Missioni Consolata - Settembre 2002

mo dramma degli handicappati - continua suor Luciana -: i genitori li considerano un castigo divino, una vergogna da tenere nascosta il più possibile; quando non sono abban- donati a se stessi, tali figli vengono affidati a nonni o zii». Per 16 anni Yawo non aveva alza- to le mani da terra più di un palmo. Ma riusciva a fare qualche lavoret- to, intrecciando la paglia. Sottopo- sto all’operazione, è riuscito a ri- mettersi in piedi. Quindi fu iscritto alla scuola di alfabetizzazione, ma con scarso successo: riesce appena a scrivere il suo nome. Ma ha molte doti pratiche e alcuni stregoni lo hanno ingaggiato per fare collane e altri oggetti artigianali; con i guada- gni riesce a badare a se stesso, anche se per rinnovare gli apparecchi or- topedici dipende ancora dall’aiuto della missione. Gloria Kankoé è cieca dalla na- scita. Anche lei abbandonata dai ge- nitori, è stata raccolta dalle suore e affidata a un istituto per non veden- ti, dove ha imparato a impagliare se- die, fare stuoie e tappeti. Ha inco- minciato a studiare e già maneggia una macchina da scrivere braïlle. Il caso di Missan Afli fa eccezio- ne: fu il padre in persona a portare la figlia allamissione, quando seppe che le suore si prendevano cura de- gli handicappati. L’esempio delle suore ha risvegliato in lui l’amore paterno, offrendo tutta la collabo- razione possibile per restituire alla figlia la sua dignità. La bambina camminava con ma- ni e piedi, ma l’attenzione delle suo- re e l’amore del padre le hanno da- to tale forza di volontà per reagi- re al suo handicap, finché è riuscita a camminare senza bisogno di alcuna operazione. Nonostante una mano ancora gravemente me- nomata, ha imparato a scrivere. La domenica, mentre procede dan- zando in processione con le offerte della messa, non manca di dare una sbirciata alla suora, per esprimere la felicità di camminare come le com- pagne. Storie di «ciechi che vedono e storpi che camminano» ce ne sono altre 130, racchiuse in un faldone che suor Luciana sfoglia con la re- verenza dovuta a un messale. Sono schede con fotografie scattate prima e dopo l'operazione, dati anagrafi- ci, situazioni familiari, progressi di riabilitazione, resoconti contabili, relazioni aggiornate e spedite rego- larmente al Lilian Fonds , un’asso- ciazione olandese che si occupa del recupero di handicappati. «È un lavoro che assorbe energie fisiche e mentali - confessa sorri- dendo suor Luciana, responsabile di fronte all’associazione dei pro- getti di recupero -. Ma procura sod- disfazioni impareggiabili: rimettere in piedi questi infelici significa rein- tegrarli nell’umanità, restituire loro la dignità umana. Oggi, nel raggio 30-40 km, non si vedono più handi- cappati chiedere l’elemosina per strada. Alcuni di essi hanno rag- giunto la piena indipendenza». È il caso di EkouéGakpea: rimes- so in piedi, ha imparato a fare il sar- to; ha ricevuto una macchina da cu- cire e con il suo lavoro mantiene se stesso e tutta la famiglia. Anzi, è di- ventato tanto esperto di macchine da cucire che va in giro ad aggiusta- re quelle degli altri. MANAGER DELLA... PROVVIDENZA Fino a quando non è raggiunta la piena autonomia, il processo di ria- bilitazione è lungo e faticoso: biso- gna seguire caso per caso, control- lare se gli apparecchi sono in buono stato o troppo stretti, riportarli al- l’ospedale per eventuali riparazioni o adattamenti. Speciale attenzione è rivolta alle famiglie degli handicappati, per esi- gere la loro collaborazione, special- mente quando i figli incontrano del- le difficoltà, rifiutano gli apparecchi ortopedici, si buttano per terra e ri- tornano a una situazione peggiore di quella precedente l’operazione. «Il mio lavoro consiste nel coordi- nare iniziative e progetti - continua la missionaria, sentendosi quasi in colpa per mancanza d’umiltà -. Va- A sinistra: Ekoué Kankoé, uno dei 130 handicappati rimessi in piedi dalle Figlie di san Gaestano. Suor Innocence, responsabile del laboratorio di analisi del dispensario di Fiata.

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