Missioni Consolata - Dicembre 2002
MISSIONI CONSOLATA 54 DICEMBRE 2002 Intervista con gli attori FRANCO GIACOBINI, grande attore romano, oltre 100 film, con la voglia di misurarsi ancora con un nuovo personag- gio, motivato da una tensione spirituale che non lo abbandona mai . Signor Giacobini, dopo una lunga carriera, in questi ultimi anni spesso interpreta santi. Perché? Ho scoperto i santi dopo i 70 an- ni. In essi mi colpisce la coerenza, merce rara in questi tempi. Sono per- sone che hanno preso alla lettera u- na o due verità fondamentali del cri- stianesimo. Sarebbe imperdonabile non meditare su loro. Del beato Giuseppe Allamano che cosa l’ha colpita? Sono strabiliato dal «paradosso Allamano»: il suo slancio verso una terra sconosciuta come l’Africa ha dell’incredibile. È «la follia dei san- ti», che è contagiosa. Il suo personaggio è Tullio, di 96 anni, che ha conosciuto l’Allama- no. Come si è trovato in tale ruo- lo? Il regista mi conosce bene, e ha creato un personaggio che mi asso- miglia. L’unica differenza è che Tul- lio ha 20 anni più di me. È stato difficile «invecchiarsi»? Ero soprattutto preoccupato di rendere credibile la mia età. Oggi a 96 anni si può ancora essere auto- sufficienti; ma il mio personaggio ha caratteristiche complesse: è un vi- sionario, un po’ arteriosclerotico, ma con momenti di lucidità quasi imba- razzante. La cosa più faticosa è che ho dovuto farmi crescere una lunga barba: oltre sei mesi di sofferenza... La sua maggiore preoccupazione? Essere credibile. Deve sempre es- sere evidenziata la verità. C’è un so- lo comandamento nella recitazione: «Non bisogna dire bene; bisogna di- re vero». Il titolo dello sceneggiato è «La partenza». Che significa per Fran- co Giacobini? «La partenza» ha senso se si indi- vidua anche un «arrivo»: non è un gioco di parole. Ecco perché invidio i missionari: sono accecati da un’e- nergia vitale e la comunicano agli al- tri. Di fronte a gente triste e spenta, «illuminano una strada» e indicano la meta da raggiungere. C’è una curiosità legata a quest’e- sperienza? Certo. Ultimamente ho problemi di memoria. In questo caso è stato tut- to poco faticoso. È stato l’Allamano a suggerirmi le battute all’orecchio? ANGELA GOODWIN, moglie di Franco Giacobini an- che nella vita, ha lavorato con la professionalità di sempre. Lei, che ha recitato con Sofia Loren, Ugo Tognazzi, Vittorio Gassman, ecc. Signora Goodwin, qual è il suo ruo- lo? Io interpreto Anna, la vecchia mo- glie di Tullio, il testimone oculare dell’Allamano. È una donna sempli- ce, che ha dedicato tutta se stessa al marito. Una donna d’altri tempi. Po- sitiva in tutti i sensi, un po’ ansiosa; però, mi auguro, simpatica. Quanto è importante essere la mo- glie di Tullio anche nella vita? È indubbiamente un aiuto psico- logico; facilita ad essere più vera nel- l’atteggiamento amoroso e c’è sicu- ramente più feeling . Sono stata mo- glie di vari attori sul set, come Philippe Noyret o Renato Rascel. In quei casi dovevo concentrarmi di più, perché c’era il rischio di essere meno spontanea. E poi... bisogna piacer- si! E dell’Allamano cosa pensa? È delizioso: uno che ha cammina- to, ha attraversato la storia, «appa- rentemente» senza far rumore. È il vero prete, l’uomo umile, che tutti vorremmo incontrare quando entria- mo in chiesa. Ho guardato e riguardato le sue fo- to: il portamento, i tratti somatici e le espressioni rivelano una persona- lità docile. Il fatto è che sapeva mol- to bene quello che voleva, e lo ha di- mostrato. Ciò significa che, per co- struire grandi cose, non occorre gridare, né prevaricare sugli altri. Me- glio sorridere, parlare a voce bassa, comunicare amore. PARTIRE, MA ANCHE ARRIVARE
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