Missioni Consolata - Ottobre/Novembre 2002
F isicomalsano, endemica debo- lezza ossea, labbra macchiate, denti scoloriti... una trentina di anni fa gli el molo contavano un cen- tinaio d’individui, destinati a scom- parire per carenze alimentari ematri- moni tra consanguinei. Apatia e sre- golatezza facevano il resto: sembrava che la gente avesse deciso di darsi al- la pazza gioia prima di sparire. Con la fondazione della missione di Loyangallani, le cose cominciaro- no a cambiare sia dal lato umano che morale: medicine, igiene e aiuti ali- mentari fermarono la moria; i matri- moni con turkana e samburu hanno portato un ricambio di sangue e, in pochi anni, gli el molo sono più che raddoppiati. INSEGUITI DALLA SFORTUNA Per molto tempo gli el molo sono stati denominati, anche nei censi- menti ufficiali, come ndorobo o do- robo , storpiatura europea di il toro- bo , poveracci: nomignolo con cui i maasai indicavano una ventina di gruppetti etnici, el molo compresi, sprovvisti di armenti e costretti ad ar- rangiarsi con altre attività, come cac- cia e pesca. La loro vita e attività gior- naliera non potevano essere descrit- te con una parola più significativa. Probabilmente anche il termine cuscita el molo (o ol molo ) significa la stessa cosa: «pescatori del lago». Recenti studi etnologici, infatti, li classificano tra i cusciti e non più ni- lo-camiti, come erano ritenuti fino a pochi anni orsono. Si tratta infatti di un gruppo cuscita orientale che, spinto dai somali 500 anni fa, rag- giunse l’estremo nord del Kenya e si stabilirono lungo la sponda orienta- le del lago Turkana. Attacchi, vessazioni e persecuzioni da parte di altre etnie circonvicine continuarono a restringere il loro ter- ritorio, cacciandoli sempre più a sud e costringendoli a trovare scampo su minuscole isole. Finché la piccola co- munità sopravvissuta, ritornò a co- struire i loro villaggetti sulla terra fer- ma, di fronte alla cosiddetta «isola delle capre» o più realisticamente «i- sola del non ritorno». Più dei feroci predatori di un tempo, sembra che sia la na- tura ad accanirsi contro gli el molo. Tutto il territorio, do- ve la precipitazione annua non supera i 50-60 mm, non offre che pietrame, con pochi cespugli spi- nosi e palme dum. Pur mitigato da venti che sof- fiano notte e giorno, il cal- do raggiunge e supera facil- mente i 45°. Anche per le ca- pre diventa ardua fatica trovare qualcosa da brucare. E se le piog- ge falliscono, allora è tragedia per gli animali e per la gente tutta. Da quando si è cominciato amisu- rare regolarmente il livello del lago Turkana, si è scoperto che esso scen- de di 30 cm l’anno: fenomenopreoc- cupante per il futuro degli el molo. ADDIO CULTURA ANTICA Oggi essi costituiscono una delle più esigue etnie del Kenya. Secondo etnologi e missionari, gli el molo pu- ro sangue sarebbero una quarantina; quelli con sangue turkana e sambu- ru oltre 200 individui. Mescolanza di sangue e contatti con altre etnie hanno provocato un processo di acculturazione, special- mente tra i giovani, in cui è difficile distinguere gli usi e costumi origina- ri. Pochi anziani conoscono la lingua el molo; mentre la gioventù è passa- ta al samburu o turkana e non capi- sce più neppure i canti tradizionali. I guerrieri samburu, soprattutto, hanno affascinato i giovani el molo, almeno nel passato, arruolandosi nelle loro classi di età e tingendo la capigliatura con ocra rossa. Da questa stessa etnia sono copia- ti vestiti e abbigliamenti femminili. Ornamenti originali delle ragazze so- no costituiti da dischetti di guscio d'uovo di struzzo, oppure da rozzi monili di spine e pinne di pesce. A EL MOLO quei «poveri diavoli» Bambino el molo con recipiente di legno per acqua o latte.
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