Missioni Consolata - Ottobre/Novembre 2002

tentò di entrare nell’Istituto della Consolata, che aveva la sede vicino a casa sua, a Torino, dove la famiglia si era trasferita. Fu accettato «in pro- va», mentre Pietro entrava dai gesui- ti. Rimaneva ancora l'ultimo fratello, Gabriele, sul quale erano riposte le speranze della famiglia per il futuro. Ma un giorno aveva trovato il corag- gio di dire a mamma: «Anch'io vo- glio farmi missionario!», e partì per il seminario di Varallo Sesia con il fra- tello Franco. Poi la guerra distrusse la loro casa. La mamma, dopo un’inutile opera- zione, se ne volò al cielo e, tanto per cambiare, pure l’ultima rimasta, Al- dina, si fece missionaria della Con- solata. Una famiglia al completo per Dio! Intanto Franco era diventato pre- te, ma invece di spedirlo in Africa, i superiori lo trattennero in Italia con incarichi vari: professore di latino, greco e geografia, assistente dei se- minaristi e vicerettore. Trangugiò i bocconi amari e seppe resistere. Poi arrivò il permesso di partire e, il 24 marzo 1951, sbarcò inKenya, i- niziando il suo tirocinio a Tuuru. E- ra la missione «più scalcinata, paga- na e restia» di tutte le missioni del Meru; dei 100 mila abitanti che po- polavano la zona, solo 475 erano cat- tolici. Avrebbe voluto iniziare subito a... convertire, ma preferì il metodo di san Paolo «di farsi tutto a tutti», diventando il più possibile africano con gli africani. Aiutato dalla sua in- dole aperta e dall'ottima padronan- za della lingua, non ebbe paura di «perdere tempo» nelle interminabi- li conversazioni, visitando assidua- mente le capanne, mangiando con i nativi fegato di capra in segno di a- micizia, lasciandosi perfino andare a timidi saltelli nelle danze tribali. E sì che il carattere di padre Fran- co non era per niente conciliante, an- zi! Egli stesso si definiva un «orso ir- suto, litigioso, brontolone» e, di fron- te a un'ingiustizia o un sopruso, era meglio stargli alla larga, perché tutti i mezzi erano buoni per raggiungere lo scopo. La sua fama comunque si con- solidava, il suo parere cercato, la sua parola ascoltata... Questo legame divenne ancora più profondo e... visibile, quando gli an- ziani decisero di ammetterlo nelle lo- ro file, facendolo diventare uno di lo- ro: mwareki . I ricchi pagani meru, giunti ad una certa età e sistemati i fi- gli entravano a far parte di un soda- lizio a carattere patriarcale, in cui ve- nivano rispettati e presi in conside- razione per la loro saggezza. Essere accolti tra gli anziani ( areki ) era una meta sognata, perché significava rag- giungere uno stato di privilegio, una condizione nuova, espressa dal cam- bio del nome e dal segno distintivo di una corona di conchigliette da portare in testa. Una notte anche padre Franco fu ammesso a far parte di questa so- cietà: gli furono date le insegne della nuova condizione e gli venne impo- sto il nome di mwereria : termine in- traducibile, indicante colui che, cam- minando, fa del bene a tutti. Un no- me originale che indicava in quale considerazione era tenuto il missio- nario. Anche se, pur essendo diven- tato un «pezzo importante», la gen- te continuava a fare la sua strada e i frequentatori della chiesa continua- vano a rimanere... pochi! M a arrivò il momento giusto per cambiare le cose. Terminata la bella chiesa di Tuuru, si era pensato di iniziare una scuola di economia domestica, anche se non si trovava l'insegnante. Mentre si aspettava di risolvere il problema, una sera, padre Franco trovò sul bordo della strada un ragazzino poliomielitico, malri- dotto. Se lo portò a casa e fu lì che scoccò la scintilla: invece di econo- MISSIONI CONSOLATA 80 OTT/NOV. 2002 SPECIALE KENYA Ragazzo con miraa (droga): una viva preoccupazione per padre Soldati. Senza scordare la povertà in genere.

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