Missioni Consolata - Ottobre/Novembre 2002

nitense Philip Morris non si fa pro- blema a spingere i bambini verso il fumo. Si stima che in Kenya il 40% dei bambini sotto i 14 anni abbia già cominciato a fumare. Vale la pena di ricordare l’esem- plare caso della «Del Monte Royal» (appartenente al Gruppo Cirio di Sergio Cragnotti), che in Kenya possiede vaste piantagioni di ananas (a Thika, in particolare). L’impresa della multinazionale italiana è al centro di molte polemiche a causa delle pessime condizioni di lavoro, dei salari bassissimi e dell’utilizzo di pesticidi molto pericolosi. Nel 1999 il Centro nuovo modello di sviluppo organizza una campagna di pressione popolare «Diciamo “no!” all’uomo Del Monte» per chiedere condizioni di lavoro più di- gnitose. In un primo tempo la Del Monte nega l’esistenza stessa del problema, poi riconosce la situazio- ne e promette di correre ai ripari. Ma per le società straniere un com- portamento equo verso la popola- zione locale e compatibile con l’am- biente è lontano dall’essere realizza- to. In Kenya come in tutti i paesi del Sud del mondo (4). T COME TURISMO Il famoso flamingo, il fenicottero rosa del lago Nakuru, è una delle i- cone turistiche del paese africano, o- gni anno meta vacanziera per circa 800 mila stranieri (tedeschi, inglesi, italiani). Dunque, il turismo è una buona fonte di entrate per Nairobi? «Il Kenya - scrive Mario Boccia (5) -, “la Svizzera dell’Africa”, un paese “no-problem”, ricco, luogo di vacanze, è un bluff ». Forse i toni so- no esagerati, ma certamente è diffi- cile poter affermare che nel paese a- fricano venga praticato un turismo ecocompatibile e responsabile. Malindi è ormai una specie di «club mediterranée» dove la lingua principale è l’italiano. I parchi e le riserve naturali che hanno reso fa- moso il paese (Masai Mara, Masai Amboseli, Nairobi National Game Park, Tsavo Park, Samburu Game Reserve, Marsabit National Reser- ve) rischiano grosso assediati come sono da bracconieri, mutamenti me- tereologici e mancanza di fondi. Dal 1977 al 1994, il Kenya ha per- duto il 44%dei suoi animali selvati- ci (in particolare, gli elefanti per l’a- vorio e i rinoceronti per il corno). Le perdite sono del 53% fuori delle a- ree protette e del 30% all’interno. Dicono: il turismo porta ricchez- za. Ma non si dice in quali tasche questa ricchezza finisca. Certamen- te non in quella dei kenyani. I soldi del turismo, infatti, vanno in lar- ghissima parte inmani straniere o in quelle dell’oligarchia locale: opera- tori di viaggi organizzati e safari, proprietari di alberghi, lodges e campi, agenzie di charter . K COME KENYATTA «L’africano - scrive Jomo Kenyat- ta - non è cieco: egli sa riconoscere questi falsi filantropi e in varie parti del continente si sta risvegliando in lui la consapevolezza che un fiume in piena non può essere sbarrato in- definitivamente e che un giorno spezzerà gli argini. La sua capacità di espressione, finora conculcata, si sta facendo strada e molto presto spazzerà via il paternalismo e la re- pressione che la circondano». In realtà, sia Kenyatta che il suo successore Daniel Arap Moi sono caduti negli stessi «vizi» dei colo- nizzatori europei. Il primo, appena salito al potere (1963), si preoccupò quasi esclusi- vamente della propria etnia (quella kikuyu ) e di sistemare in posizioni chiave parenti ed amici, senza con- tare la responsabilità storica di es- sere stato l’ideologo dei Mau Mau , il cruentomovimento indipendenti- sta. Il secondo ha instaurato un re- gime personale che dura ormai da 24 anni. Su questa struttura politica molto personalizzata e nepotistica, si inse- risce anche il cancro della corruzio- ne, finora inarrestabile nonostante la «Anti-corruption authority» (an- ch’essa al centro di scandali e pole- miche). Secondo l’organizzazione «Transparency International» il Kenya è tra i paesi più corrotti del mondo. Nella classifica della corru- zione è preceduto soltanto da Ban- gladesh, Nigeria, Uganda e Indone- sia (detto per inciso, l’Italia è il peg- giore tra i paesi industrializzati). Nel giugno 2000, in occasione di una delle ricorrenti crisi alimentari, il presidenteMoi fece un appello al- la comunità internazionale perché inviasse aiuti in soccorso della po- polazione affamata. Al di là del problema, un militan- te di un gruppo per i diritti umani dichiarò allora all’agenziaMisna (6): MISSIONI CONSOLATA 87 OTT/NOV. 2002 SPECIALE KENYA (continua a pagina 91)

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