Missioni Consolata - Dicembre 2002
siamo stati coraggiosi e tutto è sem- pre andato per il verso giusto, an- che quando, nel 2001, ci siamo tra- sferiti in Italia». «Abbiamo infatti subito trovato casa e lavoro, e presentato i docu- menti per la regolarizzazione - la in- terrompe Agostino -. I nostri figli frequentano le scuole medie e su- periori e sono ben inseriti, vanno in parrocchia, hanno tanti amici. In- somma, siamo felici e di questo rin- graziamo Dio tutti i giorni. Qua- lunque cosa chiediamo a Gesù, lui ce la concede. E noi lo ringraziamo facendo tanto volontariato, soprat- tuttomia moglie: è un’attività che ci piace molto, che ci dà gioia. Amare, donare, è qualcosa di magnifico, che nell’islam ci mancava comple- tamente. Spesso, nei nostri paesi i soldi del- la zakat , l’elemosina legale islamica, finiscono nella compra-vendita di armi o nelle tasche dei ricconi po- tenti. Venendo dall’islam abbiamo potuto constatare di persona la dif- ferenza tra questa religione e il cri- stianesimo: chi segue l’insegnamen- to di Cristo ha tanto amore da dare, ha un grande cuore e agisce per il prossimo senza interessi. Non è co- sì nell’islam! Prendiamo il pilastro stesso del digiuno durante il mese di ramadan : è vietato mangiare dal- l’alba al tramonto, ma poi ci si ab- buffa di sera, spendendo un capita- le in acquisti. Anche il cibo viene sprecato e i prezzi lievitano. Ecco che, nonostante le critiche, si mac- chiano dello stesso consu- mismo di cui accusano i cristiani per il natale». Don Tino, quanti sono i musulmani che si sono convertiti al cattolicesimo? «È impossibile saperlo, perché non vanno in giro a raccontarlo». Ne hai incontrato qualcuno? Puoi parlarne? «Due o tre, ma non ho saputo quasi nulla dei motivi che li hanno spinti alla conversione. Occorre del tem- po per entrare in amicizia: le persone che ho cono- sciuto si sono limitate a comunicarmi che sono di- ventate cristiane e a partecipare alla messa da me ce- lebrata facendo la comunione. Ed è già molto». Perché, nella ummah islamica, la conversione di musulmani albanesi è più tollerata rispetto a quel- la degli arabi? «Perché gli arabi considerano se stessi il centro del mondo e della fede islamica e pensano che solo loro siano in grado di esserle fedeli, mentre gli altri grup- pi etnici possono diventare dei traditori, perché non appartenenti alla “culla dell’islam”». Come si pone la chiesa di fronte al fenomeno del- le conversioni di musulmani? «La chiesa è mandata da Cristo ad evangelizzare e, dunque, deve accogliere nella comunità coloro che chiedono il battesimo. Tuttavia occorre qualche pru- denza. Prima di tutto, è necessario verificare la vera disponibilità alla conversione; poi, è indispensabile una seria e lunga preparazione catecumenale, e ve- rificare che la persona sia indipendente, che abbia cioè un lavoro, che non coinvolga la moglie (nel ca- so sia sposato e questa non voglia seguirlo nella sua scelta), che sia libero da pressioni dei genitori e da ritorsioni del suo ambiente, e così via. Il battesimo non dovrà essere un atto pubblico (so- prattutto se si tratta di un arabo), e sarà indispensa- bile per lui o lei essere inseriti in una comunità vera- mente accogliente. Sarà necessario un accompagnamento continuo nel- la fede, perché molti neofiti incorrono in problemi ul- teriori e rischiano di abbandonare la strada che stan- no percorrendo. Per tutte queste difficoltà bisogna evitare di battez- zare i minori, a meno che non ci sia l’appoggio o la conversione dei genitori». Che dimensioni ha, secondo te, il fenomeno delle conversioni? Si tratta di casi isolati? «A mio parere si tratta ancora di pochi casi. È certo che, se fossero liberi di scegliere, molti musulmani passerebbero al cristianesimo. Troppi hanno paura di farlo e altri non conoscono il cristianesimo, perché l’islam ne dà un’immagine sbagliata, proibendo an- che di leggere i vangeli». A.L. «Un fenomeno ancora limitato» A colloquio con don Tino Negri (direttore del Centro diocesano di Torino per le relazioni cristiano-islamiche) S pettabile redazione, mi riferisco alla risposta a pagina 9 di M.C. di settembre. Ho vissuto per anni nella «Giazira al Arabi» (Arabia Saudita, ndr ), perciò trovo la vostra risposta all’accusa di esser troppo musulmani assolutamente fuori luogo: è quella di idealisti incom- petenti, che ignorano in toto spirito e condotta islamica. Più che di religione, si tratta di caratte- ri, di convinzioni, di civiltà diverse. Una risposta a una sola domanda chia- rirà la situazione: perché, mentre in Italia esistono molte moschee, in Arabia Saudita e Yemen ad esempio, non è per- messa una sola chiesa al «Kelb bin al- Kelb» (o Kalbete), cioè «al cane figlio di cane», come viene definito un cri- stiano? Tolleranza? Comprensione? E per favore, non parlate di razzismo e aprite gli occhi. Non vi hanno insegnato niente le storie, in questi anni, dei matrimoni misti? Non voglio che compaia il mio nome. R esta un proverbio: «Chi scaglia il sasso dovrebbe mostrare almeno la mano». Ciò vale soprattutto per le lettere ano- nime, che ogni tanto pervengono alla nostra redazione. Una lettera da Roma «Noi,”figli di cane”...» Mc
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