Missioni Consolata - Ottobre/Novembre 2002
via, compiti e funzioni dapprima pri- vati (farsi la propria famiglia), poi so- ciali, politici e religiosi (ordinare la cosa pubblica e celebrazione di riti), per restringersi, infine, in un gruppo con funzioni di consiglio e rappre- sentanza. Il sistema delle classi di età tra i gabbra può essere paragonato a un treno in corsa, composto da 10 va- goni, in cui viaggiano tutti i membri dell’etnia, eccetto i ragazzi non an- cora iniziati e le ragazze nubili; in o- gni carrozza ci sono i componenti di una stessa classe. Ogni 8 anni il tre- no si ferma e tutti i passeggeri passa- no dal proprio vagone a quello pre- cedente, lasciando libero l'ultimo, sul quale salgono i giovani, che co- minciano così il loro cammino nella vita sociale. Tale fermata, o passaggio di classe, viene celebrata con grande enfasi, specie per gli anziani, ai quali sono conferiti i poteri rituali, prestigio so- ciale e custodia delle tradizioni. La circoncisione dei giovani, invece, di solito avviene nell’adolescenza senza che l’evento sia solennizzato. PACE E PIOGGIA I gabbra credono in un unicoDio, chiamato Waqa , che significa cielo e fenomeni atmosferici. Egli è signore della vita e della morte e sanzionato- re del male. La religione è piuttosto ritualistica, basata sulla natura, ordi- nata ai bisogni dell’uomo ed espres- sa in riti, cerimonie, sacrifici, feste, danze, canti e benedizioni. I gabbra non conoscono altro in- tervento di Dio se non quello che e- gli compie nella natura e nella vita. Le sue parole sono pioggia, stagioni, nascita dei figli, morte, malattie, rit- mo del tempo, prosperare degli uo- mini e animali. In genere si prega per ottenere, non per glorificare. L’uomo è il cen- tro di attenzione: si chiede pioggia, pace, figli, salute. I riti si svolgono in un’atmosfera di serenità, tanto più che sono sempre feste sociali. Nelle preghiere si usa il passato: per invo- care la pioggia si dice: «Qui è piovu- to»; per chiedere la pace: «Noi siamo uomini di pace» ( vedi riquadro ). Pioggia e pace sono due valori fon- damentali della società gabbra, e- spressione del modo di porsi in rap- porto con la natura, con Dio e con gli altri. Tra i gabbra non c’è parola più ri- petuta del termine nagaya (pace) nel senso più vasto del termine: armo- nia, ordine, sereno compimento del proprio lavoro, intesa e accordo tra i membri del villaggio, crescita ordi- nata degli animali, celebrazione re- golare di feste e riti, libertà da attac- chi nemici, malattie, carestie. In un ambiente dove la precipita- zione non supera i 200 mm l’anno e non è sempre puntuale, la seconda parola più ricorrente in conversazio- ni e preghiere è bokaya , pioggia, at- tesa con spasmodica pazienza. L’attesa è la logica dei gabbra. Non si tratta di inerzia o fatalismo, ma di semplice fiducia in Dio, poiché da lui tutto dipende: da Waqa viene la pioggia, dalla pioggia l'erba, dall'er- ba il latte, dal latte la vita. L’ISOLA... CHE NON C'È Pioggia e pace, dunque. Due valo- ri che potrebbero far pensare alla so- cietà gabbra come un'isola di uomi- ni felici. In realtà istinto di aggressi- vità e desiderio di trionfare sul nemico, difficoltà ambientali, ten- sioni provenienti dalla vita quotidia- na e dal contatto con altre culture creano non pochi problemi. Essi desiderano e invocano la pa- ce per la propria etnia; ma diventa- no aggressivi e spietati con le tribù vicine, fatta eccezione per i borana , loro fratelli e di cui parlano la lingua, e a volte per i rendille . Nemici tradi- zionali sono samburu e shangilla . L'esaltazione del valore viene e- spressa in riti e canti che inneggiano al coraggio, alla vittoria e vendetta. L'uccidere un nemico è gloria impe- ritura in seno alla società; un grosso anello d'avorio orna il braccio del- l'uccisore; le donne esaltano il guer- riero e gli mettono al collo una delle loro collane dicendo: «Ne hai ucci- so uno, uccidine un secondo!». I gabbra lasciano la caccia di gaz- zelle e antilopi ai wata : una classe di uomini di origine straniera guardata con un certo disprezzo; mentre pro- vano coraggio e bravura uccidendo gli animali più pericolosi: leoni, ele- fanti, rinoceronti. Tale orgoglio viene espresso anche nel canto: « Leone solitario! Hai la criniera come la chioma di una giovane donna. Ma quando da lontano fai sentire la tua voce chi non ha coraggio dice: son morto! Leone solitario, mi hai irritato. Sono sceso dalla collina e t'ho finito ». (*) Cfr. Paolo Tablino, I gabbra del Kenya , Emi, Bologna 1980. MISSIONI CONSOLATA 62 OTT/NOV. 2002 SPECIALE KENYA P resso i gabbra l’anno è di 365 giorni, ma senza il mese bisesti- le. L’apertura del nuovo anno ( alma- do ) è una delle celebrazioni più im- portanti. Mentre fanno i preparativi, le donne cantano così: « Almado, Almado della pioggia e della pace! Dio ci doni la pioggia! Almado, Almado della pace! Scorri e vieni, pioggia. Donaci pace. Alla festa di oggi ci siamo. Facci arrivare alla prossima!» . E cco un’altra ordinaria preghiera li- tanica, cantata e ritmata in coro dagli anziani e corifeo, e ripetuta un numero di volte sempre pari: « Noi siamo uomini di pace, gente di pace! Pace nella notte, pace nel giorno, pace al mattino, pace alla sera! Pace sui pascoli e pace sui pastori! Pace all’uscita e pace al ritorno! Pace sui pozzi; sui nove pozzi pace! Pace davanti a noi, pace alle nostre spalle! Pace nel villaggio yaa pace in tutti gli altri villaggi. Il cielo mandi la pioggia! Riempici d’acqua i fossati. O Dio donaci pace, figli e lunga vita ». S pesso canto e preghiera raggiun- gono il vertice della poesia, come nell’inno seguente: « È piovuto! Ha mandato la pioggia Lui che è dolce! Dio l’amato! Nubi dense di pioggia, alla loro stagione, hanno raggiunto la terra ». Da notare il verbo è al passato, per un fatto non ancora accaduto, ma certi che avverrà. Chi ha raccolto questo canto, nel 1972, ricorda che alla fine della celebrazione scoppiò un violen- to temporale. DIO... DOLCE
RkJQdWJsaXNoZXIy NTc1MjU=