Missioni Consolata - Ottobre/Novembre 2002

hanno fatto così». Le conversioni al vangelo segnavano il passo. GRAVE DISAPPUNTO Convertire è un verbo all’infinito. Come coniugarlo? «Prova e vedrai! Escluso il condizionale, in altromo- do è difficile». La citazione, nel suo problematico umorismo, ritrae be- ne lo stato d’incertezza del missio- nario. Egli non si trastullava in chi- meriche illusioni. Tuttavia, di tanto in tanto, non riusciva a celare il pro- prio disappunto di fronte agli scac- chi patiti. Il fatto dovette impressionare ab- bastanza, se un vecchio di Limuru sentì il bisogno di accostare alcune suore melanconiche per consolarle. «I giovanetti, i bambini e le ragazze vi ascoltano e vi capiscono; le don- ne, invece, vanno a lavorare e a rac- cogliere patate, e non si intendono di tali cose: chi mai per il passato le insegnò ad esse? Aspettate, abbiate pazienza...». Attendere e pazientare. Il missio- nario era una persona di fede e di questa si caricava per fronteggiare i momenti di stanchezza e dubbio. IN DIECI A MURANG’A Gli storici delle missioni della Consolata fra i kikuyu ravvisano nell’1-3 marzo 1904 una data signi- ficativa per l’evangelizzazione del- l’etnia. A Murang’a si ritrovarono 10 missionari per discutere e ap- provare un metodo di apostolato. Nell’incontro, dopo aver preso at- to dei successi ed insuccessi, si pro- spettò una strategia d’azione, pra- ticabile secondo tre direttive. ■ Formazione di catechisti: pre- vedeva la scelta di alcuni kikuyu in- telligenti e retti, per istruirli e impe- gnarli nell’evangelizzazione. Il siste- ma fu giudicato buono, ma avrebbe procrastinato troppo le conversioni. ■ Azione sanitaria e scolastica: u- na linea che suggeriva di costruire collegi e ospedali, nella speranza che i giovani e i malati abbracciassero la nuova religione. La proposta non ri- scosse molte adesioni. Si obiettava che i genitori dei ragazzi, non anco- ra persuasi della necessità dell’istru- zione, avrebbero boicottato la fre- quenza scolastica dei figli. Gli ospe- dali, poi, esigevano molto denaro, irreperibile per il missionario. ■ Predicazione itinerante, ossia passare da un villaggio all’altro an- nunciando la parola di Dio. Così fa- cendo, il cardinale Guglielmo Mas- saia conseguì buoni risultati fra gli oromo d’Etiopia (2). Tuttavia il suc- cesso era garantito solo «nei paesi ci- vili o con una semiciviltà, come l’A- bissinia; ma fra popoli selvaggi e per indole incostanti e volubili come i kikuyu, il buon seme inaridirebbe U n punto focale, secondo la me- todologia missionaria di Mu- rang’a, fu la presentazione del mes- saggio cristiano usando le categorie mentali della cultura locale. Oggi si parla di inculturazione del vangelo. I missionari come si atteggiarono di fronte a questa tematica? Va da sé che, ai loro tempi, essi si sentirono latori di una religione che doveva es- sere più accettata che proposta. Ma sorprende come la loro predicazione si sia incarnata nell’ habitat cultura- le locale, assumendone talora la dia- lettica concettuale. Ecco un dialogo fra padre Caglie- ro e i lavoratori della missione. Il te- ma è: «Il diavolo non è l’anima dei defunti». - Chi è il diavolo? - chiese il padre. - Non lo sappiamo. Dillo tu e lo sa- premo anche noi. - Secondo voi, il diavolo è l’anima dei morti. È così? - Sì, padre. Quando uno si ammala, uccidiamo un montone per offrirlo al diavolo, dicendo: «Anima di mio pa- dre cessa di fargli del male». - Ebbene, questo è errato. Se il de- monio fosse l’anima dei nostri geni- tori defunti, come voi dite, come po- trebbe farci del male? Un genitore, che da vivo ama i figli, morto che sia, cessa forse di amarli?... Tu, per e- sempio, quando sarai morto, malefi- cherai i figli che ora ami? «No, mai!» rispose l’interpellato. - Allora, perché affermate che il dia- volo è lo spirito dei morti? - Adesso che conosciamo la verità non lo diremo più. Lo stesso missionario si cimentò con un articolo complesso del credo cristiano: la divina figlianza adotti- va dell’uomo. «Per spiegarmi, mi ser- vii di un fatto comune fra i kikuyu. Un fanciullo, senza genitori e pa- renti, viene adottato da un altro nel modo seguente: l’adottante uccide un montone alla presenza dell’adot- tando, riempie una tazza di sangue e, dopo averne bevuto alquanto, la porge da bere al fanciullo, che con quell’atto diventa suo figlio. Così - dissi - fa Iddio con gli uomini. Que- sti, nascendo macchiati, sono senza padre in cielo, sono anzi schiavi del demonio; ma l’acqua del battesimo, data dal padre, libera dalla schiavitù del demonio e ci fa figli di Dio». L’assemblea, attonita ed ammira- ta, esclamò: «Costui è sapiente e sa di tutto: conosce perfino i nostri co- stumi». U na missionaria sfruttò la cate- goria del thahu per spiegare il peccato originale: come il primo è u- na impurità che contamina, diffon- dendosi a macchia d’olio, così il se- condo si trasmette di padre in figlio. Ma il battesimo purifica tutto. CHI È IL DEMONIO? Esempi di «evangelizzazione adattata» MISSIONI CONSOLATA 18 OTT/NOV. 2002 SPECIALE KENYA

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