Missioni Consolata - Dicembre 2002

munque, abbiamo proseguito». La fede è dunque una componente importante nella vostra vita? «Fondamentale - risponde Ago- stino -. Il Signore è presente nelle nostre giornate e ci guida: tutti gli ostacoli si trasformano positiva- mente e misticamente». «In Algeria era difficile davvero trovare l’occasione per pregare o per andare a messa - sottolinea Mo- nica -. A casa c’era sempre qualcu- no delle nostre famiglie, ed io, fa- cendo la sarta, ricevevo molte don- ne e avevo sempre il timore che i miei figli, abituati a parlare libera- mente, rivelassero loro la nostra scelta religiosa. Era rischioso, biso- gnava stare attenti. In particolar modo quando, una volta al mese, veniva un sacerdote a celebrare la messa a casa nostra, chiudevamo tutte le finestre e parlavamo a bassa voce. Nessuno doveva sentirci. Ma MISSIONI CONSOLATA 60 DICEMBRE 2002 Don Fredo, hai mai incontrato musulmani che ti chiedono di aiutarli a diventare cristiani? «Sì. Ma voglio premettere che, secondo noi, gli im- migrati devono vivere bene la propria fede. Poi, se qualcuno ci chiede informazioni sul cristianesimo, gliele forniamo». Quanti sono quelli che si sono avvicinati alla chie- sa cattolica? «La cifra esatta è difficile da quantificare, ma sono al- meno un centinaio, negli ultimi anni, quelli che han- no chiesto di avere una bibbia in arabo o in france- se. A tutti coloro che ci chiedono di abbracciare la fe- de cattolica noi consigliamo un’attenta riflessione; gli diciamo: “Fate attenzione, perché nei vostri paesi perdete ogni diritto. Se avete programmato di stare qui per sempre, va bene, ma se avete intenzione di far ritorno in patria, può diventare pericoloso”. Mol- ti, alla fine, ci ripensano. Saida, una ragazza somala, recentemente mi ha det- to: “Ora basta. Sono due anni che metti ostacoli al- la mia conversione. Ho deciso: voglio diventare cri- stiana. Sono stata accolta da voi e non mi avete chie- sto nulla: ecco ciò che mi ha conquistata. Per queste ragioni voglio farmi battezzare”. Adesso sta seguen- do il percorso catechistico e fra due anni potrà rice- vere il battesimo. Ma anche momenti come “Estate ragazzi”, al Centro Asai, possono servire affinché gli adolescenti, italia- ni e immigrati di fede islamica, si conoscano e fac- ciano amicizia. Ci sono infatti molti ragazzini musulmani che fre- quentano l’orato- rio e il catechismo: loro ci parlano della loro religio- ne e noi della no- stra. È molto bello. È un’occasione preziosa di dialo- go». Quali sono i gruppi etnici di fede islamica che han- no chiesto il battesimo in questi ultimi anni? «Senegalesi, ivoriani, somali, maghrebini, albanesi». Quanti sono stati finora? «Due o tre all’anno. Prima erano solo albanesi, nel- l’ordine di una decina e altrettanti dai paesi dell’Est. Mi viene in mente una coppia, lui regista, lei attrice di teatro. Da anni risiedono in Italia e sono diventati cristiani dopo un lungo percorso di studio e ricerca. Comunque, noi non cerchiamo di convertire nessu- no. Tentiamo soltanto di far conoscere all’immigra- to musulmano l’ambiente culturale e religioso in cui ha scelto di vivere. È importante che l’accoglienza parta da una solida identità sia del paese ospite sia delle comunità immigrate. Gli albanesi invece spesso confondono la religione cristiana con la cittadinanza italiana, quasi che la pri- ma possa aiutare ad ottenere la seconda. Ma non è così, ovviamente». Ti è mai capitato che qualche musulmano ti chie- da di abbracciare l’islam? «Certo. E gli rispondo: “Ciascuno di noi pensa che la propria fede sia la migliore. Allora, tu ti tieni la tua ed io la mia”. E così, in condizioni di parità, possia- mo ragionare sul valore dell’amicizia, per esempio. Qui, alla Caritas-Migranti, portiamo avanti un con- fronto dove ognuno accetta l’altro senza cercare di convertirlo. È necessario che passi il concetto della “diversità” e della tolleranza». E come la metti con il divieto islamico dell’apo- stasia? «Generalmente, all’interno di una comunità etnica tut- ti vengono a sapere se una persona ha lasciato l’i- slam per il cristianesimo. Qui in Italia ciò che ri- schiano è, al massimo, qualche insulto. Nei paesi d’origine il pericolo è maggiore, e si può es- sere oggetto di discriminazione e minacce di morte. Questo non vale per gli albanesi: la religione non con- ta molto. I marocchini, invece, disprezzano i conver- titi, li considerano gente venduta all’Occidente». A.L. A colloquio con don Fredo Olivero (responsabile dell’ufficio Migranti della Caritas di Torino) «Tu ti tieni la tua fede ed io la mia» «Durante il ramadan è vietato mangiare dall’alba al tramonto, ma poi ci si abbuffa di sera».

RkJQdWJsaXNoZXIy NTc1MjU=