Missioni Consolata - Ottobre/Novembre 2002

l’evangelizzazione, bensì la difficoltà intrinseca dell’argomento affronta- to. Per quanto si ripetesse che Dio non è come l’uomo, composto di a- nima e corpo, ma puro spirito, im- mancabilmente l’uditorio ripiegava su temi più abbordabili, quali: seDio avesse la barba, se fosse bianco o ne- ro, se indossasse sempre tanti vesti- ti, se mangiasse ogni giorno carne. IL BATTESIMO CAUSA MORTE? I missionari non furono dei bat- tezzatori frettolosi. Infatti i primi battesimi risalgono al 1909-1911: e a Tuthu, la prima sede fra i kikuyu, addirittura al 1916. Fino a tale data si battezzò quasi esclusivamente in punto di morte. Furono di regola battesimi di anziani, avvicinati dal missionario nel suo apostolato itine- rante. Divenuti amici dellamissione, ne accettarono pure l’insegnamento religioso e, data l’età avanzata, furo- no battezzati di comune accordo prima che la morte li cogliesse. Lo stesso dicasi per i bambini moribon- di. Poiché il missionario battezzava persone che poco dopo sarebbero morte, i kikuyu dissero che l’acqua versata in testa, fosse «avvelenata dagli stranieri» e causasse la morte. Fu un’insospettata difficoltà per l’e- vangelizzazione. Si contestò la diceria discutendo- la pubblicamente. Il battesimo fa ve- ramente morire? Il patri e la mware sono battezzati: e sono forse morti? «Anzi, il Signore li ha fatti ricchi e sapienti, li tiene come suoi figli e li difende dallo spirito del male, il qua- le ha grande paura del battesimo». Però la diceria doveva essere sfatata con gesti visibili. Ecco allora che il missionario, curando gli ammalati, praticava a tutti abbondanti lavaggi in fronte. Non mancò, poi, l’accusa di ma- locchio. Se ne avvide, a proprie spe- se, suor Faconda. Lamissionaria vo- leva prendersi cura di una bambina, che deperiva di giorno in giorno. In- contrò la madre al mercato, con la bimba sulla schiena. La kikuyu, ve- dendola, non esitò a lanciarle l’ mbu (grido di allarme nel pericolo), met- tendo a soqquadro l’ambiente... Molti kikuyu parteciparono alla prima guerramondiale come porta- tori. L’esperienza fu deleteria. Reli- giosamente parlando, i pochi super- stiti ritornarono a casa scandalizza- ti dal comportamento distruttivo ed omicida dei bianchi (inglesi e tede- schi), che pure si dicevano cristiani. Né riportò esempi stimolanti per abbracciare il cristianesimo chi lavo- rava nelle fattorie dei coloni inglesi. AGatanga due cristiani furono apo- strofati dal padrone: «Siete asini, sa- pete solo credere a ciò che dicono i preti e le suore». Poi il farmista sputò per terra con disprezzo. E che dire della poliginia, l’eterno scoglio per l’evangelizzazione? LA FORZA DELLA TRADIZIONE Tutte le obiezioni dei kikuyu di fronte al cristianesimo sono ricon- ducibili ad un unico denominatore comune: l’attaccamento rigoroso al- la tradizione. «I kikuyu non distinguono fra vi- ta sociale, politica, sessuale e indivi- duale, ma tutte queste vite (per così dire) formano un unico complesso, che non si può sezionare e che ha la sua ragione d’essere nella tradizio- ne». Chi la ignora automaticamente si autoespelle dalla comunità e di- venta straniero. La tradizione è l’anima del popo- lo: rafforza il vincolo di parentela, lo spirito di corpo e la reciproca ac- coglienza, senza la quale ci si trova disorientati. Infrangere o staccarsi dalla tradizione significa miscono- scere il proprio paese, rinnegare la religione degli antenati, attirarsi la vendetta degli spiriti, esporsi all’o- stracismo degli anziani e contami- narsi del thahu più orribile (impu- rità rituale). Quando si sentenzia «è tradizio- ne dei kikuyu», si enuncia un dog- ma, che è pericoloso abbandonare o dal quale deflettere. Furono visti fi- gli di capi, ritornati dall’Inghilterra con tanto di laurea, riassumere le a- bitudini dei genitori, per nulla scal- fiti dall’Europa. L’attività missionaria cozzò sem- pre contro il corpus integrato degli usi e dei riti della tradizione, ai qua- li i kikuyu erano legati con «una ge- losia e testardaggine damontanari». «Dopo 37 anni di convivenza con questa gente - scrisse padre Costan- zo Cagnolo -, pur usando la loro lin- gua e seguendo da vicino tutte le lo- ro manifestazioni sociali, familiari e individuali, più di una volta mi tro- vo perplesso sull’esatta compren- sione della loro mentalità» (1). Padre Giacomo Cavallo annotò: «Trovo uno spirito eminentemente conservatore, di cui è imbevuto il kikuyu, che gli fa rigettare le cose so- lo perché sono nuove». Ogni volta che si prospetta qualcosa di diverso, arriva puntuale il leitmotiv : «Però i nostri vecchi non hanno detto, non A turno, ci si acconcia i capelli: è una delle istantanee kikuyu ... d’altri tempi. MISSIONI CONSOLATA 17 OTT/NOV. 2002 SPECIALE KENYA

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