Missioni Consolata - Settembre 2002

37 APRILE 1998 CONSOLATA MI SS IONI 37 SETTEMBRE 2002 CONSOLATA MI SS IONI P er oltre quattro secoli la storia del Togo rimase legata a quella della «Guinea», regione tra il Senegal e l’equatore, esplorata dai navigatori portoghesi a partire dal 1470. Per meglio commerciare oro e prodotti esotici, essi stabilirono vari insediamenti, ma scartarono le coste del Togo, prive di porti naturali. Nel 1482 costruirono il forte a Elmina, poi a Keta (Costa d’Oro, oggi Ghana) e a Ouidah (Dahomey, oggi Benin). L’espansione del cristianesimo era una priorità dei conquistatori porto- ghesi. Da ogni viaggio portavano a Li- sbona giovani «guineani» che, dopo essere stati istruiti, venivano ricon- dotti in patria per diffondere la fede cristiana tra i connazionali. Gli inse- diamenti portoghesi erano, quindi, anche centri missionari, ma è diffici- le dire fino a che punto tale irradia- zione abbia toccato il Togo. «LA COSTA DEGLI SCHIAVI» Un cronista di quei tempi, Diego d’Alvarenga, racconta che a Elmina, nel 1503, «furono battezzati il capo di Afouto, 6 ufficiali e 100 persone». Nel 1634 Propaganda fide assegnò ai cappuccini inglesi l’evangelizza- zione della Costa d’Oro; 10 anni do- po arrivò a Roma la notizia del bat- tesimo del capo di Komenda e altri principi. Poi i calvinisti olandesi pre- sero Elmina e cancellarono ogni trac- cia cattolica. Nel Dahomey, a est del Togo, i cap- puccini bretoni fondarono una mis- sione a Ouidah nel 1644; ma gli stre- goni, sobillati da mercanti inglesi e olandesi, incendiarono la cappella e i missionari dovettero scappare. Se- dici anni dopo arrivarono i cappucci- ni spagnoli, richiesti dal re d’Arda al sovrano di Spagna, ma furono cac- ciati dai portoghesi. Ritentarono nel 1674 tre domenicani francesi: stava- no per convertire il capo di Ouidah, ma i mercanti di schiavi montarono la testa ai locali e i missionari mori- rono sulla costa, forse avvelenati. L’evangelizzazione era impossibi- le: la tratta degli schiavi portava ad identificare cristianesimo e schiavi- smo; gli schiavisti, indigeni ed euro- pei, non permettevano che i missio- nari turbassero i loro affari. E dove- vano essere enormi, se la regione tra Keta e Lagos fu per secoli conosciu- ta come «Costa degli Schiavi». I primi a portare il cristianesimo tra le popolazioni del Togo furono i missionari protestanti: il loro eroi- smo merita tanto di cappello. Iniziò la Società dei fratelli mora- vi con Giacomo Protte, un mulatto nato in Costa d’Oro da padre danese e madre africana. Dopo aver studia- to a Copenaghen, nel 1737 fu invia- to a convertire i suoi paesani; quat- tro anni dopo tornò in Olanda; nel 1757 e 1769 tentò altre due imprese solitarie. Nel frattempo fu raggiunto da altri 5 fratelli, tre dei quali scese- ro nella tomba nel giro di due mesi. Nel 1770 altri quattro missionari rag- giunsero i due sopravvissuti: l’anno dopo morirono tutti e sei senza la- sciare traccia. Nel 1827 i missionari della Società evangelica di Basilea arrivarono nel forte danese di Christianborg. Per fuggire al clima micidiale della costa, si concentrarono nell’interno del pae- se e cominciarono ad evangelizzare le popolazioni ad est del Volta. Nel 1842 i metodisti si stabilirono a Lagos, Ouidah e Aneho, grazie a ex schiavi americani, tornati ai paesi d’origine. Tra i missionari metodisti si distinse Thomas Freeman, pastore infaticabile: di padre africano e ma- dre inglese, fu educato a Londra; in due riprese (1843 e 1854) visitò tut- ta la Costa degli Schiavi, spingendo- si nell’interno del Togo. Nel 1847 la Società missionaria di Brema (Germania) si unì agli evan- gelici di Basilea. Stabilito il quartie- re generale a Keta, evangelizzarono la popolazione ewé a est del Volta e fondarono varie stazioni missionarie, distrutte dalle guerre e puntualmen- te ricostruite; esplorarono le regioni di Atakpamé e Anfoin, nel cuore del Togo. Nel giro di 40 anni si succe- dettero circa 100 missionari, 54 dei quali falciati da febbri malariche. TEMPI EROICI Con l’abolizione dello schiavismo, la Costa degli Schiavi vide nascere le prime comunità cattoliche, formate da famiglie di afro-brasiliani (Olym- pio, de Souza, da Silveira, Santos, Campos, Sacramento, Paraiso) che avevano abbracciato il cristianesimo durante la schiavitù ed erano torna- te nelle terre di origine: mercanti in- telligenti, diventarono l’ élite del To- go e Dahomey. PRIMI MARTIRI D ue donne stavano raccogliendo le- gna. Sbadatamente raccattarono frasche di un albero sacro. Era un cri- mine meritevole di morte, anche se commesso inavvertitamente: furono avvelenate. L’una morì, l’altra fu porta- ta ai missionari, che riuscirono a sal- varla. Gli stregoni le diedero un’altra porzione di veleno; e i missionari la sal- varono una seconda volta. I fattucchieri erano infuriati: quei due stranieri erano più forti di loro. Il saba- to santo del 1886 li avvelenarono, non si sa come, insieme al re. Questi morì all’istante; i missionari se la cavarono; ma erano così indeboliti che dovettero andare a riposarsi sulla costa. T ornati ad Atakpamé, padre Moran si guadagnò la simpatia di alcuni capi e stregoni, distribuendo regali, e ottenne il permesso di esercitare lame- dicina. Per qualche mese i missionari furono lasciati in pace. La gente ac- correva alla missione, disertando le pratiche feticiste, provocando rabbia e gelosia tra vari fattucchieri. Questi studiarono i movimenti dei mis- sionari e videro che, ogni giorno, un ra- gazzo andava a comperare una zucca di vino di palma per i padri; avvicina- rono il mercante, avvelenarono il vino e raccomandarono al ragazzo di non berlo, perché sarebbe stato un furto. Appena i missionari bevvero il vino, sentirono subito gli effetti del veleno. Presero immediatamente dei rimedi e vomitarono anche l’anima: era il 7 agosto 1887. Padre Bauquis si salvò; ma padre Moran spirò tra atroci con- torsioni, senza medico e senza prete, poiché il confratello era troppo debilita- to per assisterlo. Aveva solo 28 anni. I nemici della missione avevano rag- giunto lo scopo: un missionario morto e l’altro in fin di vita. Padre Bauquis do- vette ritirarsi sulla costa, dove morì nel 1891. N el 1939 si venne a sapere che il calice di padre Moran era stato usato come feticcio in una festa paga- na ufficiale. I missionari lo reclamaro- no energicamente. Ma i fattucchieri ri- corsero di nuovo ai veleni. Il vescovo dovette ritirare i preti perché non ri- schiassero la vita. La storia riemerse nel 1951: per l’or- dinazione del primo prete di Atakpamé i giovani gli offrirono un calice «per cancellare l’onta dell’avvelenamento di padre Moran».

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