Missioni Consolata - Dicembre 2002

M aputo, ore 7,30. L’aria nel- la capitale del Mozambico è frizzante. Sul cielo terso resiste ancora un quarto di luna ca- lante: appare con un’esile sagoma in negativo bianco su un fondo az- zurro intenso. È domenica, e sto per andare in chiesa. «Prendi anche la macchina fotografica - mi ricorda padre M A - NUEL T AVARES (*) -, perché ci sarà unamessa speciale». Unamessa non in chiesa però, bensì nella cappella di un imponente liceo. All’epoca del colonialismo por- toghese l’istituto scolastico era ret- to con successo dai Fratelli maristi, religiosi. Dopo l’indipendenza del Mozambico (1975), come altre o- pere missionarie, la struttura venne nazionalizzata dalla Frelimo , il par- tito unico al potere di rigida fede marxista: e la cappella fu trasfor- mata in magazzino. Dal 1978, nella guerra civile tra Frelimo e Renamo (il partito di opposizione clandesti- na), il liceo è divenuto un triste sim- bolo del paese, abbandonato al de- grado, alla disperazione. Con la pace è riaffiorata la spe- ranza. E la cappella del liceo è ritor- nata ad essere «casa di preghiera». Questa mattina festeggia 10 anni di vita nuova, mentre in tutta la nazio- ne si celebra il 10° anniversario de- gli accordi di pace, siglati a Roma il 4 ottobre 1992 presso la Comunità di sant’Egidio. La celebrazione è davvero «spe- ciale», con canti possenti e danze fantasiose al ritmo di tamburi e nac- chere. Le parole più ricorrenti sono «fede gioiosa, speranza incrollabi- le, carità generosa». Non un accen- no agli scontri armati, terribili, tra gli allora «comunisti al potere» e i «banditi dell’opposizione», alle tra- gedie subite e inferte. Forse perché entrambi i «nemici» sono ora in... ginocchio. Mentre scatto le ultime foto del- la processione finale, mi vengono in mente due versi del poeta swahili Robert Shaaban: «Ricordare è un dovere, dimenticare è un sollievo». DURANTE IL PRANZO Nel rincasare a piedi, mi perdo. Finisco in Avenida O Chi Ming ed anche in AvenidaMao Tze Tung . Fi- nalmente (dopo qualche richiesta di informazioni) incrocio l’ Avenida 24 de Julho , dove al numero 496 risie- dono i missionari della Consolata. Padre Manuel Tavares mi accoglie con una smagliante risata di com- prensione e, guardando l’orologio (sono le 12 abbondanti), mi invita subito a pranzo. Le vie della capitale dedicate a O Chi Ming e Mao Tze Tung ricorda- no il recente passato marxista-leni- nista del paese. Però, come mai non è stato cambiato il nome coloniale 24 de Julho ? «Forse perché questa data non significa niente per nessu- no» risponde padre Manuel con un briciolo di ironia. Intanto mi sco- della un saporito minestrone di ver- dura. Portoghese, padre Tavares ha o- perato in Mozambico anche duran- te il colonialismo, non condividen- do però le scelte della madre patria. Oggi analizza pure lo spiritomissio- nario del tempo e afferma: «Duran- te il potere coloniale noi, portoghesi, ci sentivamo padroni. Anche altri mis- sionari, di nazionalità di- versa, difendevano il regi- me. C’era la convinzione di avere un mes- s a g g i o assoluta- mente in- discutibile da por- tare alla gente; ci si rite- neva salvatori del popolo, il quale doveva soltan- to accettare le nostre parole per mi- gliorare umanamente e spiritual- mente. Questo era l’atteggiamento, sia pure inconscio, nel colonialismo. Poi...». Poi è divampata la lotta al regime coloniale e il Mozambico ha rag- giunto l’indipendenza. «Questi e- venti sono serviti a purificare il no- stro pensiero; hanno fatto rientrare in proporzioni più giuste anche l’a- zione missionaria». Con l’indipendenza, tutto è mu- tato: il potere politico, ma anche quello ecclesiastico; prima i vesco- vi erano portoghesi, poi (dal matti- no alla sera) quasi tutti mozambica- ni, e con una mentalità a- fricana. Maputo: armi e residuati bellici, trasformati in opere d’arte. Dai fucili della guerra... alla sedia della pace.

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