonard Touadi Aids e medicina L'infezione africana di Maria Luisa Soranzo Aids ed economia Il moltiplicatore della poverti di Daniele Ciravegna Aids e politica Futuro per tutti di Guido Bodrato Aids e farmacologia Ricerca••• continua di Mario Eandi Etica e Aids di Ermis Segatti Aids e giustizia Solidarietà da reinventare di Mario Portigliatti Barbos Una voce dal Congo Amore contro i mulini a vento di Chiara Castellani Stigma e paura Nuovf samaritant di José Luis Ponce de le6n Numero monografico di 100 pagine. Tiratura prevista: circa 70.000 copie. n numero è stato chiuso in redazione il 9 gennaio 2006. La consegna alle poste di Torino è avvenuta prima dellO febbraio 2006. In copertina: vedute africane Foto: archivio IMC
Impegno, Sfida, Profezia di Giordano Rigamonti Vita consacrata A nuove sftde, nuove stnltegie di luis Francisco Arellano Pefez ·America Latina Senza paura di sbagtfare di José Bemardi Progetti ·Educare per vhere •Nascere senza AVI ·Una rete contro tl dolON ·Un ponte tra donne · Sostegno a comuniti vtttagglo Appuntamenti ed info •Mostra ittnerante •«AIDS? One day event» ·Sussidi •Dove rivolgersi ·Come contribuire Fotografie (i numeri indicano le pagine): Glossario le parole dell'Aids di Enrico Larghero pagina 98 Archivio IMC (7,21,25,42,79,87,88,89,91,92,93) - Bellesi (8,9,11,32-34,46,51,56,58, 63,67,69,78,82,86) - Bemardi (10,11) - Comboni Press (68,71-73,80,83) - Franceschi (15,16,18,19,20,22) - Internet (5,29,38,39,57,59,60,61,64,75,76,85) - Jelenkovich (4,37,40, 41,44,46,48,52,53,54,55,65,66,90) - Osm!Virot (23-28) - Ponce de Le6n (74,76,77,78) - Pozzi (5,12-14,17,45,47,49,50,55,56,66,67,77,84). Idati personali forniti dagli abbonati sono usati solo per le finalità della rivista. II responsabile del loro trattamento è l'amministratore, cui gli interessati possono rivolgersi per richiederne la verifica o la cancellazione (legge 675/1996). MC FEBBRAIO 2006 • 5
XI Capitolo Generale IMC ORIENTAMENTI PER LA MISSIONE ---------------------------~----------------------------------------- DI FRONTE AL DRAMMA DELL'HIV l AIDS ENUCLEAZIONE «Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d'oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore» (GS 1). Il flagello dell'Aids affligge tutta l'umanità. Il fenomeno è di dimensioni planetarie. Il numero dei contagiati aumenta di giorno in giorno e riguarda tutte le categorie sociali. Il futuro dell'umanità è a rischio. In questo momento il fenomeno si acuisce maggiormente in Africa, continente «dimenticato» e sfruttato. ASPETTI CHE MOTIVANO Li ~~~! .·, - ~l ~ ~~#,;~~~~;,."' -... 1 Seguendo l'insegnamento del Fondatore, rivolgiamo la nostra attenzione ai problemi del mondo con cuore compassionevole. 2 In diverse circoscrizioni, soprattutto dell'Africa, già si lavora attivamente per assistere i malati e prevenire la malattia. 3 Questa pandemia è volutamente dimenticata dalle politiche dei governi di alcuni paesi in via di sviluppo, poiché preferiscono «non vedere» piuttosto che affrontare il problema. PROPOSTE 1 Conoscere e far conoscere il problema, utilizzando i nostri ed altri mezzi di comunicazione: riviste, agenzie, siti informatici, Aefjn... 2 Il nostro servizio di consolazione comporta: a) accogliere e soccorrere senza preconcetti coloro che sono colpiti dal male; b) difendere i loro diritti; c) sostenere maggiormente i nostri tre ospedali (Neisu, lkond~. Gambo) impegnati nella cura e prevenzione della malattia; d) collaborare con altre forze civili e religiose per prevenire con incontri e sussidi educativi; e) collaborare in campagne e movimenti che operano in questo campo (p. es: «Salute f) Africa»); proporre chiaramente l'insegnamento della chiesa, formando alla sessualità responsabile e alla fedeltà coniugale, evitando la promiscuità; g) educare alla vita. IEstratto ~a: Am CAPITOLARI dall'Istituto Missioni Consolata, paragrafi 86-88)
CON l MISSIONARI E MISSIONARIE . DELLA CONSOLATA ·----------------------------------------------------------------------
l l l l l l l l l l MISSIONI CONSOLATA Il 24 aprile 2004, i vescovi mozambicani hanno scritto la lettera pastorale «Curate i malati»',affrontando il problema dell'Aids in Mozambico. li dato è allarmante: nonostante le campagne di prevenzione promosse negli ultimi anni dal servizio sanitario nazionale eda varie Ong, il Mozambico è oggi uno dei paesi africani con il più alto tasso d'infezione da Hiv:17%della popolazione.Circa 500 mila bambini sono orfani di genitori, deceduti per Aids, e 50 mila neonati contraggono ogni anno l'infezione per via verticale. Le campagne di prevenzione rea- . lizzate in questi anni hanno per lo più presentato il preservativo come metodo preventivo:ne sono state distribuite ai giovani enormi quantità, spiegando pubblicamehte come utilizzariF.Uno degli effetti collaterali di tali campagne sembra essere stato un maggiore disimpegno dei giovani (e non solo) verso un comportamento sessuale responsabile: adolescenti e bambini, informati sull'uso facile del preservativo, sono stati di fatto sollecitati all'attività sessuale. In questo senso, sembra che le campag.ne informativo-preventive abbiano avuto un effetto boomere, mg sulla diffusione dell'infezione da Hiv. Al di là della trasmissione per via sessuale, bisogna anche considerare la trasmissione sanguinea,che ha un suo importante ruolo, sia all'interno delle strutture sanitarie,spesso precarie, che nell'ambito dei vari trattamenti di medicina tradizionale (es. incisioni tramite lamette). Ultimamente, in alcuni centri maggiormente popolati, sono nati alcuni consultori per la prevenzione e il trattamento dell'Aids.Tipico è il progetto Dream della Comunità di S. Egidio, che ha 'realizzato tre centri principali (Maputo, Beira, Nampula), attrezzati con laboratori altamente specializzati, e una rete di piccoli centri e servizi domiciliarP. Unmondodi forze vitali : Per chi opera o simpatizza con l'A- : frica e vuole entrare in dialogo con le : personecon cui collabora, è necessa- : rio aprirsi alla conoscenza del pensa- ! re africano, cercando di intenderne : non solo la lingua, ma anche il lin- : guaggio.Senza tale conoscenza, ogni : dialogo, compreso quello «sanitario», Rito tradizionale di guarigione. 11 1111 1111 Il 1 Via crucis di un artista macua: : il cireneo aiuta Cristo a portare : la croce; nel riquadro inferiore : l'applicazione alla vita. l l l risulta impedito e causare troppi equivoci da ambo le parti; nel discorso e prassi sanitaria, si rischia di usare gli stessi termini e si intendono realtà diverse. Per capire il pensiero africano, soprattutto il concetto di malattia, bisogna tener presente che i popoli bantu si muovono in un mondo fatto non tanto di cose o esseri, ma piuttosto di forze vitali, che si intrecciano in relazioni e influenze reciproche. Questo, in modo estremamente semplificato, è il principio chiave per comprendere la cultura bantu•:un «pensare»che alcuni studiosi contemporanei definiscono «vitalogia», ossia, una filosofia a partire dalla vita più che dall'essere'. L'immagine della ragnatela6 può rendere l'idea di questo mondo di forze vitali in relazione:se si muove un filo, la sua vibrazione si ripercuote su tutta la ragnatela.Sullo sfondo di questa concezione del mondo si muove il pensiero e la vita bantu, compreso il modo di vedere e vivere salute e malattia. Se a un macuaxirima domandate «come sta»,la risposta può variare in modo sorprendente per la mentalità occidentale. Essa può essere molto simile aquella che anche noi siamo abituati adare:«Bene,etu?».Ma,come in un motivo musicale, le variazioni sono spesso numerose e significative:«Bene, non so però come va il tuo corpo»;«bene, non so però come stanno le tue forze»;«bene, non so però come sta la tua vita»;«bene, non so però come stanno le tue ossa». MC FEBBRAIO 2006 • 9
Il AIDS ECULTURA 11 1111 1111111111 Oppure la risposta può essere «COsì, così»,seguito dal racconto, spesso complesso e dettagliato, della ragione del «così,così»,spaziando da un mal di pancia notturno a un brutto sogno, da un problema di relazione familiare alla malattia di un parente vicino o lontano... fino agli elefanti che hanno rovinato il campo di granoturco.Sono risposte che esprimono le ragioni per cui una persona si sente minacciata nella propria vita/salute. Il bantu vive di relazioni e influenze reciproche, sia a livello intrapersonale che interpersonale.Mi spiego. Sotto l'aspetto intrapersonale, il bantu considera la persona come lm'unità, composta da tre dimensioni fondamentali: corpo, spirito eombra, i quali, integrando tra loro, influiscono sullo stato di salute o provocano la malattia. A livello interpersonale, il bantu riconosce nell'altro (sia esso persona umana vivente o antenato, realtà animate e inanimate e Dio stesso) un qualcuno col quale, in qualche modo, è in continuo scambio:tale scambio può aumentare o diminuire la «vita»e non lascia mai inalterate le condizioni che trova. Malattia e rimedi nella cultura macua Da tale visione del mondo derivavano i criteri per classificare le malattie e per applicarvi i relativi rimedi. Secondo la mentalità bantu-macua, tutte le infermità possono essere racchiuse in due grandi categorie.La prima comprende le malattie «di 10 • MC FEBBRAIO 2006 Maua: una suora della Consolata partecipa alla festa dell'iniziazione tradizionale delle ragazze. Dio»o «naturali»,quelle, cioè, che si ritengono causate da agenti naturali; la seconda quelle «culturali»,cioè, causate da influenze negative di altri (persone viventi o del passato). . Per un loro adeguato trattamento . ' bisogna tenere presente il contesto culturale completo (filosofia, religione, vita familiare, sociale), soprattutto l'antropologia bantu-macua,con le sue tre dimensioni: corpo, spirito e ombra, distinte ma mai separate7 • La cerchia dei «personaggi»coinvolti nel dramma della malattia si allarga rispetto alla mentalità occidentale. Un ruolo preminente è svolto da Dio e dagli antenati (relazioni e influenze del mondo dell'aldilà); ci sono poi gli esperti tradizionali della salute (indovini, medici tradizionali); c'è il malato con i suoi parenti, con i suoi vicini e con quanti in qualche modo entra in contatto. Per questo la malattia non è pural mente una condizione personale, un fatto privato, ma è un evento multidimensionale che muove, coinvolge, nasce e si ~volve in un contesto relazionale che abbraccia tutto l'orizzonte del mondo bantu-macua.Di conseguenza, anche la «farmacologia»e la terapia si dilatano ediversificano in modo impressionante8 • Nell'universo bantu-macua si può parlare, prima di tutto, di terapia mistico-rèligiosa.«Dio è la vita, gli antenati sono medicine»dice un proverbio macua. La terapia tradizionale include aspetti mitico-cosmogonici: essa è impensabile senza il contatto con il mito fondativo del popolo, con le origini della collettività e dell'individuo malato, con la scaturigine della forza vitale. La terapia abbonda di aspetti simbolici: simboli e gesti usati evocano significati ed emozioni. Ma non mancano,naturalmente, gli aspetti prettamente farmacologici: i medici tradizionali conoscono rimedi naturali a volte molto efficaci. Infine, nelle terapie tradizionali giocano un ruolo importante le relazioni tra il malato e il medico, la famiglia e il mondo dell'aldilà.Tali relazioni costituiscono l'ambiente in cui si collocano i vari trattamenti. In questo scenario, si comprende come la cura di una malattia non possa fare ameno di essere multidimensionale:deve interessare le tre dimensioni della antropologia bantu 1 (corpo, spirito, ombra),dialogare con i diversi ambiti (religioso, familiare, sociale) del mondo macua e abbracciare diversi tempi: presente, passato (il tempo mitico delle origini) e naturalmente il futuro. Credo che anche la medicina scientifica, in qualche modo, abbia bisogno di un cammino di inculturazione;debba,cioè,entrare in dialogo con le istanze che la persona e il popolo presentano, nell'ascolto umile e empatico di come la persona o il popolo comprende se stesso e, di conseguenza, del significato che attribuisce a un dato awenimento,anche quello della malattia.
MISSIONI CONSOLATA Ese l'Aids fosse una malattia del cuore? Estate 2003: siamo in una missione della provincia del Niassa.È un pomeriggio di sole, caldo ma non troppo. Con Roberto, un ragazzo di 27-28 anni, siamo seduti in un luogo ombroso e fresco. Parliamo della vita: della sua e del suo popolo. Roberto è figlio del suo tempo e del suo popolo: tempo e popolo che hanno ritrovato la pace da appena 11 anni, dopo una guerra lunga ed estenuante, che ha lasciato segni fuori e, soprattutto, dentro le persone. Roberto parla volentieri; lo sento vibrare nel raccontare e approfondire i suoi pensieri e sentimenti. Lo fa soprattutto prendendo spunto dalla sapienza tradizionale, proverbi e detti del suo popolo, ma li rielabora con talento poetico eacutezza d'intuito. Il discorso cade sull'Aids, che sta mietendo giovani vittime anche nel suo villaggio. A un certo punto il giovane esordisce: «Di Aids però ce ne sono due tipi». Gli chiedo spiegazioni.«C'è quella che conosciamo, quella del virus- afferma-. Sappiamo come si trasmette, come si previene. Sappiamo che non ci sono cure, che porta alla morte.Queste cose le sappiamo. Però tutto ciò non ci impedisce di ammalarci ...». Approfondiamo il dialogo e Roberto spiega che forse il problema della prevenzione dell'Aids non sta solo nell'informazione. l ragazzi del suo villaggio sono ben informati sulla malattia. li fatto è, dice Roberto, che 11 1111 11111111 probabilmente ai ragazzi non interessa molto di ammalarsi, piuttosto che rimanere sani. Erilancia: «Vedi, c'è un altro tipo di Aids, che è anche peggio di quella del virus, e che viene prima...». Econtinua parlandomi di un'altra «malattia», diffusa e mortale, «è come un verme che ti mangia dentro... e tu non hai più voglia di vivere... ecominci amorire». Mi spiega che è una malattia «del cuore» e ne elenca i «sintomi». Nella mia mente, ascoltandolo, riconosco con precisione impressionante la descrizione del vuoto, della depressione, della solitudine. Roberto va oltre, elencandone pure alcune cause, con lucidità e intuito ammirevole; e corona la sua analisi con una parabola. «Quando soffia il vento e cade un albero, noi pensiamo che sia stato il vento afarlo cadere, ed è vero. Ma. non è tutta la verità. Se guardiamo bene l'albero, ci accorgiamo che dentro era "mangiato'; vuoto. Prima del vento, c'era un verme che era entrato eaveva fatto il suo làvoro.L'albero sembrava vivo, ma era già morto. li vento ha dato solo l'ultimo colpo». Roberto mi ha dato un'altra lezione di vita. Mi ha insegnato che bisogna stare attenti al vento, prevenirlo, rinforzare gli alberi perché non cadano. Ma mi ha insegnato che questo non è tutto, che «c'è un altro tipo di Aids, che viene prima». C'è una persona che forse è ferita dentro e a questa ferita va data attenzione. Non è una ferita che si cura con le medicine. Èuna ferita del cuore, dell'anima, che richiede un «trattamento» diverSuor Simona Brambilla, attualmente consigliera generale delle missionarie della Consolata. so, fatto di cose forse meno visibili e quantificabili delle medicine, ma non per questo meno importanti. Richiede silenzio, ascolto, presenza, discrezione, delicatezza, capacità di : comprendere, intuire e sfidare. Ri- .. chiede l'impegno in relazioni vere, che possano costituire quello spazio/luogo in cui la persona possa «sedersi» al sicuro, avere il coraggio di _ guardare le proprie ferite e recuperare le energie, la vita. Richiede l'impegno e la passione di creare con l'altro una comunicazione attraverso cui la consolazione passi. Non la consolazione delle frasi fatte, della pacca sulle spalle, ma la consolazione biblica, cristiana, cioè di Cristo. La consolazione che circola anche attraverso gli umili canali delle relazioni umane più vere, in cui si incarna la carità, che non èassistenzialismo umiliante, ma condivisione di se stessi nel dare e nel ricevere la ricchezza dell'altro e dell'Altro. Roberto mi ha dato una buona lezione,sfidandomi ad approfondire il mio essere cristiana e missionaria. Grazie, Roberto! • l · Cf CONFERrNCIA EPISCOPAL DE MOçAMBIQUE, Curai os Doentes, Maputo, 24 Aprile 2004. 2-Cf/vi,p. 3 3· Cf lvi, pp. 8-9 4· Vedi il concetto di forza vitale in TEMPELS P., Bantu Philosophy, Parigi 1969. 5 ·Vedi il contributo di NKAFU NKEMNKIA M., Il pensare africano come cvitalogia», Roma 1995. 6-Cf TEMPELS P., op. dt., p. 60. 7· Cf lo studio di FRIZZI G., Muru-Mirosi, Evangelizar a . doenfa b_antv-mocua. Dattiloscritto inedito, Maua 1993, p. 3. B-Cf/vt,p. 5 MC FEBBRAIO 2006 • 11
CHIESA IN AFRICA EAIDS ---------------------------------------------------------------------------------------------------------- Missionari in prima linea nella lotta all'Aids in Africa La chiesa africana (vescovi, preti diocesani, missionari emissionarie) è impegnata su due fronti: combatte la malattia dell'Hiv e l'afro-pessimismo. È una lott impari, per mancanza di risorse e, spesso, per la latitanza dei governi locali. Eppure ci sono molti segni di speranza, come testimoniano le esperienze qui riportate di alcuni paesi: Uganda, Sudafrica, Tanzania eMozambico. In questa lotta sono coinvolti anche i missionari e missionarie della Consolata. L ottiamo contro l'Aids e, allo (( stesso tempo, contro l'afro- ~ pessimismo». È questo l'appello che mons.John Onayiekan,arcivescovo di Abuja e presidente del Simposio delle conferenze episcopali di Africa e Madagascar (Sceam), ha rivolto al mondo in occasione della Giornata internazionale di lotta contro l'Aids, che si è celebrata lo scorso l o dicembre. Un appello forte, il suo, fatto anome di tutte le conferenze episcopali africane, che da molto tempo ormai hanno fatto loro la sfida imposta dall'Aids atutte le realtà africane, chiesa cattolica compresa. Enon potrebbe essere altrimenti, visto che questa pandemia sta sconvolgendo la vita di popolazioni intere e di interi stati, mettendo adura prova i sistemi sanitari, indebolendo le economie, ma anche mettendo in discussione i modelli valoriali di riferimento e la stessa struttura sociale, disgregando le famiglie e uccidendo le giovani generazioni. Per questo, di fronte allo slogan dell'ultima giornata internazionale di lotta all'Aids «Manteniamo le promesse», le chiese d'Africa non si sono tirate indietro.«Noi promettiamoscrive l'arcivescovo- avoi tutti che siete colpiti dalla malattia di essere al vostro fianco, e incoraggiamo tutti gli agenti pastorali ad aiutarvi eaprendersi cura di voi totalmente, nel corpo e nell'anima». Al tempo stesso, sottolinea mons.Onayiekan,«noi ve-
MISSIONI CONSOLATA scovi africani ci opponiamo alla marginalizzazione dell'Africa come continente. Chiediamo di rispettare l'Africa,che non ha bisogno di pietà, ma di amore vero, solidarietà egiustizia». Eguardando al continente e alle sue ricchezze umane, alla sua capacità di affrontare le difficoltà e le sofferenze, e di custodire, nonostante tutto, l'ottimismo, il presidente del Sceam dice con convinzione:«Noi non abbiamo paura. l popoli dell'Africa sono ricchi di forza interiore e di valori nobili, di coraggio e di determinazione avincere la pandemia. È per questo che facciamo appello a tutti i popoli africani, affinché si impegnino coraggiosamente nella lotta contro l'Hiv/Aids. Eaccoglieremo la solidarietà di tutti gli uomini e le donne di buona volontà». Rapporto «olistico» Il ruolo delle chiese africane e dei missionari in Africa, nel settore della salute, è assolutamente rilevante. Ancora oggi, oltre la metà di tutte le strutture sanitarie presenti nel continente sono gestite da enti ecclesiali o missionari. Einoltre, se si guarda allo specifico della lotta all'Aids, «la percentuale dei centri di assistenza sanitaria della chiesa cattolica che curano l'Aids in tutto il mondo è il 26,7%, contro il42% gestiti dai governi di tutto il mondo con copertura economica». Lo fa notare in un'intervista a Fides, il cardinale Javier Lozano Barragan, presidente del Pontificio consiglio per la pastorale della salute, che aggiunge:«Anche per questo il santo padre ha voluto la Fondazione ii"Buon Samaritano'; che si occupasse di aiutare i poveri malati».Creata il l 2 settembre 2004, eaffidata al Pontificio consiglio per la pastorale della salute, la Fondazione ha ricevuto una donazione personale di Benedetto XVI di l 00 mila euro. Nei suoi primi mesi di vita, precisa mons. Lozano,«la Fondazione ha già inviato 40 mila dollari, equamente divisi tra Etiopia,Congo,Tanzania e Birmania, che possiamo dire sono già pasticche antiretrovirali». Quello di for-hire farmaci, tuttavia, Johannesburg: orfanotrofio eclinica finanziati dall'Ufficio Aids della Conferenza episcopale del Sudafrica. 11 1111 11111111 Incontro di preghiera dei volontari impegnati nella lotta all'Aids aMadadeni (Sudafrica). non è l'unico strumento con cui la chiesa interviene direttamente nella lotta all'Aids.Quattro sono le linee di fondo, per un approccio di tipo «olistico» al problema, un approccio cioè che prende in considerazione tutti gli aspetti legati aquesta terribile pandemia. Non solo trattamenti antiretrovirali,dunque,ma anche prevenzione e formazione, assistenza psicologica e spirituale, accompagnamento dei malati e delle loro famiglie, assistenza alle vedove e agli orfani, e un lavoro di base per promuovere valori e comportamenti responsabili ispirati al vangelo. Anche in ambiti non ecclesiali, pare essere questa la linea guida predominante nella lotta all'Aids, come dimostra l'ultima Conferenza interflazionale che si è tenuta ad Abuja, in Nigeria, all'inizio di dicembre 2005,significativamente incentrata sul tema: «Hiv/Aids e famiglia». «Dobbiamo prendere in mano il nostro destino- ha dichiarato per l'occasione il presidente della Conferenza, Femi Soyinka- e liberarci dell'Hiv/Aids: per questo sono necessarie politiche che rinforzino il modello familiare africano, basato sui valori dell'ospitalità, della cura edell'assistenza». lnUganda Un esempio positivo in questo senso viene daii'Uganda. Dove la chiesa ha dato un contributo fondamentale alla riduzione della prevalenza deii'Hiv/Aids,adottando una formula basata sulla promozione dei valori, la fedeltà e l'astinenza.Questo intervento capillare, in tutte le regioni del paese, anche quelle rurali più isolate- e persino, dove è stato possibile, in quelle devastate dalla guerriglia nel nord- si èassociato a un importante lavoro in rete di tutti i soggetti impegnati nella lotta all'Aids, dal governo ai donatori internazionali, dalle associazioni locali alle Ong straniere. l risultati sono incoraggianti. Si è infatti passati dal l 2% di persone affette da Hiv/Aids all'inizio degli anni '90, al4, l% nel2003 (ultimo dato disponibile) con una prevalenza tra gli adulti dei7,5%.Anche nella capitale Kampala la percentuale è scesa significativamente dal 29% di l O anni fa all'8% attuale. Questo grazie ancne all'intervento tempestivo del governo che, a fronte del primo caso diagnosticato nel l 982, ha messo a punto un piano nazionale di lotta all'Aids già quattro anni dopo, aggiornato successivamente in diverse fasi per rispondere sempre meglio all'emergenza.Nel 2001, il Progetto di controllo dell'Hiv/Aids coinvolgeva l 2 ministeri, 28 Ong locali e il')ternazionali,e 30 partners. In Sudafrica Lo stesso non si può dire per molti altri governi africani, alcuni dei quali, come quello del Sudàfrica, portano pesanti responsabilità per il grave ritardo con cui hanno affrontato il problema Aids. Nonostante il paese abbia il numero-assoluto più alto di malati- 5 milioni su una popolazione di 44- il governo di Thabo Mbeki ha elaborato un serio piano nazionale di lotta all'Aids solo nel novembre 2003,con l 5 anni di colpevole ritardo.Oggi il Sudafrica si trova afar fronte a una pandemia fuori controllo che sta devastando la società a tutti i livelli. Anche qui la chiesa cattolica- che pure non è maggioritaria nel paesesta facendo un"-=ravoro enorme ed è seconda solo al governo quanto aerogazione di servizi legati alla prevenzione e alla cura dell'Aids. Un contributo importante all'opera coordinata dall'Ufficio Aids della Conferenza dei vescovi del Sudafrica MC FEBBRAIO 2006 • 13
Il CHIESA IN AFRICA EAIDS Il Il Il Il Il Il Il Il ------------------------------------------------------------------------------------------------- ~ --------- (Sabc) è dato daii'AfdsReliefConsortium, un coordinamento di più soggetti guidato dal CatholicReliefServices (Crs), la Caritas statunitense. In Sudafrica,AidsRelief- attraverso Sabc e un altro partner, 1'/nternationa/ Youth Development- è riuscita a raggiungere 5.500 pazienti con trattamenti antiretrovirali, più di 11 mila con cure mediche in 24 strutture. 14 • MC FEBBRAIO 2006 Complessivamente AidsReliefinterviene in 9 paesi, dove distribuisce trattamenti antiretrovirali a26.600 malati e cura 78.650 pazienti in 89 strutture. Durante una conferenza che si è tenuta alla fine del2004 presso il Sizanani Viflage di Bronkhonstpruit, una sessantina di chilometri da Pretoriaun centro creato da un missionario alDall'alto in basso. Missionari della Consolata nelle parrocchie di Madadeni edintorni: Tarcisio Foccoli (da sinistra), Germdn Giraldo Galindo,Joseph Mang'ongo. ' Entrata dell'ospedale di lkonda in Tanzania. Padre Sandra Nava, missionario della Consolata, respons-abile dell'ospedale di lkonda. • Il dottore Gerord, sua moglie Elizabeth epadre Romano Ceschia, cappellano dell'ospedale di lkonda toatesino, padre Charles Kuppelwieser, dove tra le molte attività si curano anche malati terminali di Aids e si realizzano programmi di assistenza domiciliare -l'imperativo emerso da tutti i partecipanti è quello di rendere i trattamenti antiretrovirali sostenibili sia economicamente che nella gestione concreta di una cura che richiede grande rigore e assistenza. «l nostri pazienti trattati con antiretrovirali- spiega Bulelani Kuwane, responsabile del centro Sizanani, che con le sue strutture coloratissime, secondo la tradizione locale, è tutt'altro che un luogo che evoca malattia e morte- vengono seguiti da assistenti sociali e infermieristici,che visitano i malati nelle loro case, assistono le famiglie e curano l'aspetto comunitario, che è estremamente importante anche nella lotta all'Aids. Perché è nella comunità che il malato trova i riferimenti acui aggrapparsi per poter soprawivere». «La situazione in Sudafrica è drammatica- conferma Johan Viljoen, nel suo studio presso l'Ufficio Aids della Sabc -.In dodici anni, la prevalenza del virus tra gli adulti è salita dall'l a oltre il20o/o.Ma solo un'esigua minoranza- 1 Oo/o circa- è consapevole di essere malata. Epochissimi vengono curati. In alcune zone del KwaZulu Natal, i risultati dei test sulle donne incinte mostrano che circa il40o/o di loro sono sieropositive». Eproprio le donne sono le più colpite, ma anche le più attive nel reagire. Lo conferma la dottoressa Malebo Maponyane, medico infettivologo, che pure lavora presso l'Ufficio Aids della Sabe. Ementre ci porta a visitare un centro sanitario gestito dalle suore di Ho/yCross,alla periferia di Pretoria,dove sono stati introdotti con grande successo, lo scorso anno,
MISSIONI CONSOLATA Il Il Il Il -Il Il Il i trattamenti antiretrovirali,commenta: «Le donne continuano ad avere uno status sociale inferiore rispetto all'uomo. Dunque, non hanno voce e sono spesso oggetto di abusi anche fisici. Basti pensare che in questo paese si registra più di un milione di stupri all'anno.Molti dei quali non denunciati». lenziosa e paziente assistenza ai malati.Come Matsediso Mthethwa, che vive aDaveyton, una township a pochi chilometri da Johannesburg, dove padre José Luis Ponce de Le6n, missionario della Consolata, ha creato un gruppo di volontari che si dedicano all'assistenza domiciliare. sentiva di assisterle.Eallora, insieme auna vicina, ho cercato di occuparmi di loro.Molti malati continuano a morire nel nascondimento,senza nessun tipo di assistenza perché loro stessi e i loro familiari ancora si vergognano di questa malattia che è sinonimo di maledizione e tabù». Non è medico, ma si rende perfettamente conto che l'Aids è innanzitutto donna, anche chi presta una si- «Le mie prime pazienti sono state due sorelle, la più grande allo stadio terminale. La loro famiglia le aveva abbandonate. La madre non se la È per combattere lb stigma, prima ancora che la malattia in sé, che padre José Luis aveva awiato un analogo progetto di assistenza domiciliare ~~ · LA FORZA DELLA SPERANZA A lringa, una cittadina nel centro del Tanzania, abbiamo incontrato suor Zita Amanzia Danzero, piemontese di origine, missionaria della Consolata, in Africa da/1973. S ono partita molto presto per la missione. Ho trascorso i primi 7 anni in Uberia, e ho ,lavorato in una scuola superiol'e come insegnante e preside. Nel1980 in Uberia è scoppiata la guerra e sono stata trasferita in Tanzania, dove sono dal 1981. Anche qui la mia prima esperienza è stata fra i giovani, gli alunni del seminario minore della Consolata, in cui ho insegnato matematica, chimica e biologia per 8 anni. Con alcuni di loro, diventati sacerdoti, siamo ancora in contatto e collaborano con me nell'istruzione che diamo qui a «Casa lrene»: il nome ricorda la vita di una nostra suora, morta di peste dopo una visita a un maestro ammalato. Partendo proprio da suor /rene, raccontaci un po' del vostro carisma dimissionarie della Consolata. Il nostro è il carisma della prima evangelizzazione, cioè l'annuncio di Gesù ai popoli. Il nome di missionarie della Consolata dà la dimensione particolare della consolazione, che parte dalla contemplazione di Maria Consolatrice. Quindi, siamo chiamate a evangelizzare i popoli, ma con questo atteggiamento di vicinanza: chinarsi su ogni persona, attraverso l'ascolto, la bontà, la partecipazione alla sue sofferenze, portando Gesù. Quale sfida ti viene della realtà che vivi qui oggi? Dopo tanti anni vissuti tra i poveri, sento tutta la mia impotenza. L'unica cosa che posso trasmettere è la speranza. l poveri non sanno dove andare e la fede nel Signore è ancora la loro forza. Come missionaria, sento di dovere essere uno strumento per far si che questa speranza non vada perduta. La grande sfida è questa: ogni giomo dare nuova speranza, anche quando non me la sento, quando io stessa l'ho perduta; continuare a credere che il Signore ha le sue vie di salvezza e che, se manda qualcuno da aiutare, posso farlo con la forza che attingo da lui. Spesso la persona che mi ascolta mi sconcerta, perché accoglie e dice: «Grazie, sister, mi hai veramente confortato e torno a casa con questa gioia»; anche se, in realtà, toma a casa con gli stessi problemi che non sono riuscita a risolvere. Un altro aspetto molto bello del mio lavoro è che non dobbiamo rispondere soltanto alle emergenze, ma andare a fondo della situazione, per vademe le cause. La prima di queste è r~gnoranza, dovuta a mancanza di istruzione, perché non c'è la volontà politica di istruire i poueri.Una grande sfida alla chiesa, ai missionari, quindi, è quella di dare ai poveri il meglio che si può, anche nell'istruzione, formando piccoli gruppi di leaders, perché si facciano formatori nei loro villaggi. Qui, a Casa lrene abbiamo un centro di formazione per gruppi di laici: giovani delle scuole superiori, catechisti, ragazze che studiano nelle scuole professionali; diamo loro una formazione umana, cristiana e anche di prevenzione dell'Aids. Uberiamo, cosi, le persone dalle loro paure ataviche, che le portano a legare questa malattia a stregoneria o maledizioni. Ecco la grande novità: pensano di essere maledatte, dimenticate da Dio e noi, invece, diciamo loro: «Tu sei amata da Dio così come lo sono io; Dio non mi ama di più per. ché sono bianca e vengo da un paese ricco». Ci sono cause storiche che hanno portato alla situazione attuale, ma dobbiamo aiutare a credere che Dio non c'entra, che ama anche dentro una storia di sofferenza. MC FEBBRAIO 2006 • 15 l ' l l l
Il CHIESA IN AFRICA EAIDS 11 1111111111 aMadadeni, periferia di Newcastle, nel KwaZulu Natal, la regione più colpita del Sudafrica. Oggi è padre Joseph Mang'ongo, kenyano d'origine, a seguire ecoordinare una cinquantina di volontari. «L'Aids- conferma- continua a essere considerata una malattia infamante.A volte èaddirittura difficile, per noi e i nostri volontari,"scoprire"i malati ed entrare in contatto con loro. Ma è importante sensibilizzare la gente e far capire che non c'è nulla di cui vergognarsi. Lo ripetiamo sempre, anche in chiesa, ma è un messaggio ancora difficile da trasmettere». In Tanzania Un altro missionario della Consolata, padre Alessandro Nava, sta affrontando analoghi problemi in un contesto molto diverso, in una regione povera e.isolata come quella di lkonda, sulle montagne di Livingston nel ~~~?)'fi~~~~~~~IJ.~l:fi,::'''f;;<;"'!'}~"'';''~' ~.·· ,·,- ~·'"'~ LA LUCE DOPO IL BUIO Padre Thomaa lshangoma è un missionario della Consolata tsnzaniano. Già missionario in Colombia, è attualmente impegnato presso U seminario di Morogoro (Ta~ zsnia}, ma si occupa pure della pastorale in alcuni villaggi della periferia. Lo abbiamo i~ terviststo sul dramma dell'Aids che ha colpito il suo popolo. Come hai conosciuto il dramma dell'Aids? Già nel periodo in cui studiavo in seminario ho scoperto che alcuni dei miei compagni di classe erano affetti da Hiv o malati di Aids. Allora non eravamo consapevoli di questa malattia e, per la povertà e mancanza di istruzione, non potevano proteggerai. Ma l'impatto più sconvolgente l'ho avuto quando scoprii che sei delle mie sorella più giovani (sono il primo di 12 fiQii), arano malate di Aids; una di asse mori propno quando venivo ordinato sacerdote. Aveva 24 ann1; anche i suoi bambini sono morti. Tomato dalla Colombia, trovai che, nel mio villaggio, quasi metà dei miei amici erano morti tra i 18 e i 24 anni e molti bambini arano rimasti orfani dai genitori. Allora cominciai a pensare cosa potessi fara per loro, come missionario della Consolate. Mi rendevo conto, infatti, che il mio popolo non aveva più speranza, che anche la chiesa ara impotente e il governo non faceva niente per arrestare tutto questo. Cosi ho radunato gli abitanti del mio villaggio a insieme abbiamo pensato come combattere il dramma dell'Aids. Cosa hai fatto e stai facendo? L'Aids non è solo un problema di soldi o di farmaci, ma richiede una strategia per modificare la cultura e i comportamenti. È necessario combatterlo, aiutando le persone a pensare, istruirsi a capire: qui abbiamo un programma per aiutare le famiglie e gli orfani, soddisfacendo i loro bisogni primari, come cibo e vestito. In ogni villaggio abbiamo circa 100 bambini nell'asilo e 500600 ragazzi iscritti alla scuola elementare che cerchiamo di seguire, dando amicizia, affetto, speranza per il futuro. Recita un proverbio africano: «Per far crescere un bambino, ci wole un intero 16 • MC FEBBRAIO 2006 villaggio)). Noi sosteniamo una comunità, tramite l'aiuto ai bambini che in essa vivono, attraverso un asilo, una scuola, un centro per ragazzi di strada. Pensi che ci sia una possibilità di uscire dal dramma dell'Aids? Credo di si. La soluzione è molto delicate, ma vedo la luce per uscire da tutto questo, anche se la strada sarà lunga. Occorre introdurre un'altra mentalità, perché possano cambiare i comportamenti; poter parlare di alcuna cose considerate tabù e discutere di educazione sessuale a prevenzione dai comPflrt8menti a rischio. l genitori ormai sono difficili da recuperare, ma i bambini sono molto racattivi e questa è la nostra sfida per uscire dall'Aids. Sarà possibile per le nuova generazioni, tramite una educazione sessuale, umana, economica, spirituale. Pens · che sia possibile superare il trauma psicologico di avere convissuto con questa tragedia, che porta i bambini a vedere i genitori morire? Non c'è un grosso trauma psicologico. Nella mia famiglia, l'anno scorso, sono morti due zii; uno era un medico che aveva studiato in Olanda. Prima di morire, abbiamo parlato a lungo; ara sereno e consapevole della sua situazione e aveva accattato la malattia. Qui, il problema dell'Aids viene accettato anche per una certa mentalità fatalistica; la morta fa mano paura che in Europa. Come la fede in Dio potrebbe aiutare la gente a uscire da questo problema? Prima di tutto, la fede dà la speranza che tutto questo finirà e ~a gente troverà la strada di uscita; muoiono lo stesso, ma con più forza asperanza. Poi, la comunità può aiutare i singoli. Per chi creda, Cristo diviene Il punto di riferimento per vivere, educare, cambiare atteggiamenti sessuali e sociali. Questo vale per tutte le religioni, anche per quelle tradizionali. Dove lo spirito religioso è più forte, il virus si è meno diffuso; non cosi in città, dove c'è più confusione religiose. · MAR.IvA 8.uw:ELLA FRANCEBCHI ' l l l l L
ì l l l l l l MISSIONI CONSOLATA sud del Tanzania. Insieme ad alcune suore della Consolata, gestrsce un ospedale che fino a pochi anni fa aveva tutt'altro di cui occuparsi eche oggi si trova assediato dall'Aids. «Quando i missionari della Consolata hanno cominciato a costruire l'ospedale nel1962- spiega padre Alessandro-, la priorità era quella di curare le popolazioni di questa regione remota e di migliorarne le condizioni di salute e di vita.Quando la situazione stava finalmente migliorando, l'Aids.si èabbattuto anche su questa gente,con pesanti conseguenze sociali e sanitarie. li nostro ospedale è sempre più sollecitato da questa pandemia,che nessuno, in questo paese e penso nell'intera Africa,è in grado di combattere efficacemente». «Sono soprattutto le donne e i giovani a esserne colpiti- conferma suor Egle Casiraghi,una delle missionarie della Consolata che lavorano in oDall'alto, frate/ Gianfranco Bonaudo a/lavoro per ingrandire l'ospedale di lkonda esuor Egle Casiraghi, missionaria della Consolata, responsabile del reparto maternità dell'ospedale di lkonda. 11111 1111 111111 spedale, mentre si aggira preoccupata nel reparto maternità-. Le campagne di prevenzione sono insufficienti e non abbastanza efficaci, la gente, continua ad ammalarsi, ma sono pochissimi quelli che hanno il coraggio di venire in ospedale a fare il test. C'è paura e vergogna.Al punto che, persino tra gli infermieri, c'è chi si rifiuta di sottoporsi al test, per timore di affrontare una malattia che rimane per molti incomprensibile emaledetta». Nello studio medico, il dottor Gerold Jager, una lunga esperienza in Uganda alle spalle, visita una giovane donna, che si è sottoposta al test e sa di essere sieropositiva.«Sono soprattutto le donne- afferma- che accettano di fare il test, ma spesso quando tornano a casa non osano rivelare il risultato al marito, perché rischiano di essere malmenate o cacciate, anche se è quasi sempre l'uomo a trasmettere la malattia.Purtroppo la situazione di inferiorità della donna la rende più vulnerabile anche di fronte a una catastrofe come l'Aids». Secondo i dati ufficiali, inTanzania l'Aids colpisce il9o/o della popolazione adulta. Ma chi lavora nel settore è pronto agiurare che la percentuale è molto più alta.Realisticamente potrebbe aggirarsi attorno al20o/o. Nel dicembre del2004,anche all'ospedale di lkonda hanno cominciato adistribuire farmaci antiretrovirali. «Attualmente curiamo circa 150 pazienti- dice padre Nava -.Ma sono molti di più quelli che ne avrebbero bisogno.Altri 500 ricevono medicine per le malattie opportunistiche, in attesa di poter entrare nel programma degli antiretrovirali.Per il momento, con le nostre risorse,è tutto quello che riusciamo a fare». In Mozambico l bisogni sono enormi,qui come altrove.Un po'più a sud, cambia il paese, il Mozambico,e il contesto, l'interno della provincia di Sofala, ma non la gravità del problema. t un altro missionario, padre 0ttorino Poletto, comboniano;che si è trovato in questi anni di fronte a una sfida nella sfida:quella di lottare contro le devastazioni della guerra e,sempre di più, contro l'Aids. «Su mandato del vescovo- racconta padre Ottorino,aggrappato alvolante della sua auto,mentre percorre Padre Ottorino Paletto, comboniano, parroco della missione di Mangunde in Mozambico. piste sconnesse che lui stesso ha cercato di far sistemare- sto cercando di ricostruire e riavviare quattro missioni completamente distrutte dal conflitto civile ea lungo abbandonate. Ma da qualche tempo mi sono trovato di fronte a un'altra devastazione, quella dell'Aids». _ Ecosì, nella missione di Mangunde,grazie alla presenza e al sostegno delle suore comboniane, ha aperto lo scorso anno un centro per la prevenzione della trasmissione del virus da madre a figlio, sul modello di quello proposto dalla Comunità di Sant'Egidio, che proprio in Mozambico ha lanciato il progetto Dream nel2002. Partita da Maputo, l'iniziativa si è poi trasferita in altri luoghi,tra i quali anche aBeira, la seconda città del paese,dove fa base padre Ottorino.ll quale, però,non si èaccontentato di avere un punto di riferimento in città e ha fatto di tutto per avviare il primo centro di prevenzione ecura dell'Aids in una zona rurale del Mozambico. «Questo progetto - continua padre Ottorino - rappresenta per noi un grande impegno e un onere non indifferente.Ma ci sembrava giusto esser presenti anche così tra la nostra gente, portare questo segno di solidarietà edi carità attraverso il quale cerchiamo di dare una testimonianza autentica della presenza di Gesù in mezzo ai poveri e agli ammalati. li nostro lavoro in missione,dalla pastorale all'educazione,dalla sanità sino alla cura dell'Aids si radica nella Parola che libera l'uomo integralmente». • ·---------------------------------------------------~----------------~------------------------ MC FEBBRAIO 2006 • 11
Il MISSIONARI LAICI 11 111111 1111 Esperienze di volontari e testimonianze da lringa (Tanzania) Nel «Centro Allamano» di lringa alcune volontarie collaborano con le missionarie della Consolata nella ~revenzione e assistenza ai malati di Aids. Una dottoressa e una volontaria raccontano le lore esperienze di sofferenza di fronte al dolore umano edi gratificazione per quanto ricevono dai pazienti. l malati, che vi ricevono attenzione e cure, · vengono coinvolti nell'aiutare gli altri a lottare con coraggio contro il nemico comune dell'Hiv/Aids. La dottoressa Marina Barcei/a Franceschi in una scuola gestita dalle missionarie della Consolata. 18 • MC FEBBRAIO 2006 UN VOLTO, UN NOME, UN FRATELLO A distanza di un anno, sono tornata in quel pezzetto d'Africa, dove ho lavorato come medico, seppure solo per due anni. Già l'anno scorso questa generosa terra di Tanzania mi si è presentata diversa da come me la ricordavo. Alcuni progressi, certo: più strade asfaltate, più mezzi di comunicazione, più telefoni... Ma, nel complesso, la nazione è peggiorata per via del flagello dell'Aids. Lo si legge su riviste impegnate in prima linea in questa lotta impari; a volte, gli echi di tale strage silenziosa giungono persino sulle pagine di alcuni nostri quotidiani. Le grandi promesse dei politici del G8 non hanno sortito finora alcun risultato concreto, in termini di progetti fattibili. Un'altra cosa è, però,vedere con i propri occhi .Per quanto una foto o un servizio televisivo siano realizzati bene, non si prova lo stesso effetto di quando si entra in un ospedale, dove i malati giungono spesso ridotti in condizioni pietose, sapendo di non poter guarire,ma almeno certi che non moriranno soli e senza alcuna consolazione. Così, pur sapendo bene cosa avrei visto e quali tragedie umane avrei incontrato (o almeno sfiorato per pochi giorni), sono tornata in quell'Africa subsahariana dove povertà, malnutrizione e malattie endemiche hanno trovato in questo virus un alleato formidabile pyr fare strage di un'intera generazione, rendere orfani migliaia di bambin t (spesso infettati dalla nascita) e provocare una reazione a catena con ripercussioni sociali ed economiche che solo ora il mon- • do sta conoscendo, anche se fa co- : modo amolti mettere la sordina, per : evitare probabili contraccolpi econo- • . : miei a livello planetario. : l ricordi si affollano, non so da qua- • le storia cominciare, anche perché sono tutte ugualmente tragiche.
j MISSIONI CONSOLATA M aria è ha meno di vent'anni; è malata di Aids e, nel momento in cui scrivo, forse è già morta. La ricordo su un pagliericcio in una stanza piccola, ma dignitosa e pulita. Fuori, nel piccolo cortile davanti alla porta, alcuni bambini fanno festa alle mie figlie venute con le caramelle. Dentro,con lei, i genitori, in piedi in fondo alla stanza. Maria è «pelle e ossa», rannicchiata sotto una coperta di lana,malgrado i trenta gradi di oggi. Le viene messa una flebo, appesa a un chiodo nel muro; non riesce più a nutrirsi, perché un germe le ha infettato le mucose dalla bocca fino all'intestino, : che non riesce più aassorbire i cibi, : causandole una dolorosa diarrea. : Gli occhi infossati mi guardano: : qualcuno le ha spiegato che sono un : medico e negli occhi le si è accesa l 1 una luce di speranza.Vorrei dirle qualcosa, ma il mio swahili fa cilecca (è soltanto un problema di lingua?); riesco solo a balbettare alcune parole di cordoglio e poi le lacrime mi annebbiano la vista. Le prendo la mano per qualche istante. Forse il gesto serve più ame che a lei.Mi occorre sentirla, quella mano fredda emalata; almeno un contatto umano, al di là delle parole.Vorrei uscire, scappare; ma il ricordo di Maria non mi lascia proprio. Passano pochi minuti e con Paola, una volontaria italiana che lavora al 11 111111 111111 Un'aula del Centro Affamano, per la prevenzione dell'Aids. «Centro Allamano» di lringa, torniamo alla base. Rientrano anche le altre infermiere che hanno finito il giro di visite domiciliari. Ele storie si ripetono: un bambino è morto stanotte, una mamma è stata ricoverata in ospedale in fin di vita; pochi sono quelli che migliorano. È la tragedia dell'Aids in Africa, ove i farmaci sono per pochi, troppo pochi. Paola abbozza un po' di numeri: «Qui abbiamo in cura domiciliare circa 1.500 malati di Aids:a tutti portiamo da mangiare e, poi, cerchiamo di curare le infezioni, alleviare il dolore, dare ai malati un po'di dignità.Solo per 130 abbiamo i farmaci; è stato difficile inserire i pazienti nella lista dei candidati alle cure. Seguiamo le indicazioni del ministero tanzaniano della sanità, ma molti sono fuori dal programma di trattamento, acausa della mancanza di fondi; perch'é i farmaci adesso arrivano, ma per loro sono troppo costosi (una cura costa più dello stipendio annuale). Solo per il supporto alimentare adomicilio, i vestiti e le rette scolastiche per i figli, spendiamo circa 1O mila euro al mese.Abbiamo fra i nostri utenti 150 bambini, ma sono destinati amorire, perché non possiamo fornire loro i farmaci. Ecco, se già prima avrei voluto scappare, adesso rimango senza parole e, adistanza di 20 giorni da quell'incontro,ancora mi tornano alla mente i 150 bambini destinati amorire. Equesto non è che uno dei tanti luoghi che ho visitato, dei tanti missionari che ho incontrato; le storie si ripetono, ognuno ha centinaia di malati da curare, migliaia di orfani da assistere. C erto, ai ricordi tristi si a_lternano anche momenti di gioia, come l'esperienza vissuta al villaggio di lhela, nella regione deii'Ukinga, ove spesso si reca suor Emelina, missionaria della Consolata. Insieme incontriamo la gente del villaggio e pranziamo con loro.Qui, l'anno scorso abbiamo cominciato un progetto di adozioni adistanza dei bambini orfani. È una esperienza di «gemellaggio», di vicinanza, di familiarità con i più poveri, che ha riempito di gioia il cuore mio edi quelli che erano con me, ricordandoci quanto sono vere le parole di Gesù: «Vi è più gioia nel dare che-nel ricevere». E, ancora, i ricordi belli: tante persone che abbiamo incontrato e che stanno dando la vita a servizio di chi soffre, missionari,ma anche laici, come il dottor Gerold, un medico tedesco che lavora come volontario a lkonda. Egli mi ha impressionato, oltre che per la sua professionalità, 1 per la sua grande umanità verso i malati, che cura con amore e dedizione totale. Ora non ho che un sogno:vedere tanti bambini sorridere, avere tante mani da stringere e scorgere final - mente la speranza sul volto di questi fratelli e sorelle che il Signore mi ha dato la gioia di incontrare sul cammino. MARINA BARCELLA fRANCESCHI MC FEBBRAIO 2006 • 19
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