Missioni Consolata - Ottobre/Novembre 2002
blicato per la prima volta a Londra nel 1938 con il titolo di Facing Mount Kenya ) (1) - hanno certo al- cune idee progressiste: l’idea di be- nessere materiale, di medicina, di i- giene e di alfabetizzazione che per- mette alla gente di partecipare alla cultura mondiale. Tuttavia fino ad ora gli europei che hanno visitato l’Africa non si sono mostrati parti- colarmente zelanti nell’impartire questi elementi del loro retaggio cul- turale agli africani, e sembrano pen- sare che l’unico modo per farlo sia con la forza armata e la repressione poliziesca. Parlano come se per un africano fosse in qualche modo un bene lavorare per loro invece che per sé, e per assicurarsi che goda di questo privilegio (notare il sarcasmo dell’autore, ndr ), fanno del lorome- glio per portargli via la terra e non dargli alcuna alternativa. Assieme alla sua terra, lo spogliano del suo governo, condannando le sue idee religiose, ed ignorando le sue con- cezioni fondamentali di giustizia e morale, il tutto in nome del pro- gresso e della civiltà». La divisione internazionale del la- voro ereditata dal periodo colonia- le non solo è rimasta inalterata, ma è stata addirittura rafforzata dalla classe dirigente locale dell’era post- coloniale. Ciò fa sì che il paese con- tinui a produrre ed esportare mate- rie prime e prodotti primari e ad im- portare prodotti lavorati. In altri termini, il Kenya, come tutti gli altri paesi africani, «produce ciò che non consuma e consuma ciò che non produce» (2). L’importante non è dare cibo e si- curezza al popolo kenyano, bensì ri- spettare gli impegni finanziari inter- nazionali, che richiedono valuta pre- giata ottenibile soltanto con le esportazioni. Questa è la conse- guenza di un sistema totalmente strutturato sui principi neoliberisti e sottoposto alle rigide direttive del- la Banca mondiale e del Fondo mo- netario internazionale (3). Che producono anche altre con- seguenze. M COME MULTINAZIONALI Come tutti i paesi, anche il Kenya ha dovuto sottomettersi ad un ri- catto, che è così sintetizzabile: o pri- vatizzate e liberalizzate il mercato o non vedrete un dollaro. Un diktat questo che suona come musica alle orecchie delle potenti multina- zionali straniere. Le principali colture da esportazione sono il caffè, il tè e la frutta tropicale. La produ- zione è nelle mani delle multinazionali, tutte ben posizionate in Kenya. Tra le altre sono presenti la sviz- zera Nestlé (caffè) e l’olandese Unilever (tè). Per parte sua, la statu- «Al tempo stesso sono ben conscio di non aver potuto trattare in modo imparziale l’argomento senza offendere quegli “amici di professione degli africani” i quali sono pronti ad onorare in eterno la loro amicizia quale dovere sacro, purché gli africani conservino il ruolo di selvaggi ignoranti in modo che essi possano monopolizzare la funzione di interpretare il loro spirito e parlare per loro» (Jomo Kenyatta, La montagna dello splendore ). La statua di Kenyatta davanti alla corte suprema di Nairobi. Pagina accanto: in alto, lo stemma del paese; sotto, una stazione dell’Agip.
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