Missioni Consolata - Ottobre/Novembre 2002

C osì potrebbe chiamarsi la desti- nazione dei primi tre missionari africani (dei quali due kenyani) per la Corea: i padri Tamrat Defar (etio- pe), Peter Njoroge e Joseph Otieno. Nel centenario della missione in Kenya, questa partenza rappresenta una vera sfida: nella loro persona, l'Africa, che cent'anni fa ha ricevuto l'annuncio del vangelo, oggi ne fa dono all'Asia. Com’è nata la decisione di partire per la Corea? P ETER : Nel momento di esprime- re lemie preferenze, non avevo pen- sato alla Corea. Poi mi è stata fatta la proposta dicendomi che duemiei compagni di noviziato, che studia- vano a Londra, andavano in Corea e si desiderava che fossero almeno in tre. Non è stato facile scegliere. Quando, in passato, si parlava della Corea era sempre per sottolinearne le difficoltà, soprattutto della lin- gua. Ho riflettuto un po’ e mi sono detto che qualcuno doveva pur an- dare e non avevo ragioni per dire di no. Pensando che altri confratelli la- vorano in Corea e sono riusciti ad inserirsi... alla fine ho accettato vo- lentieri di andarci anch’io. J OSEPH : La possibilità di andare in Asia ci è stata presentata solo alla fi- ne e, per me, si è trattato di dispo- nibilità. La nostra scelta iniziale era diversa, ma, dopo aver riflettuto a lungo, abbiamo accettato la sfida della Corea. È stata una scelta diffi- cile, ci è voluto un po’ di coraggio; ma anche con l’aiuto della preghie- ra siamo riusciti a farla nostra. Quali sono le difficoltà che preve- dete di incontrare? P ETER : Anche se la lingua costi- tuisce indubbiamente una grossa sfida (bisognerà, infatti, studiarla per cinque anni), la difficoltà più grande, credo, sarà lo sforzo di in- serirci in una cultura così diversa dalla nostra. Subito dopo, viene il «cosa fare», ossia come essere mis- sionari in Corea. Da quanto sappia- mo, la chiesa coreana apparente- mente non ha bisogno di preti ed è autosufficiente. Noi africani abbia- mo l'esperienza della missione co- me di un «fare»: costruire chiese, scuole, dispensari... mentre in Co- rea non ci sarà bisogno di questo. Pertanto la nostra missione consi- sterà soprattutto in un «essere»; os- sia, si tratterà di testimoniare con la vita il vangelo di Gesù. Lo faremo come africani, diventando strumen- ti di comunione e arricchimento re- ciproco tra la cultura africana e quella coreana. J OSEPH : La prima sfida sarà quel- la di realizzare una vera incultura- zione. La difficoltà potrebbe ri- guardare l’adattamento agli usi e co- stumi di un mondo completamente diverso da quello da cui provenia- mo. Poi, come sappiamo, in Corea l’istituto è impegnato a fare missio- ne in modo diverso: si tratta, allora, di sottolineare soprattutto l’aspetto della testimonianza cristiana. P ETER : Abbiamo coscienza di es- sere i primi sacerdoti africani dell’i- stituto che partono per la Corea e, per quanto abbiamo udito, non sarà facile essere accettati in un paese che si considera all’avanguardia in tanti campi. Sarà una cosa bella e un grosso passo in avanti nella costru- zione del Regno, se i coreani sa- pranno accettare che degli africani possano portare loro l’annuncio di Cristo. A CURA DI S ERGIO F RASSETTO QUASI UN NUOVO INIZIO I padri Peter, Tamrat e Joseph, oggi... in Corea del Sud (da sinistra: primo, secondo e ultimo). MISSIONI CONSOLATA 82 OTT/NOV. 2002 SPECIALE KENYA Due kenyani in Corea del Sud

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