Missioni Consolata - Ottobre/Novembre 2002

vio Prandoni, insostituibile figura di medico dalla generosità sconfinata. Accanto all’ospedale, nel 1967 sor- geva pure una «clinica oculistica», grazie all’interessamento del prof. Angelo Vannini (di Torino), padre Mario Valli e una lunga serie di ocu- listi italiani che vi si recavano, alter- nandosi, per brevi periodi di lavoro. Nel campo dell’istruzione ci si im- pegnò per scuole secondarie, decine di scuole elementari, materne e una di arti e mestieri, superando la non piccola difficoltà di avere insegnanti preparati in luoghi così lontani e i- nospitali. Una triste nota che carat- terizzò il lavoro di mons. Cavallera furono le ricorrenti siccità, che co- strinsero il vescovo alla ricerca os- sessiva di aiuti all’estero e ad orga- nizzare le missioni, perché fossero centri di assistenza a gente stremata dalla fame. La presenza nel territorio di Mar- sabit aveva come scopo primario l’e- vangelizzazione, che si rivelò però più difficile del previsto per il carat- tere mobile delle popolazioni, l’insi- curezza causata dai predatori shifta e anche l’influenza (in alcuni posti) dei musulmani. Per questo i missionari puntarono la loro azione su tre dire- zioni, con una strategia che teneva conto non solo delle forze umane e, soprattutto, della fede (era il «palli- no» del vescovo). In primo luogo, una «presenza» costante ai «piedi dell’Eucaristia»: in modo che, in tutta la giornata, venis- se garantita nell’intera diocesi la pre- ghiera continua. Poi fu curata la pa- storale scolastica, affinché gli alunni ricevessero una formazione cristiana (oltre che un esempio di vita), così da far nascere in loro l’esigenza di chie- dere il battesimo e costituire nuove comunità. E, infine, studio serio del- le (difficili) lingue locali, insieme a u- si e costumi, per inculturare il mes- saggio del vangelo, conoscere la gen- te in profondità e rispondere ai loro bisogni. Il vescovo sognava anche una «pa- storale nomade». Ma l’impresa si ri- velò difficile, sia perché il governo impose ai missionari la residenza fis- sa, in luoghi sicuri e protetti dalla po- lizia, sia perché la «squadra volante» di padri, destinata a seguire gli spo- stamenti dei nomadi, ripiegò sulla creazione di strutture di aiuto che, gradualmente, divennero stabili; più che fare gli itineranti, i missionari si dedicarono a sviluppare i posti diffi- cili e lontani. Fondamentale si rivelò anche l’o- pera dei catechisti e catechiste, per i quali fu creato il Centro pastorale di Maralal, attentamente studiato e a- dattato alle esigenze locali. E prese sempre più corpo l’idea che fosse or- mai giunto il momento di pensare a preti locali. Dopo lunghe riflessioni, nel 1979 si aprì il seminario «Buon Pastore», da cui uscirà nel 1988 il pri- mo sacerdote samburu, Dominic Le- saion. Intanto la forte fibra del vescovo Cavallera cominciava a cedere, sotto la spinta di una lunga e intensa atti- vità, svolta in condizioni disagevoli; dopo 36 anni di episcopato al servi- zio della chiesa kenyana, le sue di- missioni furono accolte il 12 luglio 1981. Ritiratosi a Torino, potè realiz- zare quello che era sempre stato il suo sogno: preghiera e contempla- zione. Al suo posto arrivò padre Am- brogio Ravasi, presente in Kenya da una decina d’anni, che dovette sob- barcarsi la non facile eredità dell’in- faticabile predecessore: vi riuscì con il suo ottimismo, semplicità, realismo pastorale e vicinanza paterna a tutti. Ultima tappa nelle vicende della diocesi di Marsabit è stata la sua di- visione, con la creazione della nuova diocesi di Maralal, per la quale veni- va nominato vescovo Virgilio Pante, consacrato il 6 ottobre 2001. Il ve- scovo giusto: veterano del posto, ap- passionato di moto e caccia, profon- do conoscitore degli usi e costumi lo- cali, vero «nomade» del Signore! SAPER RICOMINCIARE Dopo il Concilio ecumenico Vati- cano II, la chiesa entrava in una fase di rinnovamento; c’era voglia di cam- bio, novità, vie pastorali non ancora battute. Anche la missione non ri- mase indenne al vento dell’«aggior- namento», anche se dovette fare i conti con il calo drastico di vocazio- ni e la critica (talvolta ingiusta) ai me- todi del passato, considerati lesivi delle culture e dei diritti dei popoli. ATLETA, SOLDATO, CONTEMPLATIVO N ell’apostolato Carlo Cavallera è impegnato non solo ad amministrare battesimi, ma ad evangelizzare le culture. Iniziando la missione di Marsabit, ha ben chiaro in mente che, nell’inculturazione del vangelo, gli agenti principali sono gli stessi nomadi. Essi, perciò, devono vivere la fede cristiana in armonia con la loro identità culturale ed esprimere la propria maturità ecclesiale con il favorire la nascita di vocazioni sa- cerdotali. Il vescovo si spende tutto per l’evangeliz- zazione: la sua vita è la corsa di un atleta eccezionale, la battaglia di un soldato va- loroso, il servizio di un amministratore fe- dele. Per lui «contemplazione» significa a- vere il tempio come epicentro del proprio essere e agire: stare nel recinto sacro per guardare il mondo con gli occhi di Dio e giudicare la storia con il criterio della sua logica misericordiosa. In comunità la tensione contemplativa lo rende capace di comunicare e convocare, comprendere e concordare, compensare e convincere, comporre e conservare, com- pletare e consolidare, commuovere e con- vertire, compatire e confortare, compian- gere e consolare. La sua grandezza è pro- prio questa: in lui, «la missione diventa contemplazione». Lino Zamuner (autore di « Mons. Carlo Cavallera - Quando la missione invade la vita» , Edizioni Missioni Consolata, Roma 2000) MISSIONI CONSOLATA 40 OTT/NOV. 2002 SPECIALE KENYA

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