Missioni Consolata - Settembre 2002
a casa con dei crediti che utilizzerà per avere altre cose. Oggi sono qui per comprare, ma di solito vendo. Vendo un po’ di tut- to, ma soprattutto vestiti, perché mia figlia aveva una boutique. Ha dovuto chiudere perché non basta- vano i soldi per la luce, l’affitto e tut- te le spese. È rimasta molta merce che cerco di vendere, anche se in questo nodo va di più il mangiare. Per questo a volte faccio delle pizze. - Il coordinatore ha detto che ci sono anche professionisti qui. - Sì, ce ne sono, ma qui non molti, a parte estetiste e parrucchiere. Io va- do in club dove ci sono anche car- diologi, dentisti, oculisti. Ogni gior- no della settimana c’è un posto do- ve si può andare. - Questo è un sistema per cercare di vivere normalmente? - È un sistema per sopravvivere alla crisi. Una persona disoccupata non è obbligata a spendere soldi. Si ar- rangia in questo modo vendendo qualcosa che ha in casa. Prende i crediti e usa quelli per comprare, so- prattutto cibo. Quello che compra la gente è soprattutto mangiare. - Che gente frequenta il trueque? - C’è gente della classe bassa, ma an- che di quellamedia. Ci sono sempre più persone che non hanno nulla da fare e nulla da mangiare. - Lei ha famiglia, signora? - Sì, ho un marito e tre figli. - Loro cosa dicono? - Di non fare fatica. Ma a volte non riescono a capire che anch’io ho del- le esigenze. Ho un figlio in Canada e qui una ragazza e un ragazzo che sono sposati e lavorano. Ma non mi aiutano perché non possono. La si- tuazione è pessima per tutti. Non per poche famiglie dei ceti bassi. Oggi è così per tutti gli argentini. NUMERI IMPRESSIONANTI Il trueque non significa soltanto vestiti, cibo, servizi alla persona. Og- gi il fenomeno ha assunto dimensio- ni tali (4.500 club di trueque, 2,5mi- lioni di partecipanti, 50 milioni di ticket trueque in circolazione) che con i crediti attribuiti dai ticket si possono comprare terreni, costrui- re case, affittare appartamenti, an- dare in vacanza e persino pagare le imposte municipali. Horacio Cavalieri gonfia il petto per l’orgoglio quando spiega: «Sia- mo ormai la terza moneta del pae- se e i crediti vengono accettati an- che in altri paesi latinoamericani (ad esempio, in Brasile, Cile, Para- guay) dove funzionano club a noi associati». Ci rivolgiamo al giovane che ci sta accanto e che ascoltava con atten- zione la nostra conversazione. MISSIONI CONSOLATA 24 SETTEMBRE 2002 L a parrocchia «Nuestra Señora de Pompeya» (Merlo) è una delle prime fondate e rette dai missiona- ri della Consolata nel Gran Buenos Aires. Conta circa 60 mila abitanti. Riassume tutta la realtà di disoccu- pazione, impoverimento, violenza e… ricerca di modi per far fronte al- la situazione disastrosa abbattutasi recentemente sull’Argentina. Per quanto riguarda il «trueque», in due dei quattro centri pastorali la parrocchia ha dato spazio a questo strumento di sopravvivenza nell’e- mergenza. Peraltro, nell’accettare la richiesta da parte dei coordina- tori di poter funzionare all’interno delle nostre strutture, abbiamo sen- tito il bisogno di chiarire con loro, sin dall’inizio, l’impegno all’onestà, affinché il trueque, basato fonda- mentalmente sulla solidarietà, non fosse svilito dalla tentazione di ap- profittarsene, considerando soprat- tutto il contesto di povertà genera- lizzata. Purtroppo la stessa situa- zione di povertà e miseria crescenti, a volte, inducono al «si salvi chi può e in qualsiasi modo», magari anche imbrogliandosi fra poveri. E poi c’è anche l’altro comporta- mento nazionale, denominato «vi- veza criolla», cioè la furbizia malin- tenzionata che, in relazione all’at- tuale grave crisi nazionale, ne è u- na delle con-cause. Questo perico- lo può diventare molto concreto nel momento in cui i politici (come, ad esempio, stanno già facendo alcuni sindaci) si impossessano dell’idea e finiscono per svuotarla del conte- nuto e creare «trueques truchos» (truccati, falsati). A bbiamo tradotto «trueque» con baratto, barattare: viene allora spontaneo ricordare: «Attenti a non barare». Inoltre, giocando con le pa- role, se al termine italiano baratto togliamo una «t», abbiamo «barato», che in castigliano vuol dire econo- mico, cioè non caro. Ecco, è impor- tante che nel baratto tutto sia «más barato», più a buon mercato, perché sia veramente conveniente. Dato che riceviamo lamentele dei parte- cipanti al trueque circa i prezzi di al- cuni articoli quasi più cari di quelli che si trovano nei negozi di quar- tiere, sentiamo il dovere di farlo presente ai coordinatori. Nell’articolo principale si accenna al baratto come forma abituale di sus- sistenza delle comunità indigene. Gli indios tobas della Co- lonia Aborigen (con cui ho lavorato per anni) sono so- liti portare in paese, a Ma- chagai, nostra ex parroc- chia, i loro prodotti, ma lo scambio non si svolge qua- si mai in parità di condi- zioni: consegnando un bel carico di zucche, pompel- mi, manioca o altri pro- dotti, gli indigeni si ritro- vano poi con un pezzetto di carne o un po’ di zuc- chero o yerba mate . I for- ti e i furbi l’hanno sempre vinta. P . G IUSEPPE A ULETTA , DA M ERLO (B UENOS A IRES ) Il «trueque» dei missionari CHE NON PREVALGA LA «VIVEZA CRIOLLA» (ovvero barattare sì, barare no!) «Crediamo profondamente in un’idea di progresso come conseguenza del benessere sostenibile del maggior numero di persone» (princìpi del trueque). Padre Auletta tra gli indios tobas.
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