Missioni Consolata - Settembre 2002
Sfogliando s’impara E ra appena passatomezzogiorno e nell’ufficio stra- nieri non c’era molta gente. Subito approfittam- mo dell’insperata fortuna per entrare a ritirare il permesso di soggiorno della signora D.. Lei era visibilmente emozionata, impaziente, tesa. Diede in fretta il suo passaporto al giovane uomo dal- l’altra parte dello sportello che prese una grossa cartel- la e cominciò a cercare. Mentre il ragazzo cercava il per- messo di soggiorno della signora mi attirò l'attenzione il dialogo allo sportello in fondo. Un uomo di carnagione scura, coi baffi, magro e vesti- to leggero per il freddo che c’era fuori, continuava a ri- petere: «Ma io avere lavoro! Io avere casa!». L’uomo dall’altra parte dello sportello si sforzava di spiegargli che non è sufficiente avere un lavoro e una casa per por- tare lamoglie e i figli in Italia, ma un guadagno ben pre- ciso e una casa grande quanto è grande la famiglia. Ma non ci riusciva. L’uomo con i baffi continuava a ripete- re di avere un lavoro, di avere una casa e voleva far ve- nire sua moglie e i suoi quattro figli. - Devi trovare un altro lavoro con lo stipendio più alto. E anche un’altra casa, perché questa che hai adesso è troppo piccola per la tua famiglia. - Per noi basta. Noi gente modesta. Basta mangiare, vi- vere. Casa no piccola. Due stanze. Due stanze. Una io e moglie, una bambini. In Pakistan tutti una stanza. - In Italia non si può. Per quanto guadagni e per la ca- sa puoi portare solo due persone non cinque. - No persone! No persone! Solo moglie e figli signore! Solo mia moglie e miei figli. - Se non cambi lavoro e casa, puoi portare soltanto la moglie e un figlio. Devi trovare un lavoro con più gua- dagno e una casa più grande. Così è la legge! In quel momento il ragazzo del nostro sportello trovò il permesso di soggiorno della signora D. e noi uscim- mo. Appena fummo fuori, lei cominciò a baciarmi e ab- bracciarmi di gioia, come una ragazzina, ma io non riu- scivo a condividere la sua allegria perché continuavo a pensare a quel pakistano e all’impiegato allo sportello. C ome si fa a spiegare a un immigrato che lui non ha il diritto di scegliere come vivere con la sua numerosa famiglia? Che i suoi figli non hanno il diritto di dormire tutti insieme in un lettone grande co- me si usa nel suo paese, perché questo non è igienico. Qui siamo in Europa che non sopporta miseria, malat- tie, usi e costumi spesso malsani e poco democratici. L’Europa non sopporta chi si accontenta con poco… «Il vero male può essere così riassunto: cosa deve fare l’Europa, quale identità collettiva deve darsi, perché gli immigrati cessino di spaventare e scom- bussolare le sue popolazioni? Come deve compor- tarsi sul piano nazionale e sovranazionale, perché sia salvaguardata la fondamentale distinzione fra immigrati legali, immigrati illegali e candidati all’a- silo politico? Queste categorie vengono sistemati- camente confuse, da parte di chi governa, ed è da tale confusione che nasce la paura dello straniero chiamata xenofobia. (...) I discorsi sulla paura tendono infatti a nascondere le verità dei fatti: negli ultimi anni l’immigrazione non è aumentata in Europa, come dimostrato dai dati dell’Ufficio statistico della Commissione euro- pea (Eurostat). Alla fine del 2000 i residenti stra- nieri erano circa 18 milioni e 692.000, contro 18 milioni e 979.000 nel 1998. Gli stessi clandestini erano molto più numerosi negli anni Novanta che adesso. (...) È stato calcolato che a causa dell'invecchiamento, l’Europa avrà bisogno di raddoppiare la presenza di immigrati entro il 2050, se vorrà evitare che l’e- quilibrio fra attivi e pensionati si spezzi. Questa è la difficoltà concreta cui occorre prepararsi, pen- sando fin da ora agli elettori di oggi e di domani, alle paure presenti e a quelle delle generazioni future. Barbara Spinelli sul quotidiano « La Stampa », Torino, 23 giugno 2002 «La paura dello straniero»
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