Missioni Consolata - Ottobre/Novembre 2002
Maturava anche una nuova «stra- tegia», che riconosceva ai missionari non più il ruolo di protagonisti, ben- sì quello di (umili) «accompagnato- ri» delle chiese locali, fino alla loro piena autonomia. Famosa la defini- zione di missionario, che circolava in quei tempi: «Straniero, in casa di mio padre». Si parlava di «trapasso», con l’evidente allusione al sacrificio e al distacco materiale che il missionario era chiamato ad affrontare, nel mo- mento di affidare la sua «creatura» ad altre mani. Nel frattempo doveva imparare a collaborare con altre for- ze che cominciavano a fare capolino: come i laici missionari che, da pochi, diventavano una presenza stabile e consistente; o come i sacerdoti fidei donum , presenti dai primi anni ’60, a cui verrà affidata, nel 1996, la dioce- si di Isiolo, «figlia» della missione- madre di Mujwa (Meru). E si faceva sempre più strada una parola capace di far rizzare i capelli e battere il cuore, soprattutto ai mis- sionari di una certa età: «ridimensio- namento», ossia ridurre le presenze nelle diocesi ormai consolidate. La scelta poteva far pensare a una fata- le necessità dell’istituto, causata dal- l’inesorabile e lenta riduzione di per- sonale; ma, sul versante positivo, di- ventava pure la strada obbligata per riqualificare le presenze in situazioni più consone all’ ad gentes . Non è che i vescovi africani fosse- ro tanto d’accordo. Mons. Gatimu, vescovo di Nyeri, scriveva ai supe- riori di Torino: «Non mi si portino via i missionari migliori per la mia diocesi; se non ne approfittiamo ora, domani potrebbe essere troppo tar- di!...». Ma il ridimensionamento era (ed è) una «cura» obbligata e co- minciò ad attuarsi. I 224 missionari, presenti inKenya nel 1975, scesero a 171 nell’81, quando il settimo Capi- tolo generale affrontò il problema delle nuove presenze sul territorio. Vennero lasciate missioni «stori- che», iniziate da zero dai primi mis- sionari, come Embu, Kyeni, Chuka, Gikondi, Nyeri (il «Vaticano» della Consolata, dato il complesso di ope- re: parrocchia, tipografia, centro ca- techistico, ospedale, ecc.),Murang’a, Nanyuki, Karatina... per scegliere si- tuazioni di «frontiera»: come tra i musulmani di Mombasa (1991); o a Chiga (1992) tra il popolo dei luo , in diocesi di Kisumu; o nella periferia di Nairobi, tra i baraccati degli slums a Kahawa (1993) e Lileleshwa (2001). Emergeva, inoltre, tra i missionari una nuova priorità: quella dell’ani- mazione missionaria e vocazionale, che assorbe ancora oggi persone e mezzi, spingendo a nuove presenze anche fuori dal Kenya, come a Kam- pala (Uganda). Per anni il Kenya ha accolto evan- gelizzatori che venivano dall’estero: un dono prezioso, che ha permesso a questa chiesa di diventare adulta e, a sua volta, di restituire ad altri il do- no ricevuto. È un salto di qualità, che rivela come il lavoro missionario ab- bia dato i suoi frutti. Oggi sono 121 i missionari della Consolata kenyani, la maggior parte dei quali è sparsa nei vari paesi del mondo; ultimo, la Corea del Sud, che ha appena accolto Joseph Otieno e Peter Njoroge, due giovani freschi di ordinazione e decisi ad affrontare u- na cultura (e una lingua) così lonta- na dalla loro. Chi avrebbe mai pensato che la Consolata, assumendo pure il volto kenyano, arrivasse a tanto? U NA « FAMIGLIA » PER CONSOLARE U na casa di accoglienza per i bambini di strada, nata nella primavera del 1997, per aiutare a re- cuperarli a un futuro migliore. Nasce così alla periferia di Nairobi questa nuova opera dei missionari della Consolata, sostenuta dapprima dalla fantasia e generosità dei padri An- gelo Riboli e Alessandro Signorelli e, ora, di padre Gilberto Foresi. Si chiama «Familia ya ufariji» (Fa- miglia della consolazione) e potrà o- spitare fino a un centinaio di bam- bini tra i sei e dieci anni. Non sarà il classico orfanotrofio, bensì un luogo di prima accoglienza, coadiuvato da assistenti sociali e volontari, ma con lo scopo di «rintracciare» i genitori dei bambini o affidarli ad un nuovo nucleo familiare se quello originale non si trova più. Il lavoro concreto è quello di togliere i piccoli dalla stra- da per reinserirli nella scuola e, quindi, nella società, attraverso lo sport, il gioco, l’attenzione persona- le e un grande affetto. Secondo le statistiche, il 75% dei bambini, in Kenya, sono in strada, in quanto i genitori non possono per- mettersi di pagare le spese scolasti- che; solo a Nairobi sono 50 mila... Samburu tradizionali e moderni (si noti la videocamera)... Venditore di giornali a Kampala, in Uganda: i missionari sono arrivati anche qui. MISSIONI CONSOLATA 42 OTT/NOV. 2002 SPECIALE KENYA
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