Missioni Consolata - Ottobre/Novembre 2002

G razia ricevuta: una settimana di deserto, lontana dal traffico assorbente dell'ospedale. Una settimana tra- scorsa fuori del tempo in un altro mondo, un mondo im- mobile di sole, pietre e spine. Immersi in questo mondo pri- mordiale vi sono gli abitanti, perfettamente connaturati con l'ambiente, i nomadi del deserto appartenenti alla preisto- rica età del ferro, senza la minima relazione con l'attuale e- ra post-atomica. Il distretto del Nord è la zona del Kenya confinante con l'Etiopia e la Somalia e si estende a nord-ovest fino al ma- gnifico lago Turkana nel- la Rift Valley. Vulcani spenti, montagne di pie- tre laviche e sabbia dan- no un senso di desola- zione eterna. Qua e là arbusti spinosi. La stra- da è appena tracciata: una pista vagante dalle mille direzioni, come la vita quaggiù. Là si sen- te che cos’è la vita. Si percepisce cos’è l'esi- stenza. Nulla è facile: l'acqua per prima. Un fi- lo d'erba ha il suo valo- re. Là tutto è ridotto al- l'essenziale. Incontrare un uomo, là, diventa u- na cosa importante. E non c'è uomo senza lan- cia per la propria difesa. L'uomo (antico come i primi abitanti della ter- ra e nuovo come appena creato) dai sensi acutis- simi, non logori né smor- zati dalla mollezza del non uso. Come sono belli i bo- rana , i samburu , i ren- dille , i turkana : torniti come statue d'artista! Mi allontano dalla jeep per fotografare alcune ca- pannucce rendille così diverse da quelle kikuyu , allineate laggiù all'orizzonte, mentre una processione di cammelli torna al recinto. Sono pervasa dalla maestà rude e semplice del paesaggio. Ma un vecchio, con la lancia, mi viene incontro: calo rapidamente nella realtà e mi viene il dubbio che voglia infilzarmi, perché ho profanato il suo re- gno. Tornare indietro ormai è impossibile. Avessi almeno del tabacco! Ma egli ha qualcosa che lo preoccupa. Accen- na alla capanna ancora lontana e dice delle parole di cui ne afferro una sola: malato. Lo seguo incuriosita. In un at- timo un gruppetto di guerrieri - sbucati da dove? - mi cir- conda e mi scorta. Che meraviglia! Uno sa lo swahili. Mi sento quasi un inviato celeste, un «Raffaele» (qui i richia- mi biblici sono spontanei), capace di portare un bene, la medicina, a questi esseri nomadi. Si tratta di un bambino della cui malattia non sanno dirmi alcun sintomo: loro non hanno osservato, sanno so- lo che sta male. Guardandolo, mi sembra abbia una brut- ta bronchite. Poi compare una donna a farmi vedere la ma- no gonfia per un'infezione e mi fa capire che da tante not- ti non dorme per il male. Un terzo ha la febbre, un quarto qualcosa nell'occhio. Un altro, un altro... Ora non più me- raviglia, ma profonda compassione per questa gente che soffre senza sollievo, senza uno di quei semplici conforti che noi (con o senza ri- cetta) usiamo con tan- ta naturalezza senza neanche pensarci. Nelle mie capaci tasche ho sulfamidici, antima- larici, colliri, vitamine e analgesici. Distribuisco tutto con una certa tre- pidazione. La mia arte medica, sebbene sem- plice, è troppo raffinata per gli uomini del deser- to! Tuttavia essi ripeto- no in coro le mie parole: «Una pillola al mattino, una a mezzogiorno, una alla sera». Ho imparato il ritornello perfino io, nella loro lingua, e sono sicura che non sbaglie- ranno la dose. Come fi- nale, una vecchietta vuole anche la scatola ormai vuota, felice di possedere qualcosa pu- re lei. Nel loro vagabondare non hanno ancora in- contrato le suore che stanno nelle missioni del deserto, proprio per loro. Vorrei restare là! Penso a quel detto ritri- to: «Alleviare il dolore è proprio di Dio»... e lo sento vero. Con fatica mi accomiato, mentre i compagni sulla jeep cominciano a impensierirsi: è vicino il tramonto e la missio- ne è ancora lontana! I guerrieri mi scortano felici. Un episodio come questo compensa largamente gli af- fanni ordinari e i disagi della vita medico-missionaria. Tra queste pietre ripenso ai miei colleghi, tutti presi da altri problemi, eppure così sensibili a questo misterioso fascino della dedizione che si cela nella coscienza sociale del me- dico. Mi sembra di aver dato - con il semplice gesto di di- stribuire una medicina a degli esseri tra i più bisognosi e sconosciuti del mondo - una testimonianza di valore uni- versale, quella della fraternità cristiana. SUOR P RISCA MISSIONI CONSOLATA 77 OTT/NOV. 2002 SPECIALE KENYA ALLEVIARE IL DOLORE È PROPRIO DI DIO. . .

RkJQdWJsaXNoZXIy NTc1MjU=