Missioni Consolata - Febbraio 2006

Il AIDS IN ITALIA 11 1111 11111111 gnosi di Aids, ma purtroppo, su questa si infrangono spesso tanti progetti di autonomia, di relazioni, di lavoro. La vita, che·in qualche misura viene restituita,devefare i conti con disabi- ' lità residue, con compromissioni fisi- . che e psichiche, con gli effetti collaterali delle terapie. Spesso, inoltre, va a scontrarsi con problematiche preesistenti la malattia, con dinamiche familiari e personali compromesse, che è difficile recuperare e che richiedono, spesso, il sostegno di strutture e operatori, espressi per lo più dal privato sociale. Casi insospettabili Nel tempo, sono variate sensibilmente le modalità di trasmissione: si è verificato un aumento percentuale delle infezioni attribuibili a un contagio per via sessuale (omosessuale ed eterosessuale) con una diminuzione delle altre modalità di trasmissione. La trasmissioneattraverso rapporti eterosessuali (dovuta a rapporto con partner sieropositivo,dell'altro sesso) è stata la modalità di contagio più frequente nell'ultimo anno. Anche se la fascia giovanile è sempre la più rappresentata 0169,7% ha un'età compresa tra i 25 e i 39 anni), è aumentata la quota di persone con Aids al di sopra dei 40 e persino dei 60 anni. Oggi, in Italia, accanto ad un numero ridotto di morti per Aids e di pazienti terminali, i servizi dedicati a persone con Hiv/Aids si trovano ad affrontare problematiche socio-saniDISTRIBUZIONE PER REGIONE DEl CASI DI AIDS IN ITALIA VALLE D'AOSTA ---- jo------: o UGU~I~_J 1.034 o OSCANA 1 Ut5~ --·· UMBRIA -2R -- ' o __E_MI_LlA gpft\AG~~ 1.635 -----W!~(~~ 378 WtQ _______ ; 2.865 TOTALE: 20.860 . Ogni anno: 5.000 nuove infezioni (Fonte: /ss. ·Dati aggiornati a/30 giugno 2005) 30 • MC FEBBRAIO 2006 ~_p~~Jt_---- 1.004 tarie sempre più complesse. Queste sono portate sia da persone provenienti da percorsi con difficoltà di integrazione (uso di droghe, alcol o marginalità sociale), ma anche, sempre più spesso, da coloro che hanno contratto l'infezione attraverso rapporti eterosessuali. Fra questi figurano soggetti più che cinquantenni, uomini edonne socialmente integrati e, nella maggior parte dei casi, ignari a proposito della loro sieropositività. Soggetti che svolgono abitualmente il ruolo di padre-madre e di marito-moglie all'interno delle loro famiglie, ma che, all'emergere della malattia, sperimentano la difficoltà di mantenere saldi tali legami familiari. Sempre più spesso, in Italia, incontriamo persone straniere, provenienti da contesti geografici e culturali estremamente eterogenei; dette persone rimangono spesso prive di supporti familiari, ma anche amicali, per il problema awertito di rivelare il loro stato di salute a parenti o connazionali. Aciò, si associa talvolta la condizione di irregolarità, che richiede l'attivazione di percorsi specifici per l'accompagnamento alla cura del malato e per il riconoscimento dei suoi diritti fondamentali. Oggi più che mai, siamo chiamati non solo a«non discriminare»,ma ad accogliere e sostenere chi è colpito dall'Aids (come da ogni altra forma di malattia cronica e inguaribile) accompagnando i malati e le loro famiglie: soggetti che, troppo spesso, non trovano luoghi di senso, conforto e ascolto in cui poter liberamente esprimere la propria sofferenza. Non si tratta di promuovere soltanto gesti «profetici» o creare luoghi appositamente dedicati, quanto di aprirci alla quotidianità e alla ferialità dell'incontro con altre persone affette, in questo caso, da Hiv/Aids; persone che molto sovente vivono accanto a noi. Sarebbe un primo passo verso l'accoglienza «possibile» e'sincera della persona colpita dal virus. Senza avere l'alibi di doversi occupare dei «lontani» e di non aver modo di badare ai «vicini». •

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